Non manca troppo tempo, forse un altro paio d’anni e poi una larga parte dei campioni d’Italia dell’Inter, ancora i più forti in Serie A, si iscriverà ai tornei Legends. Lunedì sera, quando Marcus Thuram ha chiesto il cambio e si avvertiva l’ansia di San Siro perché la Fiorentina non si arrendeva, ci è venuto il sospetto fosse un respiro lungo da fine ciclo e siamo andati a controllare le date di nascita. Acerbi, rientrante dopo quasi tre mesi di stop, stava rincorrendo Kean nella sera del suo trentasettesimo compleanno. Arnautovic, uscito ciondolante dopo il gol decisivo e l’ennesimo stop muscolare, compirà 36 anni il 19 aprile. Taremi, entrato al suo posto, viaggia verso i 33. Mkhitaryan continua a dispensare classe e da venti giorni (il 21 gennaio) ha superato i 36. Darmian, chiamato a sostituire Dumfries, ha festeggiato i 35 a inizio dicembre. Neppure Sommer è un ragazzino: 36 celebrati pochi giorni prima di Natale e almeno ha il vantaggio di non correre, anche se nell’epoca della “costruzione dal basso” il portiere partecipa quasi come un difensore. Morale della favola: l’età media dell’undici iniziale dell’Inter toccava quota 30,9 anni (quasi 31) e per fortuna sono entrati anche Frattesi e Zalewski, contribuendo ad abbassare il conto (29,4 la media dei cinque panchinari) oltre a portare un innegabile contributo di freschezza. Il polacco sgommava con il suo tipico cambio di passo tanto da chiedersi perché nella Roma non potesse giocare. Era entrato bene, servendo l’assist a De Vrij, anche nel derby. Per Inzaghi, a caccia di cambi sulle fasce, un’immissione preziosissima di energia. Ne ha bisogno eccome, costretto a difendere il titolo dal Napoli di Conte, uno specialista della classifica a punti, e ad inseguire la Champions, perché i vertici di Oaktree sembrano interessati soprattutto a migliorare i conti. Marotta in estate non poteva comprare e si è accontentato dei parametri zero (Zielinski, Taremi), l’unico modo per confermare in blocco i campioni d’Italia. In difesa non è arrivato Buongiorno, ma Palacios, ora prestato al Monza: domenica, travolto come gli altri dalla Lazio, l’argentino è apparso in grave imbarazzo all’Olimpico.
Thiago, nella pancia dello Stadium, la scorsa notte sorrideva sbandierando il record: 25 anni e 172 giorni la media degli undici titolari schierati davanti al Psv. La Juve non aveva mai giocato con una formazione così giovane in Champions, prendendo in esame la fase a eliminazione diretta. In corsa sono entrati Koopmeiners (quasi 27 anni), Vlahovic (25), Thuram (23) e Conceiçao (22). Mbangula, dopo l’intervallo, aveva sostituito Yildiz. Ha risolto un gol del ragazzo belga, sbucato ad agosto dalla Next Gen, classe 2004, 21 anni compiuti il 16 gennaio. Certo Giuntoli non ha lesinato spese, quasi 270 milioni (compresi bonus) nelle ultime due sessioni di mercato, per ricostruire la Juve. Ha sacrificato diversi giovani e resistono alcune contraddizioni, come investire 17 milioni su Kelly (che errore davanti al vecchio Perisic) dopo aver ceduto Huijsen alla stessa cifra. Si spiega con la ruota semestrale del bilancio e l’esigenza di fare cassa. Resta un fatto indiscutibile. La Juve si trova all’alba di un ciclo, l’Inter al tramonto. La Juve a luglio dovrà completare la rivoluzione, l’Inter dovrà rifondare. Cinque anni di differenza, sotto forma di età media tra le due squadre scese in campo lunedì e martedì, sono un’enormità. Segnalano il dislivello di percorso e di prospettive, non solo di esperienza. Una squadra è appena nata, ondeggia tra insicurezze e timidi progressi, non ha ancora un’identità precisa ma procede. L’altra sta provando a superare se stessa (e i propri limiti) tirando fuori le ultime energie, resistendo all’usura del tempo. Le certezze risiedono nel gioco. Le basi solide ci sono. Si chiamano Lautaro, Barella, Bastoni, Calhanoglu, Thuram, Dimarco. Molto sarà da ritoccare in estate. Il Derby d’Italia segnala un solco profondo tra le due società.
Thiago deve garantire l’obiettivo minimo (quarto posto in Serie A, ottavi Champions) per darsi lunga vita in panchina e progettare l’assalto allo scudetto nella prossima stagione. Qualcosa si comincia a vedere. Come i progressi di Douglas Luiz, più congeniale di Koop in appoggio a Locatelli. Inzaghi sta prolungando la vita di un organico che non riesce più a esprimersi con continuità. Era normale succedesse. Ripetersi nello sport è complicato e l’obbligo di vincere, come racconta Velasco, diventa un macigno anche per i più grandi. C’è persino chi gli rimprovera un solo scudetto in tre anni, dimenticando le coppe infilate in bacheca e la carta anagrafica.
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