L’ombra lunga di George Soros e del suo network di ONG si allunga ancora una volta su USAID, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale. Un sodalizio di lunga data, cementato da decenni di finanziamenti e strategie comuni. Non è una novità: già nel 2017, la Heritage Foundation, uno dei principali think tank conservatori americani, denunciava che le Open Society Foundations (OSF) erano diventate il principale strumento di implementazione degli aiuti di USAID almeno dal 2009. Un’affermazione pesante, ma che trova conferme nei documenti ufficiali.
Nel 1993, USAID firmava un accordo con il Programma di Formazione Manageriale delle fondazioni Soros per addestrare trenta “professionisti” da Bulgaria, Estonia, Polonia, Romania e Slovacchia. Poi, nei primi anni Duemila, una serie di rivoluzioni colorate, dal Caucaso all’Europa orientale, vedeva in prima linea le ONG di Soros e i finanziamenti a pioggia di Washington. Non a caso, nel 2003-2004, USAID e la International Renaissance Foundation di Soros lavoravano fianco a fianco per sostenere la Rivoluzione Arancione in Ucraina. Una sinergia che valeva, nel solo 2003, 54,7 milioni di dollari, a cui si aggiungevano 34,11 milioni nel 2004.
Lo schema si ripeteva altrove, con nomi diversi ma con la stessa regia. Nel 2018, il gruppo di vigilanza legale Judicial Watch scopriva che USAID aveva finanziato l’agenda globalista di Soros in Guatemala. Un investimento che tra il 2015 e il 2018 arrivava a 100 milioni di dollari per sostenere movimenti e organizzazioni di “società civile” in America Latina. Stesso copione in Albania, dove nel 2016 USAID stanziava 9 milioni di dollari per un progetto sotto la supervisione dell’East West Management Institute, altra entità riconducibile a Soros.
I primi segnali di dissenso
Ma il problema non è solo il passato. Basta guardare al presente per capire che la macchina continua a girare. Nel 2024, il presidente Joe Biden ha richiesto per USAID quasi 30 miliardi di dollari nel bilancio federale 2025. Una cifra enorme, una parte della quale finirà ancora nelle casse delle ONG e dei programmi ispirati dall’agenda di Soros. Nulla di nuovo sotto il sole: il globalismo ha bisogno di denaro, e USAID continua a garantire il flusso.
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Ma non tutti hanno accettato di buon grado questo sodalizio tra USAID e la rete di Soros. L’amministrazione di Donald Trump, tra il 2017 e il 2021, ha cercato di porre un freno a questa macchina di finanziamenti e influenza globale. Non per spirito di crociata, ma per una questione politica precisa: ridurre il ruolo degli Stati Uniti come sponsor delle rivoluzioni colorate, delle ingerenze in Stati sovrani e delle operazioni di destabilizzazione mascherate da aiuti umanitari.
Il primo segnale forte arriva nel 2017, quando alcuni senatori repubblicani, tra cui Mike Lee e Ted Cruz, chiedono formalmente al Dipartimento di Stato di chiarire il ruolo di USAID nel finanziare movimenti politici legati a Soros in Paesi come Macedonia, Albania e Guatemala. Il sospetto è che l’agenzia federale, sotto l’ombrello della promozione della democrazia, stia in realtà finanziando forze politiche di sinistra e gruppi radicali con l’obiettivo di influenzare gli equilibri locali.
Nel 2018, il dipartimento di Stato guidato da Mike Pompeo avvia una revisione interna dei fondi destinati a USAID e ai suoi partner. Nel mirino ci sono i finanziamenti alle ONG in America Latina e nei Balcani, in particolare quelli che hanno legami con Soros. Judicial Watch, con documenti ottenuti tramite il Freedom of Information Act, rivela che USAID ha speso milioni di dollari per sostenere attivisti di sinistra in Guatemala, con l’obiettivo di spingere politiche progressiste e minare il governo conservatore in carica.
I tagli di Trump
Un’altra mossa importante arriva nel 2019, quando l’amministrazione Trump riduce i finanziamenti ai programmi di “promozione della democrazia” nei Paesi dell’Europa orientale. In pratica, meno soldi a quei progetti che, sotto la scusa della democratizzazione, sono spesso stati strumenti di ingerenza politica. La logica di Trump è chiara: gli Stati Uniti non devono più usare il denaro dei contribuenti per alimentare movimenti politici in altri paesi, soprattutto se questi vanno contro governi eletti.
Ma la svolta più clamorosa arriva nel 2020, quando Trump inizia a prendere di mira direttamente George Soros e le sue ONG. Dopo anni di tensioni, l’amministrazione cerca di bloccare l’accesso delle Open Society Foundations ai fondi federali. Un’operazione difficile, perché i legami tra USAID, Dipartimento di Stato e OSF sono profondi e consolidati da decenni. Tuttavia, il messaggio è chiaro: l’era in cui Soros e i suoi alleati potevano contare su finanziamenti pubblici senza ostacoli sta finendo.
Il problema? L’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca nel 2021 ribalta completamente la situazione. Appena insediato, il nuovo presidente ripristina molti dei finanziamenti tagliati da Trump e rilancia i programmi di promozione della democrazia. Nel 2024, la richiesta di bilancio di Biden per USAID arriva a quasi 30 miliardi di dollari, una parte dei quali torna a fluire nelle casse delle ONG legate a Soros.
La storia si ripete: quello che Trump aveva provato a fermare, Biden lo ha rilanciato con ancora più forza. E così, mentre Washington si riempie di proclami sulla democrazia e sui diritti umani, i fondi continuano a scorrere, garantendo che l’ingerenza americana nel mondo non si fermi mai.
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2025 ha segnato una svolta radicale nella politica di aiuti esteri degli Stati Uniti, con la progressiva riduzione del ruolo di USAID e un ripensamento della strategia di influenza americana nel mondo. Le ragioni alla base di questa decisione non sono solo economiche, ma soprattutto geopolitiche, con implicazioni dirette sulla politica estera degli USA, sui rapporti con gli alleati e sulla competizione con le grandi potenze globali.
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