Sono indigenti, ma non chiedono gli aiuti di cui hanno diritto

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Tra sfratti e debiti, più cittadini faticano. Eppure non chiedono sostegno a Comuni e Cantone. I motivi? Un muro di burocrazia, sfiducia nell’autorità

Superano l’imbarazzo, la vergogna e cercano aiuto perché non sanno più dove sbattere la testa, sommersi da debiti che si accumulano di mese in mese, messi dinanzi a uno sfratto imminente, a troppe bollette non pagate, a un salario che non basta. Un sottobosco di precarietà che non emerge completamente dalle statistiche degli aiuti sociali, una zona grigia di invisibili che non potendo o non volendo chiedere un sostegno statale si rivolgono, come ultima spiaggia, a enti e strutture di prima accoglienza. Abbiamo raccolto qualche cifra che ci aiuta a capire. Come i 40mila pasti caldi erogati lo scorso anno al Centro diurno Bethlehem (alla Masseria) a Lugano e al centro di accoglienza Casa Martini a Locarno. Come le 180 persone ospitate a Casa Marta, la struttura per chi è in difficoltà nel cuore di Bellinzona. «Purtroppo non abbiamo potuto accogliere alcune richieste perché non avevamo abbastanza spazio», spiega Renato Minoli, presidente della fondazione promotrice del progetto. E ancora: i 140 passaggi a Casa Astra a Mendrisio per persone marginalizzate senza fissa dimora, giovani in rottura con la famiglia, pazienti psichiatrici dimessi, stranieri di passaggio, disoccupati. «È stato un anno record in termini di occupazione. Nel 70% dei casi ospitiamo svizzeri residenti», precisa il direttore Donato Di Blasi. Tutte strutture che oltre a garantire un letto (non al Centro Bethlehem) e un pasto caldo, offrono ascolto, rifugio e sostegno a centinaia di persone bisognose. Sotto pressione anche Tavolino Magico, che ogni settimana distribuisce cibo salvato a tremila persone nella Svizzera italiana attraverso una rete di 17 centri di distribuzione. Non basta ancora. L’associazione si appresta ad aprire nuovi punti dove distribuire il cibo a nuovi precari. E ancora: 800 persone aiutate nel 2024 da Caritas.

Ti-PressDonato Di Blasi direttore di Casa Astra

Anche a Lugano le famiglie faticano

Anche la Città di Lugano è parecchio sollecitata. «La povertà assoluta è gestita, per intenderci chi non ha un tetto e del cibo. Mentre la povertà relativa sta aumentando a causa dei rincari e dell’erosione del reddito. Il potere d’acquisto diminuisce sempre di più. Basta un piccolo imprevisto – come il dentista o un danno all’auto – per intaccare i bilanci familiari. Tanti fanno fatica e qualcuno arriva a fare delle scelte tra pagare la cassa malati o lasciare indietro l’affitto», ci spiega Davide Restelli, responsabile per la Città del Settore sostegno alla Divisione socialità. Molti poi bussano la porta ai vari enti, dalla Croce Rossa al Soccorso d’inverno e altri ancora.

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La sfiducia nelle istituzioni

Spesso chi chiede aiuto sta accumulando da tempo fatture scoperte. Le cose si trascinano nell’attesa che magicamente qualcosa accada. Si aspetta, si aspetta, si chiede un prestito a familiari e amici. Si aspetta ancora. Un piccolo problema diventa una voragine. Scopriamo che molti precari avrebbero diritto ad aiuti pubblici ma non li chiedono al Comune, al Cantone. Intanto la situazione peggiora. Perché se esistono delle prestazioni sociali, i ticinesi in difficoltà che ne hanno diritto non si fanno avanti? È la domanda che si fanno tanti assistenti sociali. «La sfida è come raggiungere queste persone in modo informale», precisa Restelli. Troppa burocrazia, mancanza di informazione, sfiducia nelle istituzioni, timore di venire penalizzati, sono alcune giustificazioni di chi si tiene lontano dai radar dei servizi sociali (vedi box). «Effettivamente soprattutto i giovani faticano ad avvicinarsi alle istituzioni. Altri invece si scoraggiano nel produrre la documentazione richiesta», conclude. Verificare è importante ma non deve diventare un muro burocratico invalicabile. Il non ricorso alle prestazioni sociali è un problema che tocca vari cantoni elvetici – stimato in 40-50% di potenziali beneficiari – e si stanno promuovendo iniziative per risolverlo, come quella del canton Jura.

