L’articolo 13, L. 203/2024 (c.d. Collegato Lavoro), modificando il Decreto Trasparenza, prevede che, “Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”. L’INL, con nota n. 9740/2024, ha illustrato la novella senza fornire, tuttavia, alcuna indicazione operativa in merito all’argomento oggetto del presente contributo.
Il periodo di prova nel codice civile: aspetti giuslavoristici
Il periodo di prova è disciplinato in prima battuta dal codice civile e, in particolare, dall’articolo 2096, il quale recita: “Salvo diversa disposizione, l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto. L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza l’obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro”.
Il patto di prova è, di fatto, una speciale clausola del contratto di lavoro, tramite la quale datore di lavoro e lavoratore si accordano affinché la fase iniziale del rapporto di lavoro abbia carattere non definitivo e sia volta a effettuare una sorta di esperimento, che deve consentire a entrambi i soggetti di valutare la reciproca convenienza alla stabilizzazione del rapporto di lavoro. Se, da un lato, l’imprenditore misurerà le capacità e le attitudini professionali del prestatore di lavoro, dall’altro, il lavoratore valuterà la propria adattabilità al tipo di attività lavorativa e all’ambiente di lavoro in cui sarà destinato a operare.
L’apposizione del patto di prova è richiesta in forma scritta ad substantiam. Il patto di prova non scritto è nullo. Ai fini della validità del patto è importante descrivere il contenuto della mansione da provare. Infatti, la giurisprudenza ha precisato in più occasioni che il requisito della forma può considerarsi rispettato solo se il patto di prova contiene anche la specifica (e non generica) indicazione delle mansioni da svolgere (Cassazione, n. 21698/2006). L’indicazione delle mansioni può essere soddisfatta anche per relationem, attraverso il riferimento al contratto collettivo, laddove in esso la mansione sia delineata specificatamente. Recentemente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5881/2023, ha ritenuto legittimo e sufficiente lo specifico rinvio alle mansioni di “commodity manager, di VII livello del CCNL Metalmeccanici” contenuto nel contratto con una lavoratrice addetta alle mansioni di specialista di approvvigionamenti. Il tipo di attività affidatole era precisamente individuabile, in considerazione dello specifico rinvio al livello contrattuale e della conoscenza del termine inglese, utilizzato anche nel curriculum vitae della stessa lavoratrice. La definizione utilizzata nel contratto, in altre parole, consentiva di individuare con la massima precisione quali fossero le mansioni in concreto assegnate alla lavoratrice.
Per quanto riguarda la durata del periodo di prova, essa è di consueto fissata, per le varie categorie di lavoratori, dai contratti collettivi. Tuttavia, l’articolo 10, L. 604/1966, stabilisce che la durata del periodo di prova non può superare, in ogni caso, i 6 mesi, decorsi i quali trova dunque piena applicazione la disciplina vincolistica dei licenziamenti.
Durante il periodo di prova, il datore di lavoro può risolvere unilateralmente il contratto di lavoro: tuttavia, è bene evidenziare che è opportuno far trascorrere un periodo di durata che consenta di accertare le capacità lavorative del lavoratore. Il recesso del datore di lavoro non necessita di alcuna giustificazione.
Grava sul dipendente l’onere di dimostrare il positivo superamento del periodo di prova e, quindi, che il recesso sia illegittimo, in quanto basato esclusivamente su elementi estranei alla funzione del patto di prova.
Il periodo di prova nel contratto a termine: il meccanismo di riproporzionamento del Collegato Lavoro
Il D.Lgs. 104/2022 (c.d. Decreto Trasparenza), nella sua versione precedente al Collegato Lavoro, all’articolo 7, prevedeva una disposizione relativa al patto di prova costituita, in riferimento ai rapporti di natura privata, da 3 commi.
Nel primo comma era (ed è ancora) precisato che, nei casi in cui è previsto il periodo di prova, questo non può essere superiore a 6 mesi, salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi.
Nel comma 3 si afferma che, in caso di sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza.
Nel comma 2, oggetto della modifica da parte del Collegato Lavoro, è disciplinato il periodo di prova nei contratti a tempo determinato.
Nel primo periodo si afferma che, nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego.
L’articolo 13, L. 203/2024, norma che entra in vigore il 12 gennaio 2025, ha il pregio di fornire maggiori dettagli in relazione al conteggio della durata del periodo di prova nei contratti a termine. Infatti, tale disposizione aggiunge che: “Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.
La norma specifica un metodo di calcolo matematico del periodo di prova nei contratti a tempo determinato, che può, tuttavia, essere modificato da disposizioni favorevoli della contrattazione collettiva di tutti i livelli (Ccnl, contratti territoriali e/o contratti aziendali). Vi sono, tuttavia, dei limiti minimi e massimi che nemmeno la contrattazione collettiva può modificare (“In ogni caso”); infatti, il periodo di prova:
- non può essere inferiore a 2 giorni né superiore a 15 giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a 6 mesi (fino a 6 mesi);
- non può essere inferiore a 2 giorni né superiore a 30 giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata superiore a 6 mesi (6 mesi e 1 giorno) e inferiore a 12 mesi (12 mesi meno 1 giorno).
Fermo restando quanto sopra specificato: la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data d’inizio del rapporto di lavoro.
