Non capita spesso di avere a che fare con un producer professionista. Spesso ci si può imbattere in produttori amatoriali, ma difficilmente si incontra qualcuno che ce l’ha fatta. Soprattutto se sei di una piccola città o, ancora peggio, nella provincia di una piccola città. Oppure, scenario ancora peggiore, nella provincia di una piccola città che confina con la provincia di un’altra piccola città, in una fusione di nebbia, noia e strade disastrate che nessuna amministrazione vuole sistemare.
Ma c’è qualcuno che della sua provenienza ha fatto un marchio di fabbrica, portando la provincia di Ferrara saldamente sul suo baluardo. Questa persona è Lorenzo Borgatti, producer professionista di Alberone di Cento, Ferrara, classe 1995, da non confondere con l’omonimo dj noto come Lorenzo De Blanck con cui ha in comune sia nome che cognome. Particolarità? Vive di musica nel suo paesino di circa mille anime, insegna quello che fa ad altr* ragazz* e ha uno studio di produzione nella casa dei suoi genitori, proprio ad Alberone.
L’ho intervistato in una mattinata di pioggia di fine gennaio, proprio nel suo habitat naturale, il suo studio. Circondati da un sacco di strumentazione che non saprei neanche descrivere con precisione e da batterie, chitarre, bassi e microfoni, abbiamo parlato del suo lavoro, della sua decisione di rimanere in provincia, del cuore pulsante della sua attività, lo studio.
Il ruolo del producer non sempre emerge quando si tratta degli autori di una canzone ma negli ultimi anni è diventato via via più importante: è colui che realizza, arrangia ed esegue brani musicali tramite strumentazione di tipo elettronico tra cui naturalmente un computer, ma anche strumenti musicali veri e propri. Lorenzo ha collaborato con Sollo dei Gazebo Penguins, Birthh, Rosa Chemical e… beh, la lista è veramente molto lunga. Lascio che sia Lorenzo a raccontarvi un po’ di cose.
Di cosa ti occupi esattamente?
Principalmente mi occupo di produzione musicale, però faccio anche altri lavori complementari. Sono tecnico audio live. Mi occupo di insegnamento di Music Production presso la Scuola Theremin di Bondeno e presso la Civica Scuola di Musica di Comacchio. Curo mix e master, che è una parte del lavoro sui brani, e seguo le registrazioni.
Qual è stato lo switch che ti ha fatto passare dall’essere un chitarrista a diventare un producer?
È stata una scelta involontaria. Il mio obiettivo, quando ho iniziato a suonare, era quello che penso abbiano tutti i musicisti: suonare in tutto il mondo e fare tanti concerti. Ho avuto un periodo con due band con cui l’ho fatto: Birthh e YOY. Mentre facevo le mie cose, ho iniziato a lavorare con alcuni ragazzi che, ascoltando i miei lavori, mi chiedevano di modificare il loro materiale. Quasi per provare, ho iniziato verso il 2016, 2017. Dal mettermi alla prova, è diventata una passione. Da lì a realizzare che stavo lavorando effettivamente è passato un po’ di tempo. Credo di poter dire che da quattro anni sto facendo questo lavoro a tempo pieno.
Qual è la tua firma nei pezzi che produci?
Non so. Per me è difficile descrivere la mia idea di composizione, perché la mia filosofia è un po’ quella di cercare di adattarmi totalmente all’idea di chi viene. Devo cercare di far suonare le cose come vuole la persona, anche se la produzione è la parte più estetica e soggettiva di questo lavoro. Nel bene o nel male, ci devi mettere per forza del tuo. Non puoi essere freddo. Per me è fondamentale la personalità e la creatività di chi fa le canzoni.
Qual è il rapporto che si crea fra te e un artista che ti chiede di produrre un suo brano?
A me piace pensare che questo lavoro sia molto legato alle emozioni. Ci deve essere una condivisione di emozioni tra l’artista e il produttore, che vuol dire entrare in empatia con l’altra persona, capire il suo bisogno di esprimersi tramite la canzone. Mi interesso sempre di capire cosa vuol dire il testo.
Ormai sono tanti anni che fai questo lavoro. Quali sono gli artisti o i progetti che più ti sono rimasti nel cuore?
