Opinioni | Migranti in manette a sinistra

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Se uno dei (pochi) governi di sinistra d’Europa imita Trump, e organizza uno show di deportazione di immigrati, mostrati in tv mentre vengono fermati nei blitz, radunati nei centri, messi su un bus e portati in fila indiana alla scaletta dell’aereo sotto scorta della polizia, vuol dire che destra e sinistra non esistono più o che il problema è uguale per tutti?
Il premier britannico Starmer, preso alla gola da sondaggi impietosi che segnalano la scalata della destra xenofoba di Farage, sta obbedendo a un vecchio detto inglese: If you can’t beat them, join them, se non puoi batterli unisciti a loro. Non è detto che ci riesca, anzi. Magari gli elettori invece di un’imitazione preferiranno l’originale. Del resto, che per l’elettorato britannico il problema sia serio era chiaro fin dai tempi della Brexit, fatta anche per cacciare gli italiani accusati di togliere lavoro e welfare agli inglesi, figurarsi gli afghani. Infatti il governo conservatore di Sunak aveva ipotizzato addirittura di portare gli indesiderati in Ruanda. E il laburista Starmer era venuto a Roma da Giorgia Meloni per studiare la soluzione-Albania (poi deve aver rinunciato, visto l’esito).

Ma in tutt’Europa, quando la sinistra è al governo adotta politiche sempre più rigide nei confronti dell’immigrazione clandestina. Il Cancelliere Scholz ha sospeso Schengen lo scorso autunno per sei mesi (per non parlare di ciò che si prepara a fare il «popolare» Merz); lo spagnolo Sanchez sta tentando con Gambia, Mauritania e Senegal gli stessi accordi che Meloni ha fatto con la Tunisia e prima di lei Minniti con la Libia (entrambi con un certo successo); per non parlare dei socialisti danesi, i più severi. Perfino Biden aveva emesso un ordine esecutivo per respingere alla frontiera gli immigrati dal Messico, oltre un certo numero di ingressi. Solo che, sempre per dirla all’inglese, fu too little, too late, troppo tardi e troppo poco, per fermare la marea Maga. Queste operazioni hanno infatti bisogno di spettacolo per raggiungere l’effetto mediatico cui puntano (di solito maggiore dell’effetto concreto). È ciò che deve aver pensato Starmer. Ed è forse ciò che cerca, finora senza successo, Meloni nei campi d’Albania.




















































Il vero discrimine non è più infatti tra una destra cattiva che respinge e una sinistra buona che accoglie. È piuttosto tra chi sta al governo ed espelle, e chi sta all’opposizione e s’indigna. E la ragione sta nel fatto che il problema non è solo elettorale, è reale. O trovi una soluzione per non farli partire, e l’ideale sarebbe proprio un «Piano Mattei» pan-europeo, promuovere cioè lo sviluppo nei Paesi di provenienza per ridurre la spinta migratoria; ma ci vogliono decenni e miliardi, non è cosa che dà risultati in una settimana. Oppure li rimandi indietro una volta arrivati, che è il metodo Trump-Starmer. Se non fai niente, o se dai anche solo l’idea di non fare niente, passi presto all’opposizione, perché ti dimostri incapace di fronteggiare uno dei problemi cruciali oggi in Occidente.

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Con l’inizio del millennio è infatti saltata qualsiasi ricetta nazionale un tempo capace di tenere unite classi dirigenti e classi popolari: il melting pot all’americana, l’assimilazionismo alla francese, il multiculturalismo all’inglese, il solidarismo all’italiana. Nel ventennio della rabbia, in cui il risentimento ha preso il posto della politica (come dal titolo di un bel libro di Carlo Invernizzi-Accetti), i nativi, soprattutto i più poveri, si sono sentiti dimenticati, forgotten men, declassati, umiliati dalla globalizzazione e dall’establishment. E se la sono presa con i «nuovi arrivati», che vedono come la causa più visibile e prossima della loro sconfitta, della loro perdita di status prima ancora che di benessere reale.
È chiaro che la colpa non è degli immigrati, spesso i veri «ultimi», le vere vittime. Ed è anche vero che gli immigrati ci servono eccome, e anzi spesso sono la forza lavoro a basso costo delle nostre opulente società servili di massa. Ma sono argomenti che non bastano a sciogliere quel grumo d’ansia; anzi, spesso indirizzano la rabbia elettorale contro chi li usa per proporre una più ampia e quasi illimitata accoglienza. Argomenti razionali, ma che non contano di fronte a un sentimento di rabbia: quando devi batterti per un posto all’asilo, per la casa popolare, per il sussidio, per il salario, o per la sicurezza del tuo quartiere.

Il punto cruciale di una politica migratoria moderna e funzionante, dunque, dovrebbe essere lo stesso per destra e sinistra: separarla dalle pulsioni xenofobe, se non apertamente razziste, che di solito si accompagnano a quel risentimento, e che vengono invece alimentate dalle forze più estreme e irresponsabili. Governarla, senza trasformarla in uno scontro di civiltà. Gestirla, ma salvando i principi liberali delle nostre società.
Non è certo facile. Ma se non si comincia nemmeno a pensare in questo modo, è inutile poi stupirsi se la sinistra di Starmer fa come la destra di Trump.

10 febbraio 2025 ( modifica il 10 febbraio 2025 | 21:12)



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