A titolo esemplificativo:
- un contratto a termine che inizia il 1° gennaio e termina il 28 febbraio (59 giorni) avrà un patto di prova della durata di 3 giorni di prestazione effettiva (come si dirà di seguito, si utilizza nella formula l’arrotondamento per troncamento);
- un contratto a termine che inizia il 1° gennaio e termina il 30 giugno (181 giorni) avrà un patto di prova della durata di 12 giorni di prestazione effettiva;
- un contratto a termine che inizia il 1° gennaio e termina il 31 dicembre (365 giorni) avrà un patto di prova della durata di 24 giorni di prestazione effettiva.
Come sopra indicato, tali regole potranno essere applicate ai soli contratti a termine stipulati dal 12 gennaio 2025.
Il comma 3 della disposizione si chiude con la precisazione che, in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto a un nuovo periodo di prova.
Alcune questioni controverse
Come spesso capita, anche le norme che cercano di portare dei chiarimenti lasciano aperte strade interpretative non sempre di facile soluzione.
Cosa si deve intendere per contrattazione collettiva più favorevole?
La norma prevede:
- da un lato, che, “Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva”, si applica un criterio di calcolo matematico di durata del periodo di prova;
- dall’altro, che, “in ogni caso”, il metodo di calcolo ha dei valori minimi e dei valori massimi.
In prima battuta, si deve ritenere non sempre agevole identificare, relativamente alla durata del periodo di prova, quale debba essere considerato un trattamento “favorevole”. Per chi? Per il datore di lavoro o per il lavoratore? Una durata inferiore è considerabile di miglior favore o di peggior favore per il lavoratore?
In attesa che dottrina e giurisprudenza si interroghino su questo passaggio della norma, si deve ritenere di ragionare sul termine “favorevole” solo a livello aritmetico. Si provi a fare un esempio partendo dalla tabella sopra riportata.
Esempio 1
Un contratto a termine che inizia il 1° gennaio e termina il 30 aprile, per la durata di 120 giorni, avrà un patto di prova della durata di 8 giorni di effettiva prestazione lavorativa (120 giorni/15).
Il limite massimo, essendo un contratto inferiore a 6 mesi, è pari a 15 giorni (si dovrebbero ritenere anch’essi di prestazione effettiva, anche se la norma sul punto tace). La contrattazione collettiva potrà definire una durata di periodo di prova per un contratto a termine di 120 giorni di 9 giorni, 10 giorni, 11 giorni, 12 giorni, 13 giorni, 14 giorni, 15 giorni. Non potrà mai superare 15 giorni, limite massimo sorretto dalla locuzione “In ogni caso”.
Come arrotondare i valori con decimali?
La divisione della durata del contratto con 15 giorni potrebbe identificare una durata del periodo di prova con decimali.
Un contratto di 110 giorni avrà una durata del periodo di prova di 7,33333 giorni. L’arrotondamento dei valori può avvenire generalmente in 3 modi:
- tramite troncamento: in questo caso si avranno 7 giorni;
- tramite arrotondamento classico (+/- 0,5): in questo caso si avranno 7 giorni;
- tramite arrotondamento in eccesso: in questo caso si avranno 8 giorni.
Le logiche del periodo di prova, salva differente specificazione da parte del Legislatore e della giurisprudenza, sembrano propendere per la soluzione del troncamento (meglio non superare mai il periodo di prova). L’importante è verificare le capacità del lavoratore.
Come calcolare il periodo di prova per i contratti di durata non inferiore a 12 mesi?
La norma precisa che, “In ogni caso, la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.
La norma, probabilmente per una svista, prevede che il periodo massimo di 30 giorni sia da applicare ai contratti di durata fino al giorno prima dei 12 mesi.
Negli esempi in tabella, pertanto, a un contratto dal 1° gennaio al 30 dicembre la contrattazione collettiva potrà applicare una durata di periodo di prova da 24 giorni a 30 giorni di effettiva prestazione; mentre, per il contratto della durata di 12 mesi (1° gennaio-31 dicembre), qual è la durata massima del periodo di prova?
Per i contratti non inferiori a 12 mesi, si deve ritenere che non è previsto alcun tetto massimo; mentre a esso si applica la regola generale della maturazione della durata del periodo di prova di un giorno ogni 15 giorni, regola applicabile a prescindere dalla durata del contratto a termine. Pertanto, il contratto di 12 mesi, dal 1° gennaio al 31 dicembre, potrà avere un patto di prova di durata di 24 giorni di effettiva prestazione e la contrattazione collettiva potrà intervenire affermando che a esso si applica una durata del periodo di prova anche superiore a 30 giorni.
Esempio 2
Per fare un ulteriore esempio: in caso di un contratto a termine di 24 mesi (730 giorni), la durata del periodo di prova è pari a 48 giorni di effettiva prestazione lavorativa (730/15= 48,6666), salvo differente indicazione “favorevole” della contrattazione collettiva. In questo caso, non è previsto alcun tetto massimo.
Potrebbe quindi verificarsi, in assenza di una specifica disciplina della contrattazione collettiva, che la durata del patto di prova per un tempo determinato, con la regola del Collegato Lavoro, sia di durata superiore rispetto alla prova per un tempo indeterminato prevista dalla contrattazione collettiva (si pensi, tornando all’esempio di prima, 48 giorni vs 30 giorni di prova per il tempo indeterminato), ipotesi che genera più di un dubbio sulla corretta determinazione: applico la regola specifica, applico la prova da Ccnl o applico la prova da Ccnl riproporzionandola?
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.
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