Papa Francesco ha voluto solennizzare oggi con un discorso il decimo anniversario dei due Motu Proprio ‘Mitis Iudex Dominus Iesus’ e ‘Mitis et Misericors Iesus’, con i quali ha riformato il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio. Lo ha fatto inaugurando il 96° Anno giudiziario della Rota Romana nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico.
“La necessità di modificare le norme relative al processo di nullità era stata manifestata – ha ricordato – dai Padri sinodali riuniti nell’Assemblea straordinaria del 2014, formulando la richiesta di rendere i processi più accessibili e agili”.
In proposito il Pontefice ha ribadito la centralità del ruolo del vescovo diocesano nel processo di nullità come da lui stesso riformato. “Ho voluto che al centro della riforma ci fosse – ha spiegato – il vescovo diocesano. A lui infatti spetta la responsabilità di amministrare la giustizia nella diocesi, sia come garante della vicinanza dei tribunali e della vigilanza su di essi, sia come giudice che deve decidere personalmente nei casi in cui la nullità risulta manifesta”.
Il Papa ha dunque sottolineato il carattere pastorale della sua Riforma: “Ho sollecitato l’inserimento dell’attività dei tribunali nella pastorale diocesana, incaricando i vescovi di assicurare che i fedeli siano a conoscenza dell’esistenza del processo come possibile rimedio alla situazione di bisogno in cui si trovano”.
“Ogni protagonista del processo si avvicina alla realtà coniugale e familiare con venerazione, perché la famiglia è riflesso vivente della comunione d’amore che è Dio Trinità”, ha quindi continuato Francesco. Nelle diocesi, ha chiarito, il vescovo deve garantire la costituzione di un tribunale con chierici e laici ben formati, “assicurandosi che svolgano il loro lavoro con giustizia e diligenza”. Quanto alla formazione, “scientifica, umana e spirituale”, per il Papa è fondamentale, investirvi porta sempre un beneficio ai fedeli, “che hanno diritto a un’attenta considerazione delle loro istanze, anche quando dovessero ricevere un riscontro negativo”.
Della sua riforma, Francesco ha inoltre menzionato in particolare, l’abolizione della “necessità della doppia sentenza conforme” e l’incoraggiamento “a decidere più velocemente le cause in cui la nullità risulti manifesta, mirando al bene dei fedeli e considerando di portare pace alle loro coscienze”, raccomandando tuttavia di applicare le norme, senza dimenticare la carità. Infatti, ha rimarcato, “la famiglia è riflesso vivente della comunione d’amore che è Dio Trinità” e per questo “ogni protagonista del processo si avvicina alla realtà coniugale e familiare con venerazione”.
“I coniugi uniti nel matrimonio – ha osservato a questo punto Papa Bergoglio – hanno ricevuto il dono dell’indissolubilità, che non è una meta da raggiungere con il loro sforzo, né tantomeno un limite alla loro libertà, ma una promessa di Dio”. Rivolgendosi ai giudici, ha aggiunto: “Il vostro lavoro di discernimento sull’esistenza o meno di un valido matrimonio è un servizio alla salus animarum, in quanto permette ai fedeli di conoscere e accettare la verità della propria realtà personale”.
Il Papa, infine, ha esortato a un’applicazione attenta delle norme: “È evidente – ma ci tengo a ribadirlo in questa sede – che la riforma interpella in modo forte la vostra prudenza nell’applicare le norme. E questo richiede due grandi virtù: la prudenza e la giustizia, che devono essere informate dalla carità”. Infine, Francesco ha incoraggiato i giudici della Rota: “Cari fratelli, la Chiesa vi affida un compito di grande responsabilità, ma prima ancora di grande bellezza: aiutare a purificare e ripristinare le relazioni interpersonali”.
I coniugi uniti nel matrimonio hanno ricevuto il dono dell’indissolubilità, che non è una meta da raggiungere con il loro sforzo, né tantomeno un limite alla loro libertà, ma una promessa di Dio, la cui fedeltà rende possibile quella degli esseri umani.
Il discorso del Pontefice è stato introdotto dal saluto del decano del Tribunale della Rota Romana, mons. Alejandro Arellano Cedillo, che richiamando l’invito rivolto dal Papa nella notte di Natale a mettersi in cammino per ritrovare la speranza, rinnovarla e “seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo”, ha assicurato che la Rota Romana si sente interpellata “dalle sfide del presente e del futuro”. Nella consapevolezza di essere, “quale Tribunale della famiglia cristiana”, “soltanto un ‘lembo del mantello’ della Chiesa”, attraverso cui le persone possono trovare pace grazie all’amministrazione della giustizia, il decano ha affermato che la Rota “vuole essere un segno di speranza che, come il Buon Samaritano, con giustizia e carità nella verità, si fa carico della vita dell’uomo, divenendo albergo per chi ha perso la speranza, riparo alla stanchezza di chi vaga cercando una risposta al desiderio di giustizia, ospedale per chi vuole sanare le ferite della vita, dimora, infine, per chi ha bisogno di essere accolto ed ascoltato, nella continua ricerca di orientare tutti alla visione dei beni futuri”.
“Pacatezza e pazienza”, sono state poi le virtù richiamate nell’omelia di una messa celebrata in mattinata dal segretario di Stato card. Pietro Parolin, che le ha definite “virtù necessarie e costituzionali”, insieme “all’impegno quotidiano di una fatica silenziosa” di “ogni buon giudice”. In tal senso, il porporato ha voluto citare “le sapienti parole” di un grande giurista laico dello scorso secolo quale Piero Calamandrei, che valgono anche per i giudici ecclesiastici: “Al giudice non si richiede tanto di essere un giurista profondo, un raffinato amatore di acrobazie teoriche, quanto di essere un uomo di buon senso e di esperienza umana che con diligenza e acume sappia ricostruire i fatti, senza indursi per amore del virtuosismo dogmatico, a perdere il contatto con il solido terreno della realtà”.
Sante Cavalleri
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