Mi verrebbe da dire, in modo super democristiano, che tutti mi sono rimasti nel cuore in un certo senso. Mi è piaciuto lavorare con tutti almeno in parte. Sicuramente uno degli artisti con cui mi è sempre piaciuto lavorare è Franek Windy, di Bologna. Con lui è sempre stato molto divertente, perché mi piace il suo approccio sperimentale ai brani. Mi è piaciuto molto lavorare anche nel Donkey Studio di Medicina, un paio di anni fa, uno studio di registrazione di varie etichette, tra cui Garrincha Dischi. Lì ho avuto la possibilità di lavorare con Rosa Chemical per una settimana, chiamato da Andrea Sologni. Dovevamo fare delle prove per delle sue canzoni nuove ed è stato molto istruttivo lavorare con un artista che aveva già fatto un certo tipo di percorso e che si aspettava un certo tipo di risultato. Mi è capitato anche di lavorare con Lo Stato Sociale per qualche brano e anche lì mi sono molto divertito. Ho collaborato live con i Gazebo Penguins, suonando e curando il loro arrangiamento del set acustico.
Vivere in provincia è un’ennesima difficoltà per il tuo lavoro, immagino. Come mai hai deciso di farlo proprio qui?
Ci ho pensato molto. Tante persone si trasferiscono per cercare di avere più successo in grandi città e metropoli. Io sono sempre stato legato al territorio dove vivo. Mi piaceva l’idea di provarci da qua. È stata una sfida, un po’ un tirarsi la zappa sui piedi, perché comunque stando qui ci si preclude tantissime opportunità. Però mi piace credere che, negli anni, si possa creare una realtà forte fuori dalla città. Proprio per questo, insieme ad altri ragazzi, sto cercando di ampliare lo studio per cercare di far crescere le possibilità di lavoro e per portare sempre più persone a passare un weekend in campagna, in serenità. L’unico vantaggio che abbiamo noi in provincia è di poter portare un po’ di tranquillità a chi è abituato a vivere in città. Può essere un momento di riflessione creativa: in un ambiente dove c’è poco rumore, è più facile essere concentrati su quello che si vuole fare.
Insomma, non è vero che in provincia non succede mai niente. Le tue zone hanno sempre avuto un gran fermento musicale.
Assolutamente. Mi ricordo che quando andavo a suonare fuori dall’Emilia Romagna, molte persone che conoscevano l’ambiente musicale, si ricordavano di Finale Emilia per il Festival del Lato B, dove hanno suonato artisti italiani e non con nomi veramente importanti. Ci sono tantissimi locali nella zona, piccoli, ma molto attivi, che cercano di portare avanti la loro missione ogni giorno: il circolo Blackstar a Ferrara, per esempio. La possibilità di suonare c’è, però credo che manchino ancora tante reti che facciano conoscere agli artisti emergenti queste realtà e il modo per salire sul palco.
Come hai deciso di fare uno studio in casa tua?
È nato in modo abbastanza spontaneo, in realtà. Lo studio prima era una sala prove. Ho iniziato a registrare qui le mie prime cose. Poi, man mano che ho iniziato a collaborare con le persone, ho comprato diverso materiale audio e ho iniziato a usare la sala come studio di registrazione vero e proprio, anche se il nome adatto per me è project studio. Poi, come ti dicevo, la volontà è quello di ampliarlo.
Ci hai fatto un piccolo spoiler.
Sì! Con Andrea Sologni, produttore, cantante e bassista dei Gazebo Penguins, e con Gianluca Guaresi, stiamo cercando di creare questo studio ampliandolo in più sale, con una stanza dedicata solo alla regia, una sala presa e piccole stanze dove metteremo gli amplificatori. Vorremmo creare un luogo dove gli artisti si possono fermare: l’idea sarebbe di creare un accomodation per le band che vengono da lontano, per i fonici che vogliono affittare lo studio. Insomma, una casa-studio per tutti, dove si possono fare anche eventi, così da creare una scena intorno al posto, che dia spazio alle esigenze artistiche di tutti. Collaboriamo già con qualche etichetta, ma stiamo pensando di farne noi una piccola, per dare possibilità agli artisti della zona di fare qualche passo in più senza andare nelle mega-label di Milano o Roma.
Come descriveresti in tre parole il tuo lavoro?
Elastico, emozionante e imprevedibile.
In sottofondo, una stufetta. Mic drop. Silenzio.
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