Migranti Albania, altro stop ai centri. La Corte d’Appello di Roma sospende il trattenimento di 43 migranti (che tornano in Italia)

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La decisione sembrava scontata: un copione già visto. Per i giudici della Corte d’Appello, i 43 migranti (erano 49 ma sei erano già tornati in Italia perché minorenni e vulnerabili e quindi non soggetti alla procedura di frontiera accelerata) intercettati in acque internazionali e trasferiti in Albania martedì, devono tornare in Italia e non possono essere trattenuti.

Il nodo è sempre quello della lista dei paesi sicuri, rivista dal governo, ma ritenuta dai giudici ancora in contrasto con il diritto Ue. 

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Migranti Albania, la decisione sui trattenimenti

E così, sabato sera, i migranti torneranno a Bari su una nave della Guardia Costiera. È un altro dei fronti aperti nello scontro tra magistratura e governo: «C’è grande stupore, perché a nostro avviso non c’è la necessità di aspettare il pronunciamento della Corte di giustizia europea», spiegano fonti di palazzo Chigi. I giudici della sezione internazionale della Corte d’Appello di Roma si sono astenuti in attesa della decisione della Corte di Giustizia europea, già interpellata proprio dai magistrati romani lo scorso novembre e alla quale si è rivolta anche la Cassazione. «Con la sospensione di parte degli immigrati trasferiti in Albania, si assiste a un atteggiamento di resistenza da parte di un pezzo della magistratura italiana nei confronti delle misure adottate per garantire la sicurezza e contrastare l’immigrazione irregolare», commenta il capogruppo di FdI alla Camera, Galeazzo Bignami. 

Le reazioni

Attaccano all’unisono le opposizioni. «Giorgia Meloni si rassegni, i centri in Albania non funzionano e non funzioneranno, sono un clamoroso fallimento» tuona la segretaria del Pd Elly Schlein. «Dalla Corte d’Appello una pietra tombale sul progetto in Albania» affonda Riccardo Magi, segretario di Più Europa. La Cassazione in un pronunciamento di indirizzo, rivolgendosi alla Corte europea, aveva chiarito che la lista dei paesi sicuri deve essere stilata dal governo ma i giudici devono valutare caso per caso.

La decisione

E ieri il Tribunale ha scritto: «L’applicazione della procedura accelerata ha determinato una compressione dei diritti del richiedente, al di là della sua situazione soggettiva e, pertanto, si rende necessario verificarne la legittimità anche in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti». Si fa in particolare al pronunciamento della Corte Ue secondo la quale»: «osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, si è pure ribadito lo specifico dovere del giudice di verificare d’ufficio, mediante reperimento ed esame delle informazioni fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, le violazioni delle condizioni sostanziali per la designazione di un paese come sicuro». I giudici citano anche la Costituzione con riferimento al diritto di asilo garantito a chi nel proprio non possa esercitare l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

E ancora: «Occorre tuttavia verificare se nella specie ricorrano o meno i presupposti legali della scelta operata dall’Autorità di disporre il trattenimento del richiedente nell’ambito di una procedura di frontiera, motivata in ragione della designazione del paese di origine del richiedente asilo quale paese sicuro. Se non sussistono le condizioni per la designazione del paese di origine quale paese sicuro, non poteva disporsi la procedura accelerata e il trattenimento ai sensi della medesima».

Il quesito

La questione che la Corte d’Appello intende sottoporre alla Corte di Giustizia con il rinvio pregiudiziale è se il diritto dell’Unione Europea debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che un Paese terzo sia definito di origine sicuro qualora, in tale paese, vi siano una o più categorie di persone per le quali non siano soddisfatte le condizioni sostanziali di tale designazione, enunciate nell’allegato I della Direttiva». Infine sottolinea il giudice: «L’opinione di questo consigliere è che il diritto unitario non consenta di designare sicuro un paese con esclusione di categorie – e a maggior ragione di dichiararlo sicuro per intero quando risulti che per alcune categorie di persone non lo sia». L’operazione si rivela, ancora una volta, fallimentare e insostenibile dal punto di vista giuridico.

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Soddisfatta l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione: «Il modello Albania mostra tutte le sue contraddizioni e la sua incompatibilità con i diritti fondamentali».

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