Riforme, obiettivo premierato e una nuova legge elettorale

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Politica

di Giuseppe Ariola





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La strada verso un’Italia migliore passa per le riforme. Ne è convinta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che lo ha ribadito a chiare lettere nel corso della conferenza stampa della scorsa settimana. Un’ulteriore conferma della volontà del governo di tirare dritto su alcuni dei pilastri dell’agenda politica della legislatura: Autonomia differenziata, riforma della giustizia e, in particolar modo, premierato. La prima pratica se non del tutto archiviata, a seguito della sentenza della Corte costituzionale e in attesa di un’apposita legge per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, non è comunque lontana dal traguardo. La riforma della giustizia, il cui cuore è la separazione delle carriere in magistratura tra quella giudicante e quella requirente, è in discussione in Aula alla Camera dove dalla scorsa settimana si stanno già votando gli emendamenti. E veniamo al premierato, con la stessa Meloni che ha ricordato come il provvedimento di natura costituzionale abbia già superato la prima lettura al Senato. L’inquilina di Palazzo Chigi, che fin dal suo insediamento alla guida del governo ha definito questa come la “la madre di tutte le riforme”, non fa mistero di voler spingere sull’acceleratore. “Vorrei arrivare alle prossime elezioni con la riforma del premierato approvata”, ha detto Giorgia Meloni durante il tradizionale incontro con l’Ordine dei giornalisti e la stampa parlamentare, aggiungendo anche un ulteriore elemento, ovvero l’ambizione di modificare la legge elettorale per averne una tarata proprio sul nuovo assetto determinato dalla tanto agognata riforma. Le questioni, infatti, corrono di pari passo e, anzi, sono strette da un legame indissolubile, perché qualora l’elezione diretta del presidente del Consiglio entrasse in vigore sarebbe chiaramente necessario stabilire anche le modalità attraverso cui ciò dovrà avvenire. Lo stesso testo della riforma rimanda queste modalità alla successiva stesura di una nuova legge elettorale. Lo stesso vale anche per il premio di maggioranza, che con il premierato verrebbe assegnato per dettato costituzionale alla coalizione uscita vincitrice dalle urne, così da consolidarne la tenuta e, dunque, per garantire la stabilità del governo, che è poi l’obiettivo principale che si vuole perseguire. Il tema della legge elettorale è quindi tutt’altro che secondario e, anzi, in caso di via libera del Parlamento alla riforma e di un successo in sede referendaria (la necessità di una consultazione popolare, una volta conclusi i quattro passaggi parlamentari previsti, appare scontata), la modifica delle attuali norme che regolano l’accesso a Camera e Senato diventerebbe un passaggio obbligatorio. Passaggio che potrebbe avvenire anche qualora l’iter del premierato dovesse arrestarsi. L’ipotesi è stata avanzata sempre da Giorgia Meloni che pur ricordando come “la questione sia materia di competenza parlamentare” ha comunque precisato che qualora “il premierato non dovesse arrivare in tempo ci si interrogherà se questa legge elettorale sia la migliore o no”. A quanto pare di capire, la maggioranza ha quindi intenzione quantomeno di aprire una riflessione sulla legge elettorale, ferma restando la speranza che nuove regole si rendano necessarie come conseguenza dell’entrata in vigore della riforma. Certamente, al momento è prematuro parlarne, anche in considerazione dei tempi ancora lunghi relativi all’iter del premierato, il cui esame si protrarrà almeno fino alla fine dell’anno, e della necessità, della quale tutti sono consapevoli, di apportare modifiche anche di un certo rilievo al testo licenziato da Palazzo Madama. Senza contare che la linea dell’opposizione è di netta contrarietà al questa come ad alle altre riforme, il che rende la sfida tanto più impegnativa per la maggioranza che, anche qualora dovessero superare tutti i test parlamentari, sarà poi chiamata a vincerne uno ancora più impegnativo e scivoloso: quello con i cittadini in occasione del referendum.


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