Perché volare costa caro in Africa

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Volano i prezzi dei biglietti. I passeggeri no

Carburante importato, tasse aeroportuali e protezionismo sono alcuni dei fattori dietro costi pensati per viaggi d’affari e non di turismo. La liberalizzazione dei cieli è ancora lontana

12 Febbraio 2025

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Articolo di Roberto Valussi

Tempo di lettura 4 minuti

Un passeggero osserva un aereo al decollo. Immagine d’illustrazione. Credit: Canva

Volare in Africa costa caro, molto più che in ogni altra parte del mondo. In tempi di low-cost – che spopolano anche in America Latina e Asia – i prezzi dei biglietti aerei africani quasi appaiono anacronistici. 

Un esempio tra tanti. Per fare un volo di andata e ritorno di 2 ore da Roma a Barcellona, ce la si può cavare con 30-40 euro. Un viaggio di una durata simile tra Addis Abeba e Nairobi difficilmente costa meno di 300€. 

Perché? La domanda è valida per tutte le tratte: da quelle intercontinentali a quelle nazionali, passando per le internazionali, all’interno del continente. Va precisato che ognuna di esse ha le sue peculiarità e che qui ci concentreremo perlopiù sugli elementi comuni. 

Partiamo da una manciata di dati riportati dalla Banca Africana di Sviluppo in un suo report del 2019. Allora l’Africa ospitava il 17% della popolazione mondiale. Eppure per i suoi cieli africani passava solo il 3% del traffico aereo globale, contro il 19% e il 23% rispettivamente di Usa e Cina. 

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Ad oggi, anche senza attingere da dati più recenti, possiamo dire che la situazione non è cambiata di molto; i limiti strutturali sono ancora lì. Quali sono?

Cosa c’è dentro un biglietto aereo africano?

Il costo del carburante è tra le singole componenti più costose. Lo è per tutti i voli aerei nel mondo, incidendo per circa il 25% sul prezzo del biglietto. Lo è a maggior ragione in Africa, dove la percentuale sale a circa il 35-40%. Un sovrapprezzo figlio delle poche raffinerie presenti e del conseguente alto costo d’importazione del prodotto finito. 

Poi ci sono le tasse aeroportuali, ovvero le somme versate dalle compagnie aeree agli aeroporti per usufruire dei suoi servizi. L’equivalente di un pedaggio autostradale per un autobus. 

Qui il discorso si fa più complesso. Intanto le stime divergono sul suo impatto. La maggior parte degli analisti parla di 20%; altri si fermano al 12%. 

Ma al di là della differenza di punti percentuale, è importante notare come quello del ‘pedaggio’ sia un modello superato, soprattutto negli aeroporti dominati dalle compagnie low-cost. Qui, sono gli aeroporti a pagare le varie Ryan Air e simili. Il fine è quello di mantenerli lì e far fiorire l’indotto commerciale intorno al volo (dai negozi, ai parcheggi etc). 

Attraverso le alte tasse, gli stati finanziano gli aeroporti. Più in generale, le usano per mettere al riparo le proprie compagnie nazionali dalla concorrenza, tramite una politica protezionistica. 

Il mercato c’è o si fa?

Quanto sopra vale per il lato dell’offerta. E invece per quello della domanda? Anche qui la situazione è molto differente rispetto ad altre parti del mondo. 

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In Europa, il grosso dei passeggeri si sposta per piacere; vacanze estive, weekend fuori in ogni stagione dell’anno etc. C’è un’ampia classe media a cui vendere biglietti. 

In Africa, invece, il prezzo di un biglietto aereo non è accessibile per la vasta maggioranza della popolazione. Il segmento di clientela che vola per lavoro è molto più grande rispetto al resto del globo. Spesso sono persone che lavorano per compagnie straniere. Ergo, le compagnie aeree in Africa si concentrano soprattutto su di loro; dei viaggiatori molto meno suscettibili alle variazioni di prezzo rispetto ai turisti.

E chi viaggia per motivi familiari, come le persone della diaspora? Sono altrettanto clienti ‘tipici’, in realtà. Ma chi gestisce le politiche pubbliche africane tende ancora a vedere il viaggio aereo, soprattutto intercontinentale, in termini di ‘’tassa per gli stranieri’’, come scrive Marc Gaffajoli, direttore amministrativo di Afrijet (una compagnia aerea del Gabon), in un suo recente articolo su Jeune Afrique

Insomma lo si percepisce come un lusso, da far pagare caro a chi se lo può permettere.

Liberi tutti, anzi no

Eppure, è noto come dei prezzi più abbordabili porterebbero ricadute positive. La BBC cita uno studio su 12 Paesi africani svolto dall’Associazione internazionale del trasporto aereo (IATA, il principale organo di coordinamento commerciale del settore aereo globale) con cifre importanti. Si parla di stime da 155,000 nuovi posti di lavoro e un aumento di entrate da 1,3 miliardi di dollari per gli stati in questione.  

Tutti gli operatori sanno che abbassare i prezzi sia conveniente. E che, per farlo, bisogna liberalizzare il settore aereo. Tant’è che sono stati firmati due accordi per la liberalizzazione del settore aereo: la Decisione di Yamoussoukro nel 1999 e il Mercato Unico del trasporto aereo africano (SAATM) nel 2018. Alla firma, però, non sono seguite le azioni. 

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E non è chiaro se o quando arriveranno nel futuro prossimo. Le cronache degli ultimi tempi parlano poco di integrazione e molto di istituzioni sovranazionali in disfacimento (come la Cedeao senza i paesi saheliani di AES) e riconfigurazione dello scacchiere politico su tutto il continente. 

Un’altra questione su cui riflettere per l’Unione Africana, che il 15 e 16 febbraio eleggerà il suo nuovo presidente

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