Spioni e spiati, il governo fa melina. E il Dis presenta un’altra denuncia

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Uomo morde cane. Cioè, i servizi segreti non spiano. La notizia l’ha data ieri il governo che ancora non riesce a spiegare l’uso che l’intelligence fa dello spyware Graphite e non sa dire chi mai potrebbe aver spiato il direttore di Fanpage Francesco Cancellato e alcuni attivisti dell’ong Mediterranea. L’ultimo rifugio, dunque, è il paradosso. Così alla Camera il ministro per i rapporti con il parlamento Luca Ciriani: «Il governo intende adire le vie legali nei confronti di chiunque, in questi giorni, lo ha direttamente accusato di aver spiato i giornalisti».
E ancora: «Compete all’autorità giudiziaria accertare l’origine delle vulnerabilità denunciate. I servizi italiani sono pronti a dare tutto il loro supporto. Puntuale risposta agli interrogativi sollevati da questa vicenda è stata fornita al Copasir ieri (martedì, ndr) dal direttore dell’Aise e altre ne verranno nelle prossime settimane». Segue conferma di quanto già trapelato nei giorni scorsi: al contrario di quanto scritto dal Guardian, Paragon Solutions non ha interrotto i suoi contratti con l’Italia e «tutti i sistemi sono stati e sono pienamente operativi contro chi attenta agli interessi e alla sicurezza della nazione».

A seguire il sottosegretario Alfredo Mantovano ha ribadito la linea della non spiegazione. «Noi abbiamo fatto i nostri accertamenti, lato intelligence – ha detto conversando con i cronisti alla Camera -. L’accertamento ha riguardato realtà istituzionali. Anche le procure? Non appartiene a noi fare questo tipo di accertamento. C’è una parte che compete all’autorità giudiziaria, e sulla quale per ovvie ragioni di rispetto dei confini istituzionali non compete a noi fare questo tipo di accertamenti. Noi l’abbiamo fatto per la parte di nostra competenza». Ancora a proposito di intelligence, il governo sembrerebbe mostrare qualche timido segno di apertura a una riforma della legge sui servizi segreti, ipotesi avanzata da Lorenzo Guerini del Pd, con l’idea di istituire un Consiglio per la sicurezza nazionale. Il disegno di legge è stato depositato a Montecitorio lo scorso novembre.

In tutto questo continua l’inconsueta attività pubblica del Dis: dopo aver presentato un esposto alla procura di Perugia per la fuoriuscita dei documenti riservati del caso Caputi, ieri, con una nota, è arrivata la comunicazione di «azioni legali in sede civile» contro il Foglio e l’Unità, che hanno raccontato con troppi indicativi e pochi condizionali di un presunto viaggio in Libia del direttore dell’Aise Giovanni Caravelli per rassicurare le autorità di Tripoli sugli 86 mandati d’arresto spiccati dalla Corte penale internazionale contro altrettanti aguzzini locali. La stranezza è che la notizia, data in prima battuta dal Foglio martedì, non è stata smentita per un giorno e mezzo e poi si è passati direttamente alle vie legali senza offrire spiegazioni.
Gli intrighi di queste settimane, dal caso Elmasry al caso Paragon, del resto sono un insieme raro di sottintesi e di non detti, verità che filtrano goccia a goccia e dichiarazioni costantemente a metà tra l’assoluta mancanza di cautela e la reticenza. Mentre all’interno degli apparati di intelligence regna il caos e tutti guardano verso palazzo Chigi, che negli ultimi due anni ha fatto sin troppe nomine in questo settore.

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E mentre a Perugia il procuratore Raffaele Cantone studia come raccogliere elementi per la sua indagine sui colleghi di Roma coinvolti nella sciagurata diffusione di un documento riservato stilato dall’Aisi (i servizi interni) sul capo di gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi, e finito negli atti a disposizione delle parti per il caso aperto dalla denuncia fatta dallo stesso Caputi contro quattro giornalisti di Domani. L’obiettivo è il capo della procura capitolina Francesco Lo Voi, «reo» di aver iscritto nel registro degli indagati mezzo governo per la vicenda Elmasry e da allora al centro di un considerevole numero di attacchi. Ieri la prima commissione del Csm ha ricevuto le tre pratiche che riguardano Lo Voi: le due «contro» fatte dai laici del centrodestra e l’unica «a tutela» presentata dall’indipendente Andrea Mirenda e non sottoscritta dagli altri togati.



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