l’appello di studiosi ed esperti per evitare che la città «sia uccisa da ciò che la fa vivere»

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«Il paradosso di Venezia è che rischia di essere uccisa da ciò che la fa vivere», parole di Giuseppe Goisis, già ordinario di Filosofia Politica a Ca’ Foscari, recentemente scomparso, lasciando una grande eredità culturale, etica e morale. Il suo saggio, tratto da un intervento pubblico del 2018, chiude la lunga serie di scritti che compongono l’antologia (verrebbe da dire la “Spoon River”) “Venezia 1968-2023. Tra innovazione culturale, regressione civile e riscatto sociale”, curata da Francesco Leoncini, storico e slavista, già docente a Ca’ Foscari, ed edita da Il Mulino. Un tentativo di guardare al futuro di Venezia, alla luce di quanto accaduto negli ultimi cinquant’anni, periodo relativamente breve nella storia millenaria della Serenissima, ma altamente traumatico per la città.

LA DATA CARDINE

Nel 1966, con la devastante Aqua Granda, Venezia ha preso consapevolezza della propria fragilità, senza peraltro riuscire ad individuare le contromosse adeguate, nonostante una Legge Speciale che ha riversato sulla città miliardi (di lire) e milioni (di euro), riuscendo solo parzialmente – con il tardivo e contrastatissimo avvento del Mose – a difendersi dalla minaccia dell’acqua, prendendo consapevolezza, altrettanto tardiva, che c’erano altri due cataclismi che si stavano approssimando: lo spopolamento della città e l’invasione dei turisti. Il paradosso a cui faceva riferimento Goisis: oggi la monocoltura turistica dà da vivere (e lucrare abbondantemente per i grandi speculatori) ai veneziani superstiti, ma l’invasione che pare inarrestabile, nonostante i timidi tentativi di regolare i flussi dei visitatori, sta soffocando gli abitanti la cui età media si sta progressivamente avviando alla soglia dell’estinzione.

I NUMERI

I numeri, come ricorda Renato Bocchi, già ordinario di Composizione Architettonica e Urbana allo Iuav, spiegano meglio delle parole: nel 1951 gli abitanti erano 174.808, oggi sono scesi a circa 49mila con un trend negativo che pare inarrestabile. I posti letto per i turisti invece sono oltre 50mila, ai quali vanno aggiunte le decine di migliaia di presenze quotidiane “mordi e fuggi”, che non alloggiano in città. Gli ospiti sono più dei residenti, ancor di più se consideriamo che le università veneziane (non solo Ca’ Foscari e Iuav, ma anche altri istituti nazionali e internazionali) richiamano oltre 30mila studenti, parecchi dei quali alloggiano in città. In pratica i veneziani costituiscono solo un terzo della popolazione che quotidianamente vive la città. Con la conseguenza che l’intera economia è finalizzata al servizio del turista per cercare di “spremerlo” il più possibile. Un quadro sconsolante che emerge anche dal saggio di Rolf Petri, appassionato studioso tedesco della città, docente di Storia contemporanea a Ca’ Foscari, che concorda sui danni del turismo, facendo risalire la nascita del problema all’inizio del Novecento, quando venne deciso di localizzare in terraferma tutte le nascenti attività industriali, con la naturale conseguenza dell’espulsione da Venezia degli abitanti a basso reddito, rimasti privi di lavoro per la progressiva chiusura del insediamenti industriali veneziani (Junghans, Molino Stucky, Manifattura Tabacchi, Cotonificio Veneziano, Conterie di Murano e molti altri) ed attratti dal nascente polo lavorativo ed abitativo di Marghera. Ovviamente la medaglia ha sempre due facce.

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CAPITALE CULTURALE

Non ci sono solo i problemi, ma anche le opportunità. Nell’ultimo cinquantennio è esplosa la vocazione culturale della città, tema caro a Bepi Mazzariol (evocato in molti interventi) che dalla cattedra di Storia dell’Arte contemporanea a Ca’ Foscari aveva più volte, sin dagli anni Cinquanta, indicato Venezia come città degli studi, ideale luogo di produzione culturale. Fondamentale, per lo sviluppo della cultura, il ruolo della Fondazione Giorgio Cini che, dal 1951 a oggi, ha svolto a Venezia un’importante funzione di studio e ricerca in molti campi. Biennale e Fenice sono altre eccellenze mondiali che assieme alle due principali università (Ca’ Foscari e Iuav) costituiscono un polo culturale che ha pochi uguali. È questa la base su cui dovrebbe poggiare la Venezia del domani, intesa nella sua unicità con Mestre e Marghera come ben cinque referendum hanno sancito. Ma proprio da Mestre, la città di terra, complementare a quella d’acqua dovrebbero arrivare le grandi novità che destano altre preoccupazioni.

LA QUESTIONE MESTRE

Ne parlano Laura Fregolent, ordinaria di Tecnica e Pianificazione allo Iuav, e Giacomo Maria Salerno, ricercatore di in Geografia e Studi Urbani Eristici all’università di Siena, con rifermento allo sviluppo dell’aeroporto Marco Polo che passerebbe dagli 11,5 milioni di passeggeri del 2019 agli oltre 20 milioni previsti nel 2037. Arrivi che, ovviamente, dovrebbero in gran parte riversarsi su Venezia. Sempre nella zona di Tessera sta nascendo il Bosco dello sport, che prevede la costruzione dello stadio e del palazzetto dello sport, decretando la “morte” del glorioso Pierluigi Penzo, stadio dove gioca attualmente il Venezia in serie A.

GLI ANNI DUEMILA

E ancora è prevista la realizzazione di quattro nuovi terminal acquei per collegare la terraferma al centro storico (da un lato decongestionando il terminal di piazzale Roma, dall’altro aprendo altri 4 “varchi” verso Venezia). E sollevando molte contrarietà per l’ipotesi di stravolgere un’altra fetta di gronda lagunare – il tratto ancora vergine di Montiron – con un approdo utile più alle barche da trasporto dei turisti che ai pochi veneziani che ne potrebbero trarre giovamento. Ognuno dei 19 autori del libro, dà un suo contributo alla ricostruzione del puzzle. Un calderone di idee e riflessioni, frutto di studi approfonditi, che partendo dai “formidabili anni del ’68” arriva ai problematici anni Venti del XXI secolo, riavvolgendo il filo della memoria. I problemi e gli errori vengono chiaramente enunciati, purtroppo mancano le proposte per il futuro, per arrestare la decadenza veneziana. Ed è ancora Giuseppe Goisis, alla cui memoria è dedicato il libro, a lanciare un segnale di speranza: “Occorre abolire l’espressione è troppo tardi. È forse l’ultima chiamata per Venezia e sul palcoscenico sono convocati i protagonisti, nel bene e nel male, le semplici comparse e chi ha scelto di fare lo spettatore. Prima che il sipario si richiuda».
 





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