Immigrati, continua la guerra dei giudici al Piano Albania

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Sono arrivati a Bari la sera dell’1 febbraio i 43 emigranti illegali – 35 egiziani e 8 bengalesi – che nei giorni precedenti, dopo essere stati intercettati dalla Guardia costiera italiana nel Mediterraneo, erano stati portati a Gjader, il centro allestito in Albania dall’Italia per ospitare persone provenienti da Paesi sicuri, che cioè non presentano situazioni critiche – guerre, persecuzioni, situazioni di violenza estrema – tali da giustificare, se non in casi specifici, una richiesta di protezione internazionale. In considerazione di ciò, l’esame delle richieste di chi proviene da quei Paesi segue una procedura più snella, rispetto a quella adottata per gli altri richiedenti asilo in Italia, e senza possibilità di appello se vengono respinte.


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Ma la Corte d’appello di Roma non ha convalidato il trattenimento in Albania dei 43 emigranti (altri sei erano già stati portati in Italia, alcuni perché minorenni, altri per le loro condizioni di salute, secondo quanto prevede il Piano Albania). Anche se le loro richieste di asilo erano state respinte nel centro di Gjader, adesso, in Italia, tutti i 43 emigranti illegali hanno facoltà di ricorrere in Cassazione ed è presumibile che lo facciano, per poter rimanere in Italia, facilitati dal fatto che, come tutti i richiedenti asilo ai quali le commissioni territoriali rifiutano protezione internazionale, potranno usufruire del gratuito patrocinio grazie al quale le loro spese legali saranno a carico dello Stato italiano. Non mancano gli avvocati volenterosi e a quest’ora qualcuno di sicuro si è già messo in contatto con loro offrendosi di assisterli. Tuttavia i loro ricorsi difficilmente saranno accolti perché se i funzionari italiani in Albania hanno ritenuto infondate le loro richieste di asilo vuol dire che non appartengono a categorie sociali a rischio. Ad esempio, non sono cristiani che in Egitto e Bangladesh, due Paesi a maggioranza islamica, possono essere soggetti a discriminazioni e abusi che in certi casi potrebbero giustificare una richiesta di protezione internazionale.


I giudici hanno deciso di non convalidare il trattenimento in Albania delle persone provenienti dai 19 Paesi che il governo italiano considera sicuri con la motivazione che esistono discrepanze tra i criteri adottati dall’Italia e dall’Unione Europea per stabilire se un Paese è sicuro. Come aveva fatto il tribunale di Roma in due casi precedenti, i giudici d’appello hanno quindi rinviato gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. L’UE ritiene che per essere giudicato sicuro, un Paese deve esserlo su tutto il suo territorio nazionale, in ogni sua parte, e per ogni categoria di cittadino. In questi termini, in effetti, nessun Paese, proprio nessuno può dirsi sicuro, neanche l’Italia. D’altra parte tutti sanno che l’Egitto, il Bangladesh e gli altri Stati – Capo Verde, Senegal, Costa d’Avorio, Marocco… – inclusi nell’elenco sono, proprio come l’Italia, sostanzialmente sicuri. Negarlo è solo un espediente che serve a ostacolare i piani del governo italiano per fermare l’immigrazione illegale, esattamente come chiedere asilo sostenendo di essere in fuga da guerre e persecuzioni, anche se non è vero, è l’espediente per non essere espulso di chi vuole entrare in Europa senza documenti, approfittando della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.


«Albania, tutti liberi», ha commentato il Progetto Melting Pot Europa; simile anche il titolo dell’Ansa: «Tutti liberi i 43 migranti portati in Albania». «Tutti salvi», è invece il titolo del comunicato esultante diffuso dall’associazione Tavolo Asilo e Immigrazione.


«Tutti liberi», si è detto. Gli emigranti illegali che vengono trasferiti in Albania non possono lasciare Gjader, il centro di accoglienza, dove peraltro è previsto che restino per poco tempo, quello necessario a espletare la loro pratica secondo la modalità semplificata prevista per loro. In Italia invece possono lasciare l’appartamento, la stanza, la struttura in cui vengono ospitati, sono liberi di uscire e muoversi sul territorio nazionale. Sessanta giorni dopo aver presentato richiesta di asilo possono anche lavorare. In questo senso, e in questo soltanto, si può dire che adesso quei 43 emigranti sono “liberi”.


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«Tutti salvi». La domanda è: ma da che cosa? Il rischio dal quale sono stati salvati è di non mettere piede in Italia, la loro meta, il motivo per cui hanno lasciato i loro Paesi e hanno accettato di pagare migliaia di dollari alle organizzazioni che gestiscono i viaggi illegali dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina all’Europa. Se invece per “salvi” si intende da minacce alla vita, alla libertà, all’incolumità, allora, ammettendo che fossero stati in pericolo, e non è il loro caso, salvi, tutti o gran parte di essi, lo erano già prima di imbarcarsi per raggiungere l’Italia attraversando il Mediterraneo, e di sicuro lo erano in Albania.


Che fossero già salvi è doppiamente vero per quelli partiti dalla Tunisia. Nel 2023 più del 50% degli emigranti illegali arrivati in Italia si erano imbarcati sulle sue coste. Nel 2024, con una percentuale scesa al 29%, il Paese ha continuato tuttavia a essere una delle principali destinazioni degli emigranti illegali diretti in Europa via mare. La Tunisia è tra gli Stati a ragione classificati sicuri dall’Italia. Inoltre ospita una sede dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati e una dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Delle decine di migliaia di emigranti illegali in attesa di imbarcarsi, ce ne sono che chiedono e ottengono dall’Alto Commissariato lo status di rifugiato. Dovrebbero pensare di avercela fatta, la loro peregrinazione è finalmente terminata. Invece, «non serve a niente – dicono – non mi aiuta a raggiungere l’Europa».




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