Progetto pilota al Centro Bethlehem

Tra gli invisibili tanti genitori soli e indebitati

Un centinaio di pasti caldi in media al giorno e 5’500 consulenze sociali: sono solo alcuni degli aiuti erogati lo scorso anno al Centro diurno Bethlehem (alla Masseria) a Lugano e al centro di accoglienza Casa Martini a Locarno. «Chi vive situazioni di disagio apprezza il fatto di avere qualcuno che lo accoglie e aiuta. Osserviamo situazioni sempre più complesse: c’è chi arriva perché viene sfrattato, poi approfondendo emergono precetti esecutivi per bollette della luce e leasing scoperti, fatture del telefono dei figli non saldate per svariate migliaia di franchi, richiami per i premi di cassa malati. Si inizia con un imprevisto finanziario, si cerca invano di tamponare con prestiti di amici e familiari. Vediamo persone in difficoltà che avrebbero diritto ad aiuti sociali ma non li richiedono», ci spiega fra Martino Dotta, direttore della Fondazione Francesco che gestisce i due centri. Aiuti comunali, cantonali che potrebbero evitare il peggio perché prevenire è meglio che curare poi situazioni trascinate e diventate insanabili: «Spesso le persone non sanno che hanno dei diritti, non sanno come attivare delle prestazioni specifiche. Noi forniamo un sostegno anche in questo senso». Da oltre un anno al Centro diurno Bethlehem è in corso un progetto pilota, voluto da Cantone e Città, di sportello sociale di orientamento, senza obblighi di comunicazione allo Stato. «Pur non avendo fatto pubblicità abbiamo già fatto oltre 400 consulenze sociali, più di una al giorno. Ci prendiamo il tempo per ascoltare e indirizzare le persone in un contesto informale. È nostro auspicio poter attivare lo stesso progetto anche a Casa Martini a Locarno».

Ti-PressFra Martino Dotta direttore della Fondazione Francesco

Molti non conoscono i loro diritti

Per la prima volta c’è una fotografia degli ‘invisibili’ e di chi, pur avendone diritto, non chiede aiuto all’autorità. Dalle cifre capiamo chi sono: famiglie monoparentali, soprattutto donne tra 35 e 45 anni. Circa la metà non lavora (222) ma c’è anche chi pur avendo un’attività lucrativa (61) è in difficoltà, una buona parte sono appunto genitori soli. Un quarto circa già riceve prestazioni sociali (come assistenza, invalidità …) e una settantina ne avrebbe diritto ma non le richiede. I motivi? Al primo posto, c’è la mancanza di risorse personali, come non sapere riempire un formulario, avere accesso al digitale e giostrarsi nella complessa burocrazia degli aiuti pubblici. Altri fattori che scoraggiano alle prestazioni pubbliche sono la sfiducia nelle istituzioni, non conoscere i propri diritti, il timore di un controllo sociale, di venire penalizzati. «Ci sono stranieri con regolari permessi di soggiorno che rinunciano agli aiuti sociali, come disoccupazione per l’ingiustificato timore che ciò possa bloccare il rinnovo del permesso di soggiorno o il percorso di naturalizzazione. Non dimentichiamo che gli stranieri con maggiori difficoltà d’integrazione e problemi linguistici, come tanti nostri anziani, fanno già fatica a districarsi nella burocrazia», precisa fra Martino Dotta.

