«La terra come la famiglia va rigenerata perché doni buoni frutti»

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La sesta e settima generazione di Bonduelle durante l’ultima assemblea degli azionisti (aprile 2024)

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Le insalate in busta, i piatti pronti, i surgelati e le verdure in conserva. Prodotti di un marchio immancabile negli scaffali dei supermercati e sulle tavole di tante famiglie. Ma prima ancora della leadership nelle vendite e tra i consumatori c’è stata un’idea semplice e forte: creare un futuro migliore attraverso le verdure. È questa la mission che da sempre ispira l’attività della famiglia Bonduelle, unita in un legame indissolubile con il mondo dei vegetali, convinta che un’alimentazione che viene dai prodotti della terra fa bene alla salute delle persone, oltre a quella del pianeta. C’è un aneddoto che lo racconta bene. Quando, nel ’47 arriva dagli Stati Uniti l’onda del marketing, i fratelli Benoit e Pierre devono decidere come chiamare la loro impresa. Uno sostiene che dare il nome Bonduelle ne aumenterebbe la responsabilità. Bisogna metterci la faccia, dice. Il fratello non è convinto: lo infastidisce l’idea che il nome della famiglia sulle confezioni dei prodotti possa finire tra i rifiuti. Ma la possibilità di rappresentare il valore di un’alimentazione vegetale vince ogni resistenza. Nasce così nasce il marchio Bonduelle come lo conosciamo ora. A ricordarlo è Maxime Bonduelle, che di Benoit è il pronipote, e che oggi è General Manager Bell South Europe Bonduelle. Quarant’anni, una laurea in business administration, vive a Bergamo con la moglie Agathe e il loro tre bambini: Arthur, 5anni, Garance, 3 anni ed Henri, 16 mesi. Maxime rappresenta la settima generazione di un’azienda familiare che ha una storia lunga 171 anni.

E lei, signor Bonduelle, cosa pensa nel vedere il suo nome stampato sulle buste di insalata e sulle confezioni di mais?

Lo vedo da quando sono nato, fa parte della mia vita. Ne sono molto orgoglioso e ne sento la responsabilità. Forse bisognerebbe chiederlo a mia moglie che ha acquisito il mio cognome … ( e sorride divertito).

Lei rappresenta un’azienda a conduzione familiare che ha sfidato i tempi e ha attraversato oltre un secolo di profonde trasformazioni storiche e sociali.

La mia famiglia è passata in mezzo a tre guerre e una volta la fabbrica storica di Renescure è stata completamente rasa al suolo. Se la nostra impresa è ancora qui, salda e vitale, è sicuramente in virtù di un grande valore che ci accompagna: la resilienza, che ci ha permesso di affrontare ogni difficoltà.

Proprio in tema di valori, suo padre, Christophe Bonduelle, Ceo nel 2002, ha detto: «Potremmo avere necessità di soldi per costruire la reputazione di un brand, ma abbiamo anche bisogno di tempo per costruirne i valori. In una famiglia, questo tempo è chiamato generazioni». Quali valori hanno ispirato la sua famiglia?

Sono valori connaturati alla nostra storia e li potremmo individuare in 7 principi: integrità, eccellenza, attenzione alle persone, apertura, fiducia, equità e semplicità. Sono ugualmente importanti e contraddistinguono ogni aspetto della nostra attività, sia per la famiglia che per le persone del Gruppo.

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In che modo si realizza una produzione attenta al benessere delle persone e del pianeta?

Il nostro tratto imprescindibile è un approccio che noi chiamiamo agricoltura rigenerativa. Si basa su pratiche agricole che servono a contrastare l’impoverimento delle risorse naturali e che si attengono al rispetto del suolo, la conservazione dell’acqua, la riduzione dei pesticidi. D’altra parte c’è un numero crescente di popolazione alla quale dobbiamo garantire i nostri prodotti. Noi puntiamo a questo duplice obiettivo, lavorando da generazioni con i nostri partner agricoli. Investiamo, facciamo formazione e sperimentiamo, perdendo, a volte, in produttività ma puntando sempre al benessere globale.

Questa attenzione alla realtà agricola dimostra che la terra fa parte del vostro dna.

Lo confermo. Non tutti in famiglia lavorano in azienda ma molti, con varie competenze, sono comunque impegnati nel settore dell’agricoltura. Come mio fratello Felix e tanti dei miei cugini, per esempio, che sono ingegneri agricoli. La terra è nel sangue di tutti noi.

Siete presenti sulle tavole di tante famiglie: come vi sintonizzate sui loro bisogni?

