Adista News – Da Rete l’Abuso una iniziativa per superare la solitudine delle famiglie “abusate”

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Adista Notizie
n° 7 del 22/02/2025

42150 SAVONA-ADISTA. Sono dei “sopravvissuti”, come i loro figli abusati. Sono i genitori delle vittime di violenza sessuale perpetrata da preti, «genitori che da un giorno all’altro sono stati catapultati in una situazione alla quale nessun genitore è preparato. Lo stupro del proprio figlio». Genitori che hanno dovuto improvvisare un sostegno senza saper come fare, e da soli, visto che spesso sono stati abbandonati da tutti in questa lotta. Soprattutto dalla Chiesa, che spesso li ha considerati nemici da cui difendersi. Sono anch’essi vittime degli stigmi e dell’indifferenza, devastati nelle loro vite, segnate da un trauma gravissimo i cui effetti si ripercuotono anche all’esterno, come le onde provocate da un sasso gettato nell’acqua.

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È per loro che è nato, all’interno della Rete l’Abuso, fondata e animata da Francesco Zanardi, il Coordinamento Famiglie sopravvissuti, un contesto di «confronto e di condivisione» che, si legge sul sito, «non solo è estremamente terapeutico, ma è spesso utile a chi, come noi, suo malgrado, viene a trovarsi ad affrontare queste situazioni». L’iniziativa, presentata il 7 febbraio, nasce nel nome e nel ricordo di Chiara, Cristina e Alessandro Giacoletto: la prima, abusata da un familiare da bambina, si è tolta la vita nel 2022, a 28 anni; gli ultimi due, i suoi genitori, si sono uccisi insieme, lo scorso dicembre, schiacciati dal dolore. Nel loro ricordo, «l’ispirazione a voler reagire attivamente come famiglie, vittime indirette di quanto accaduto ai figli».

Nel corso della presentazione, alcuni genitori sono intervenuti. Claudia, due figli abusati da un prete, ha raccontato che la famiglia è stata abbandonata dall’intera parrocchia, che le ha voltato le spalle. «È stato un inferno», ha detto. Giovanna e Roberto invece non hanno più la loro figlia. «La solitudine uccide», ha detto in una intervista a il Giorno (8/2) la coordinatrice del gruppo Cristina Balestrini, madre di un ragazzo che a 15 anni fu abusato da don Mauro Galli, allora parroco a Rozzano, e che ha tentato più volte il suicidio. Il suo fu un lungo caso giudiziario conclusosi a 12 anni dalle violenze subite, con una pena definitiva di 3 anni ai domiciliari per il prete. «Essere genitori non è facile, ed essere genitori di un sopravvissuto è ancora più difficile», ha detto. «Si prova un dolore profondo che gli altri non capiscono, ma bisogna andare avanti perché tuo figlio è la cosa più importante. La famiglia, quando emergono questi casi, svolge un ruolo importantissimo e fondamentale, ma purtroppo spesso viene lasciata sola. Non vogliamo che altre famiglie vivano la stessa esperienza di isolamento e solitudine che abbiamo vissuto noi». Anche la sua famiglia è stata stigmatizzata dalla parrocchia dove tutto si è svolto: «Noi abbiamo sempre frequentato la parrocchia, era la nostra seconda casa, e siamo stati allontanati, trattati da persone sgradite. Ci siamo sentiti vittime due volte. Purtroppo è un copione che si ripete sempre. Le autorità ecclesiastiche cercano di coprire, minimizzare, insabbiare i casi». Il programma del coordinamento è di organizzare incontri periodici su Zoom, «perché le famiglie sono sparse in tutta Italia, con momenti di confronto, condivisione di idee ed esperienze. Si possono chiedere consigli, ricevere supporto e trovare sempre ascolto. Ci farebbe piacere chiedere un incontro al presidente della Cei, il cardinale Zuppi. Molti di noi sono cattolici, ma hanno perso la fede proprio a causa del comportamento della Chiesa».

Del Coordinamento fa parte anche Anna Ipata, neuropsichiatra infantile alla Columbia University di New York. Subì un abuso all’età di 12 anni nella sua parrocchia pisana di Santo Stefano, e lo rivelò ai genitori solo quarant’anni dopo, quando si cominciò a parlare di pedofilia. «Quando sei bambina non riesci a dare un significato sessuale a certe attenzioni. Certamente un senso di violazione e di ribrezzo ti rimane addosso. Negli anni, ripensandoci, ho capito», ha detto in un’intervista al Corriere (7/2).

Per il momento, sono già una trentina i genitori in tutta Italia che hanno aderito al Coordinamento; una decina in Sicilia. Non poteva mancare Michele Messina, il padre di Antonio, che denunciò gli abusi subiti da don Giuseppe Rugolo, ora condannato in primo grado a 4 anni e sei mesi per violenza sessuale. «Abbiamo perso l’infanzia e l’adolescenza di nostro figlio per sempre, racconta Messina a Repubblica (8/2). «Nessuno dovrebbe mai subire quello che ha dovuto subire lui. Lo appoggerò fino alla fine dei miei giorni. Non è una ferita che si può rimarginare». Due genitori di Randazzo, nel Catanese, non si perdonano il fatto di non avere denunciato subito: il prete era di casa in famiglia. «Non siamo stati subito pronti a aiutarlo, quando abbiamo cominciato a parlare siamo stati presi in giro: “Forse vostro figlio si è innamorato di lui”, diceva qualcuno. Pensavamo di risolvere tutto nell’ambito della Chiesa, ma ci chiudevano le porte in faccia». Ora quell’isolamento può essere meno duro.

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Per aderire al Coordinamento Famiglie Sopravvissuti: coordinamento@retelabuso.org.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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