Generali, la partita sul riassetto nel risparmio gestito (e il faro acceso dal governo)

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Il road show di Donnet tra gli investitori e il piano con Natixis sul risparmio gestito. Il faro acceso dal governo. I dubbi di Caltagirone e Delfin

Prima è stata la volta di Londra, piazza chiave per gli investitori internazionali che pesano per il 35% del capitale di Generali. Poi di Parigi e New York. La mappa dei prossimi giorni porterà il ceo Philippe Donnet a Zurigo e Amsterdam. Al suo fianco, la prima linea dei manager: Giulio Terzariol che guida il settore assicurativo, il general manager Marco Sesana e Woody Bradford cui fa capo l’asset management. Vale a dire una delle attività più sensibili in questo momento perché si sta trasformando, nelle intenzioni del vertice del Leone, in un grande gruppo con 1.900 miliardi di masse attraverso l’aggregazione con la francese Natixis. Il mercato, da quanto emerge, ha dato segnali di interesse dopo la presentazione, il 30 gennaio, del piano al ‘27 che ha promesso oltre 7 miliardi di dividenti, utili in crescita tra l’8 e l’11% e una generazione di cassa che supererebbe gli 11 miliardi. Da quel giorno il titolo è salito da 30,4 a 32 euro.

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Gli investitori tra Londra e New York

Ma il capitolo che ha catturato l’attenzione tra Londra e New York è il progetto di fare nascere il primo campione europeo dell’asset management per ricavi (4,1 miliardi nel 2023). Una nuova società, che prenderà l’avvio a inizio 2026 dopo la lunga trafila di autorizzazioni, incluso il via libera del governo attraverso il golden power. Nascerà dall’unione di Generali Investments Holding — che conferirà 650 miliardi di masse — e Natixis Asset Management (1.200 miliardi). Con un valore complessivo di circa 9,5 miliardi, calcola la compagnia, il nuovo player si collocherebbe dietro ad Amundi, numero uno per masse, che capitalizza 14 miliardi. Ma in prospettiva, sarebbe in grado di crescere di più, partendo già, secondo i dati del 2023, da una base di 4,1 miliardi di ricavi, un rapporto tra costi e ricavi del 74% e utili per 700 milioni. Trieste ha così illustrato la partnership siglata con il gruppo bancario Bpce, controllante di Natixis, per creare un player che si inserirebbe nella top ten mondiale.




















































Una fetta consistente del risparmio nazionale

Il governo ha acceso un faro sull’operazione lanciata da Generali, visto che il riassetto tocca una fetta consistente del risparmio nazionale, peraltro investito per 37 miliardi in titoli di Stato italiani. Perplessità sono emerse anche da alcuni azionisti del Leone come Delfin (9,8% del capitale) e Caltagirone (circa il 7%) che a loro volta hanno anche quote in Mediobanca (19,8% la prima, circa il 7,5% il secondo).

Il contesto del mercato

Secondo alcuni analisti la tempistica dell’operazione, con un accordo preliminare firmato velocemente, si spiega con il contesto del mercato. Lasciare Natixis preda di un altro acquirente avrebbe significato perdere un’occasione per fare il salto dimensionale. Il risiko nell’asset management è in piena attività. La cessione da parte di Axa delle sue masse (850 miliardi) a Bnp Paribas — non ritenendo più sufficiente questa dimensione per competere — ha rappresentato il calcio d’inizio. Allianz e Amundi hanno interrotto le trattative e ora cercano altre sponde perché la taglia è chiave. Fuori dall’Europa la spinta è forte da tempo come insegnano le acquisizioni recenti di Blackrock.

La rete Natixis

A bocce ferme, avevano già segnalato Donnet e Bradford a Venezia, Natixis ha una struttura di costi più elevata di Generali: il rapporto tra i costi operativi e il margine è del 60% per Trieste e dell’80% a Parigi. La media della realtà aggregata sarà del 74%, poi destinata a salire, ha detto il management del Leone. Il disallineamento è riconducibile alla struttura delle due aziende. Generali investe per il 60% asset assicurativi, cioè captive, che si possono gestire con strategie di lungo periodo, più redditizie. Natixis ha una grande rete distributiva e lavora in un mercato ultra competitivo, quindi meno redditizio, al quale la compagnia comunque aspira per attrarre investimenti anche dall’estero e per poi aumentare i margini. Insomma, la sintesi a Trieste è che perdere questa occasione significherebbe accontentarsi di un Leone più piccolo e locale.

Il rinnovo di vertice e consiglio

La nuova società sarebbe co-controllata dai due partner che manterranno ciascuno la proprietà e l’indirizzo sui propri asset. Ma che sarebbe gestita, nei primi 10 anni, da Milano. Il vertice di Trieste è impegnato a convincere il mercato. Donnet e il presidente Andrea Sironi si confronteranno, in un round più impegnativo, con gli altri azionisti in occasione del rinnovo dei vertici a maggio. Da Caltagirone a Delfin fino a Edizione, Crt e Unicredit: la banca guidata da Andrea Orcel è fresca d’ingresso con il 5% in Generali. Si presenteranno nella lista di Mediobanca, l’istituto guidato da Alberto Nagel, titolare del 13,1% del Leone.

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