Davvero Trump realizzerà tutte le promesse (e le minacce) fatte finora?

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di
Alessandro Trocino

Se Donald Trump, nei primi giorni del suo secondo mandato da presidente degli Stati Uniti, sembra aver rilasciato una serie di ordini esecutivi per lo più e facilmente revocabili,è sulle materie sensibili che faticherà

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L’avvio è stato assordante, con un centinaio di ordini esecutivi lasciati cadere come una mannaia su un Paese entusiasta o frastornato. La ripartenza di Donald Trump, dopo un primo mandato tutto sommato meno esplosivo del previsto, è stata la promessa di una rivoluzione. Perché sono cadute le barriere psicologiche e politiche di otto anni fa, perché il Paese sembra più in sintonia con lui, perché sta procedendo a uno smantellamento del «deep state», con licenziamenti e minacce, perché se finora il tycoon ha giocato in difesa, ora si è messo all’attacco, circondato da una serie di clan agguerriti, con in testa i tecno-imprenditori più ricchi e potenti del mondo. Ma davvero Trump farà quello che ha promesso? Non è detto.

Il primo giorno

Jonathan Chait, sull’Atlantic, avanza molti dubbi: «Un politico e un partito che sono costruiti per la propaganda e la repressione del dissenso, in genere, non hanno gli strumenti per una governance efficace. Per quanto riguarda i risultati politici, il secondo mandato di Trump potrebbe rivelarsi deludente quanto il primo». Le prime mosse sono state accompagnate da slogan. Ha definito il giuramento il «giorno della liberazione» che darà avvio alla «golden age» (l’età dell’oro) per gli americani, all’insegna della «rivoluzione del buon senso». Ha detto stentoreamente: «Daremo al popolo americano il miglior primo giorno, la più grande prima settimana e i primi 100 giorni più straordinari di qualsiasi presidenza nella storia americana».




















































Ordini simbolici

Per Chait bisogna soffermarsi soprattutto sul fatto che molti degli ordini esecutivi rientrano nell’ambito delle misure simboliche e facilmente revocabili. Come il ritiro dall’Oms e il congelamento dell’energia eolica. E come le «emergenze» dichiarate. L’ordine di cancellazione dello ius soli, nota, potrebbe essere annullato per motivi costituzionali. Quanto al nuovo nome della montagna dell’Alaska, dedicata al suo presidente preferito, William McKinley, potrebbe essere facilmente cambiato tra quattro anni.
Ma se Chait sembra sottovalutare la portata degli ordini «simbolici», che comunque segnano un cambio culturale in alcuni casi disorientante e talvolta perturbante, è sulle materie sensibili che Trump faticherà.

Temi sensibili

La prima delusione, per chi si era illuso, è che non ha posto fine in un giorno, come aveva promesso, alla guerra in Ucraina. La seconda è che, se ha vinto anche e soprattutto per l’aumento del costo della vita (reale e percepito), addebitato dal popolo a Biden, difficilmente riuscirà a farlo calare. Anche sui dazi non sarà facile far combaciare minacce e realtà. Per ora l’ordine si limita a dire genericamente: «Il Segretario al Commercio, in consultazione con il Segretario al Tesoro e il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, esaminerà le cause dei grandi e persistenti deficit commerciali annuali del nostro Paese in termini di beni, nonché le implicazioni e i rischi economici e di sicurezza nazionale derivanti da tali deficit, e raccomanderà misure appropriate».

L’economia

Ma anche gli annunci roboanti possono avere qualche controindicazione. Perché se vuole davvero realizzare «il più grande piano di espulsione di massa della storia» non sarà facile. E se gli americani sono in generale favorevoli, nel dettaglio non lo sono poi così tanto: «Un sondaggio Axios ha rilevato che una forte maggioranza si oppone alla separazione delle famiglie, all’impiego di militari in servizio attivo per localizzare gli immigrati clandestini e all’utilizzo di fondi militari per attuare la politica sull’immigrazione». In più i contraccolpi sull’economia per il venir meno di manodopera a basso costo, ingrediente fondamentale di ogni capitalismo che si rispetti, rischiano di essere importanti. E a proposito di economia, sia Bush nel 2001 sia lui nel primo mandato del 2017, sono arrivati con una bassa inflazione e tassi di interesse bassi o in calo. Il copione del taglio delle tasse e aumento della spesa rischia di creare conseguenze immediate poco controllabili. Come potrebbe rimediare Trump? Tagliando la spesa sociale per i poveri . Ma anche questo, dice Chait, «potrebbe costituire una potenziale fonte di reazione per gli elettori a basso reddito che lo hanno votato».

Il calo dei prezzi

Il New York Times ha fatto un check alle principali promesse e anche il Washington Post ha stilato una tabella con le prime che sono state infrante. L’idea di abbassare i prezzi dei generi alimentari sarà difficilmente realizzabile e anche non del tutto auspicabile: «Un calo generalizzato dei prezzi, noto come “deflazione” – scrive il New York Times – è solitamente associato a economie impantanate in profonde recessioni». Altra promessa che non dovrebbe mantenere: fare scendere il prezzo della benzina sotto i due dollari «al gallone». Trump ha annunciato che porterà l’industria automobilistica ai livelli di 37 anni fa: «Improbabile – scrive il quotidiano – le case automobilistiche dovrebbero più che raddoppiare la loro produzione». Molte delle leggi proposte – come l’aumento della pena di morte e l’immunità totale alla polizia – dipendono dal Congresso, dagli Stati federati e dalla Corte Suprema. E non è detto che ottenga sempre il via libera.

Fake news

Quanto al taglio del bilancio, per il quale è stato messo al comando un Elon Musk pronto con la motosega, i piani annunciati si sono già ridotti da 2 trilioni di dollari a uno soloIl mancato rispetto delle promesse sarà un problema per Trump? Dipende. L’impatto potrebbe essere ridotto dal controllo delle principali fonti di informazione. La verità alternativa è sempre dietro l’angolo. Le fake news non sono poi così fake, se le propala l’X di Musk (che ora potrebbe prendersi pure TikTok). La rivolta del Campidoglio è già diventata una passeggiata di patrioti, pronti per scendere in politica. E, dice Chait, «oggi il Watergate verrebbe trattato come una caccia alle streghe». Il vero problema di Trump, nota, è che l’amministrazione si è già trasformata in una sorta di setta con tanto di cortigiani e adulatori, che non lo metteranno in guardia da errori catastrofici. E «nello spettacolo inaugurale di dominio e intimidazione, Trump ha piantato i semi del suo stesso fallimento». Non ne siamo così sicuri, ma non ci resta che aspettare.

Questo articolo è apparso in origine all’interno della newsletter La Rassegna, a cura del Corriere della Sera. Per iscriversi, cliccare qui.

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