Andando incontro ai trend che cambiano a velocità sempre più sostenute. La tipica cena familiare con primo, secondo, frutta e dolce è meno frequente perché anche i tempi a tavola si sono fatti più rapidi. Un’esigenza alla quale abbiamo risposto con nuovi canali come quello della gastronomia fresca. L’offerta si diversifica in base alle abitudini di consumo.

Qual è il suo primo ricordo d’infanzia? I luoghi, sapori e profumi che l’hanno vista crescere e diventare la persona di oggi? Ho in mente un’immagine di me bambino, avrò avuto 4 o 5 anni, mio papà era direttore di stabilimento. Ricordo con emozione il giorno in cui il personale organizzò un barbecue al termine della campagna di raccolta. Rivivo il senso di orgoglio e di appartenenza alla nostra vita familiare provato quel giorno, benché fossi così piccolo. Fondamentale poi l’esperienza fatta a 18 anni, entrando in fabbrica per un lavoro estivo. Nonostante fossi il figlio del capo non ho ricevuto nessun trattamento di favore, ho percepito il salario previsto per la mansione. Si è trattato di una prova fondamentale dal punto di vista professionale e umano.

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Una figura di riferimento?

Sarebbe facile dire che è il papà. Ma oltre a mio padre, devo molto al nonno paterno, Felix. Tra le tante cose che ha fatto per l’azienda, è lui che, insieme a un cugino, ha inventato il mix di carote e piselli che ha avuto così grande successo. Un giorno è andato in fabbrica, ha visto il macchinario che mixava le sementi e ha detto: datemelo. Ci ha messo i piselli e le carotine, creando il mix, poi l’ha messo in conserva nelle latte creando un prodotto assai venduto e apprezzato. Non è mai stato un suo obiettivo diventare Ceo, nonostante avesse tutte le caratteristiche per ricoprire quel ruolo. Ma lui aveva un’anima commerciale e ha preferito restare in quella dimensione. Ho sempre considerato questa scelta un segno di umiltà, la dimostrazione che si può esercitare un grande impatto sull’impresa e sul business non ricoprendo per forza un ruolo apicale.

Lei invece quando ha deciso di “entrare in campo” e dedicarsi all’azienda?

Si è trattato di una scelta. Non sono mai stato spinto direttamente ad assumere un ruolo nell’impresa. A guidare la decisione è stato il desiderio di lasciare un’impronta significativa nella crescita dell’azienda e nella realizzazione dei suoi valori. Prima di entrare in Bonduelle, ho lavorato per dieci anni in un’importante multinazionale del settore sportivo che condivide con la nostra impresa molti valori, a cominciare dalla sostenibilità, il rispetto delle persone, e soprattutto l’approccio familiare. Ecco, se dovessi mai lasciare Bonduelle, non potrei che scegliere un “family business”.

Perché l’approccio familiare è così importante per il successo di un’azienda?

Principalmente perché un’azienda familiare ha una visione di lungo periodo e questo aspetto permette di fare progetti con una prospettiva lunga, puntando a mete ambiziose, come noi abbiamo fatto impegnandoci per l’obiettivo dell’agricoltura rigenerativa. Poi perché la visione di lungo termine consente anche di fare errori, imparando e raggiustando il tiro.

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Lei rappresenta la settima generazione della famiglia Bonduelle. Quanto è pesante questa eredità?

Ogni generazione porta la propria impronta, rispettando la tradizione scrive un nuovo capitolo di storia. Quella di mio nonno ha vissuto il periodo dell’internazionalizzazione, ha collaborato all’apertura di nuovi mercati e all’introduzione dei surgelati. Un processo che è continuato con la generazione di mio papà, che ha avviato la divisione del fresco e ha portato Bonduelle oltre oceano. A noi spetta il compito di ispirare i consumatori a scegliere un’alimentazione a base vegetale, continuando a seguire l’approccio di agricoltura rigenerativa, per diffondere un impatto positivo sul pianeta. Ma di quello che saremo realmente in grado di fare ne dovremmo riparlare tra vent’anni!

Un progetto che le sta a cuore è quello della Fondazione Bonduelle.

Il progetto è nato vent’anni fa, per volere di mio padre, al fine di sostenere l’urgenza del cibo sostenibile. C’è un programma di investimento di 1,25 milioni nei prossimi 5 anni, al quale abbiamo voluto contribuire direttamente come famiglia, non solo attraverso l’azienda. Prima di deciderlo però ci siamo seduti intorno a un tavolo e ci siamo detti: se anche solo uno di noi non fosse d’accordo il progetto non parte. Ma tutti hanno detto sì e la Fondazione oggi è operativa in 4 Paesi: Francia, Italia, Spagna e Stati Uniti, con varie attività che promuovono l’alimentazione sostenibile attraverso progetti di educazione e sensibilizzazione.





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