Juventus e Milan in crisi: la presunzione di Thiago Motta, il sigaro di troppo di Conceiçao

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di
Paolo Condò

L’ultima giornata di Champions League ha acuito la crisi di Juve e Milan. Non c’è feeling tra Motta e la squadra, rossoneri senza mentalità vincente

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Nelle conferenze stampa Thiago Motta cita sempre i suoi giocatori con il nome di battesimo («Dusan è stato bravo», «Nicolò mi è piaciuto», «Randal si è inserito bene») con l’intento scoperto di comunicare un senso di familiarità all’interno dello spogliatoio. Se li chiama tutti per nome, è perché lui vuole bene a loro e loro a lui

L’espediente è astuto, ma sguardi, rendimenti e nervosismi dei giocatori inviano un messaggio diverso: la Juventus è uscita rapidamente dal giro scudetto, e il massimo che ha saputo ottenere in Champions è un playoff dal lato debole (ritorno in trasferta). Nell’ultimo mese ha giocato 8 partite vincendone una — col Milan, l’altra grande malata — e subendo tre ko, gli ultimi due consecutivi, a togliere l’alibi dell’«almeno non perde». 




















































Perde eccome: rimontata e cancellata sabato dal Napoli, non pervenuta mercoledì col Benfica. Per essere sinceri c’è stato un momento, fra Bergamo e appunto Milan, in cui il bocciolo sembrava sul punto di schiudersi, ma lo 0-0 di Bruges ha addensato un nuvolone nero sull’ambiente, che sconta il disavanzo fra le aspettative (alte) che c’erano e i risultati, mediocri nei punti e nel gioco, che ci sono.

Thiago Motta non è mai stato il tipo di tecnico che blocca una formazione-tipo, anche a Bologna esercitava il potere della sorpresa al momento di consegnare la distinta all’arbitro: ma lì le cose andavano bene, la fiducia era illimitata, e come spesso accade il mood positivo rendeva gli azzardi geniali (memorabile quell’El Azzouzi buttato dentro dal nulla nella gara decisiva di Roma, e autore del primo gol). Qui la formazione rivoluzionata per il match fondamentale col Benfica, con la prima esclusione di Koopmeiners, il rilancio di Douglas Luiz, la scelta estemporanea dei terzini e perfino la promozione del dodici Perin (che è stato il migliore, ma che senso ha il turnover dei portieri nella partita chiave?) ha suggerito presunzione fin dalla lettura degli altoparlanti, diffondendo rapidamente quel clima di sfiducia nel quale giocare non è affatto semplice. E visto che non riesce ancora a spiegarsi con i risultati, Motta dovrebbe cominciare a farlo con le parole, perché quando risponde «ho inserito Nico al posto di Samu per migliorare la squadra», delle due l’una: o ci presenta un collega che fa un cambio per peggiorare la squadra, o significa che non sta dicendo nulla.

Il Milan ha già preso il provvedimento che la Juve cercherà di evitare, il cambio di allenatore, e come non di rado succede si trova ora in mezzo al guado, perché la cacciata di un tecnico sposta per convenzione su di lui tutte le colpe di una squadra che non rende in base alle attese. Ma quando il secondo tecnico va più o meno come il primo — e non possono essere tutti scarsi — il peso delle responsabilità si sposta sui giocatori e sulla società che li ha assemblati. 

E infatti le linee di mercato che si stanno sviluppando in queste ore sono un’abiura quasi totale (si salva Fofana) rispetto alle scelte estive. Conceicao ha commesso un errore, umanamente comprensibile: spinto dall’emotività del momento e dalle circostanze (e da un Ibra a caccia di rivincite instagrammabili) ha festeggiato la Supercoppa accendendosi un sigaro, che è il simbolo di un felice finale di stagione, non di un piccolo trofeo a metà della stessa. In una rosa drammaticamente priva di mentalità — cosa pensate voglia dire quel Maignan che dopo ogni errore riunisce i compagni per un’arringa? — quel sigaro è stato un segnale di rompete le righe, soluzione trovata, d’ora in poi filerà tutto liscio. 

L’1-1 col Cagliari è stata una secchiata d’acqua gelida, e da lì è ripresa la solita altalena, mezz’ora male mezz’ora bene, carattere sufficiente a una rimonta nel recupero col Parma ma non a scendere in campo a Zagabria (stadio Maksimir, glorioso ma non è Anfield) con la faccia di chi o vince o vince. Il derby di domenica è quindi un rischio più che un’opportunità: andasse male la depressione aumenterebbe, andasse bene comunque non si fiderebbe nessuno. Vedremo le crisi di Milan e Juve specchiarsi nel playoff di Champions? Il sorteggio di oggi contiene al 50 per cento un esito feroce.

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