Funzionari non sempre empatici

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Tra le 400 consulenze ci sono svizzeri (50), parecchi sono cittadini Ue (180), la maggioranza ha un permesso di soggiorno (165 contro 130 senza permesso). «C’è chi rinuncia a chiedere aiuti perché scoraggiato dalla tanta documentazione da produrre, perché si vergogna, perché ha avuto cattive esperienze con funzionari non sempre empatici. Aiutiamo queste persone a riprendere i giusti contatti», precisa il frate. Se tante consulenze si traducono poi effettivamente anche in nuovi aiuti attivati sarà verificato nei prossimi mesi.

La soluzione del Canton Jura

‘Abbiamo adattato i servizi ai cittadini’

«Sono i servizi sociali, che devono adattarsi ai bisogni dei cittadini e non il contrario». Lo ripete più volte Raphael Fehlmann dell’Ufficio azione sociale del Canton Jura impegnato in una campagna cantonale innovativa di ascolto, orientamento e sostegno per chi si trova in difficoltà economiche. Lo scopo: comprendere il profilo e i motivi di chi non fa ricorso alle prestazioni sociali e informarli sui loro diritti. «Stimiamo che diecimila persone nel Jura sono indigenti ma solo la metà beneficia di prestazioni. Alcuni ricevono sostegno da parenti e amici, ma almeno 3’500 persone necessitano di un intervento statale per non scivolare in uno stato di povertà. Sono soprattutto famiglie monoparentali, con bassa istruzione, e donne», spiega.

Consulenze la sera e il sabato

Bisognava agire, tamponare subito per non trovarsi tra le mani casi ancora più disastrati e costosi per l’ente pubblico. È stato creato un sito semplice, snello, fresco, molto diverso da quello del servizio sociale cantonale, dove si invita i cittadini con problemi finanziari a farsi avanti. Poi cartelloni e flayer.

Flessibile e semplice. Il contatto con gli operatori è via cellulare, Sms, e-mail, anche la sera e il sabato, lasciando, chi lo volesse, anche uno pseudonimo. «Il cittadino veniva ricontattato nel giro di tre giorni. Nella telefonata iniziale si ascoltava e forniva un primo orientamento. Poi si decideva se e dove (anche al bar o a domicilio, non per forza al servizio sociale) fare un ulteriore colloquio, garantendo massima confidenzialità e nessun obbligo di un seguito», precisa. Questo approccio informale ha dato i suoi frutti. «Durante 6 settimane di campagna ci hanno contattato 143 cittadini. Gran parte delle richieste si sono risolte nel colloquio di orientamento. Sette assistenti sociali si sono suddivisi il lavoro adeguando (con 5-10% in più) la loro percentuale di impiego. Costo totale 50mila franchi». Tra i motivi riportati per stare alla larga dai servizi, continua Fehlmann, c’era ignoranza riguardo ai propri diritti, vergogna, timore di perdere il permesso (se stranieri), anche precedenti rifiuti scoraggiavano richieste successive anche se la situazione era cambiata. Quanti poi hanno davvero cambiato la loro situazione è tutto da chiarire. «Richiamare dopo un mese è troppo presto per capire l’evoluzione del caso. Sarà la prossima tappa del progetto», conclude il funzionario che era alla tavola della povertà della Città di Lugano.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Casa Astra e Marta sotto pressione

Occupazione record nel 2024 per le strutture di prima accoglienza per i più bisognosi: oltre 180 persone ospitate a Casa Marta a Bellinzona, 140 a Casa Astra a Mendrisio, 1’291 pernottamenti a Casa Martini a Locarno. Non solo un letto, un pasto, una doccia, vestiti ma anche ascolto, accoglienza, una parola di conforto quando necessaria, e le indicazioni utili per risolvere un problema di alloggio, di lavoro, familiare o altro.

