Il rischio di impresa non esclude la punibilità degli omessi versamenti

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L’ordinario rischio di impresa non può essere preso in considerazione quale causa di non punibilità per gli omessi versamenti, nemmeno alla luce della modifica normativa che ha introdotto il riferimento espresso alla “crisi di liquidità” in relazione alle fattispecie penali disciplinate dagli artt. 10-bis e 10-ter del DLgs. 74/2000.
La sentenza n. 5804, depositata ieri dalla Cassazione, ha così respinto le istanze difensive che volevano valorizzare una “congiuntura di mercato sfavorevole” che aveva portato al mancato versamento dell’IVA da parte del legale rappresentante di una srl.

I giudici di merito e di legittimità evidenziano come – nel caso di specie – la crisi non si era verificata per un improvviso e imprevedibile fattore esterno, come sarebbe stato nel caso di ingenti inadempimenti da parte di un unico grosso cliente, ma di vendita al dettaglio che ha risentito di un calo generalizzato del fatturato, dovuto a problematiche di mercato e a scelte imprenditoriali (“la crisi non fu infatti dovuta a eventi straordinari ed eccezionali legati a clima, terremoti o simili”).

Peraltro, qui non si poteva nemmeno affermare che la società non avesse riscosso l’IVA non versata, perché nel caso di IVA ricevuta “per cassa”, rileva la condotta dell’agente tra il momento della riscossione e la scadenza del termine “lungo” annuale, già superato al momento della richiesta di adire al concordato preventivo, poi revocata.

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La Cassazione ripercorre sinteticamente le questioni già sollevate dalla giurisprudenza su queste tematiche e ribadisce che, affinché si possa parlare di impossibilità di tenere la condotta corretta con conseguente valore scusante, occorre che la crisi di liquidità sia determinata da un fatto imponderabile, imprevisto e imprevedibile, “secondo la diligenza dell’agente modello del settore, che esula dal dominio finalistico dell’agente e presuppone che egli non vi abbia in alcun modo dato causa (o concausa), sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento”.

Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà, posto che, altrimenti, la crisi di liquidità costituisce elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’Erario (viene citata, tra le tante, Cass. n. 2613/2023).

Occorre, in altre parole, una accorta ponderazione tra rischio di impresa (che non può essere posto a carico della collettività) e tutela dal soggetto agente da vicende di mercato assolutamente imponderabili e dallo stesso ingovernabili, tali da determinare una crisi di liquidità, non fronteggiabile con misure ordinarie e straordinarie.

La sentenza in esame evidenzia che tali affermazioni restano valide anche alla luce delle modifiche normative introdotte dal DLgs. 87/2024. Si ricorda che tale riforma ha modificato l’art. 13 del DLgs. 74/2000 mediante l’inserimento di un comma 3-bis, in cui si prevede che i reati di omesso versamento (di ritenute o dell’IVA) non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. In proposito, il giudice è chiamato a tenere conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per l’insolvenza o il sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. I giudici di legittimità fanno, peraltro, notare come il requisito della inesigibilità dei crediti e del mancato pagamento dei crediti sono posti tra loro in disgiunzione, mentre la non esperibilità di azioni giudiziarie in congiunzione con il primo requisito.

Nel caso di specie, viene dunque esclusa la non punibilità conseguente a tale crisi. Viene altresì esclusa l’applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) sia per il “non modesto scostamento” (circa 38.000 euro) dalla soglia di punibilità prevista per l’omesso versamento IVA (250.000 euro), sia per la mancanza del requisito della “non abitualità” della condotta, in quanto il medesimo soggetto aveva già riportato due condanne definitive per reati di appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta (che la Cassazione considera della “stessa indole” rispetto al contestato reato tributario).



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