‘Un cuscinetto tra un prima e un dopo’

«La richiesta non manca e lo si vede dai numeri. C’è chi si ferma una notte e chi resta per mesi. Arrivano qui indirizzati dai servizi sociali cantonali, ma abbiamo accolto anche una famiglia, perché un incendio aveva distrutto la loro casa», ci spiega Giordano Cusini, direttore di Casa Marta che offre una trentina di posti letto.

Ti-PressGiordano Cusini, direttore di Casa Marta

La comunità a Casa Marta è variegata. C’è chi riceve un aiuto in urgenza, come stranieri di passaggio senza un permesso valido: «Spesso cercano lavoro in Ticino e dormono in posti di fortuna. Talvolta ce li porta la polizia. A dipendenza del Paese di origine possono restare da una a tre notti», precisa Cusini. Poi c’è la precarietà ordinaria indigena. «Ospitiamo chi viene sfrattato, stranieri in attesa di una decisione, chi viene dimesso da cliniche o dal carcere e non può rientrare al proprio domicilio o deve trovarne uno nuovo. Anche mamme coi loro figli che necessitano per qualche tempo di un posto sicuro. Fungiamo insomma da cuscinetto tra un prima e un dopo», aggiunge. In generale, continua il direttore, vediamo tanta precarietà. «Persone in assistenza o al beneficio dell’invalidità, senza un reddito, con grossi problemi economici. In alcuni casi ci capita di accompagnare le persone che si rivolgono a noi (svizzere o con un permesso valido) nell’attivazione di eventuali prestazioni o nella presa in carico da parte di qualche servizio specifico, in un’ottica di lavoro di rete».

Ti-PressA Casa Marta
Ti-Press

‘Accogliamo tanti casi psichiatrici’

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procedure celeri

 

Medesima situazione, più a sud, a Casa Astra a Mendrisio. «Con 140 passaggi, il 2024 è stato un anno record con un tasso di occupazione sopra il 75%», ci spiega il direttore Donato Di Blasi. Buona parte dei casi sono ‘autosegnalazioni’, ma c’è chi arriva grazie al passaparola, chi accompagnato dalla polizia, chi viene segnalato da medici, curatori, ospedali. Il 70% sono svizzeri residenti. Anche qui i volti del disagio sono variegati. «Si percepisce una fatica generalizzata, ovviamente più accentuata per i più fragili. Osserviamo un aumento degli ospiti (dai 18 ai 55 anni) con problemi di dipendenza che stanno seguendo importanti terapie sostitutive o stanno facendo percorsi di cura in clinica psichiatrica. Alcuni faticano a trovare un alloggio o gestirsi in un appartamento», precisa.

Ti-PressA Casa Astra

Quel timore di perdere il permesso di soggiorno

«Il Servizio sociale di Caritas Ticino lo scorso anno ha registrato circa 500 contatti che si sono tradotti in interventi per circa 800 persone (tra persone singole, coppie e nuclei familiari)» spiega il vicedirettore Marco Fantoni. I rincari pesano soprattutto sulla fascia media che spesso non accede a diritti o sussidi e, al tempo stesso, non ha aumenti salariali adeguati. «In Ticino ci sono aiuti sociali, ma la politica di tagli sta rendendo tutto più difficile. Stiamo attenti a non distruggere ciò che abbiamo costruito, mantenendo alta l’attenzione sui più fragili». Si rivolge a Caritas, continua, anche chi ha fatto richiesta dell’assistenza e non sa come pagare le fatture nei mesi di attesa. A bussare alla porta di Caritas Ticino anche chi, pur avendone diritto, evita di chiedere aiuti sociali. «C’è chi teme la revoca del permesso di soggiorno o di domicilio in caso di ricorso agli aiuti sociali. Forse la politica porrà correttivi».Infatti l’iniziativa parlamentare ‘la povertà non è un reato’ propone di non allontanare chi dopo 10 anni in Svizzera dovesse chiedere aiuti sociali. A meno che non abbia intenzionalmente causato la propria indigenza o non abbia fatto nulla per cambiarla.



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