La Banca centrale europea ha deciso un ulteriore taglio dei tassi: la rata di un mutuo da 125 mila euro a 25 anni potrebbe scendere di circa 17 euro subito e di altri 29 entro fine anno. I benefici nel reddito fisso e sui listini azionari
Come era nelle previsioni della stragrande maggioranza degli operatori, la Bce ha deciso di ridurre il costo del denaro in area euro dello 0,25%, portando il tasso sui depositi – considerato il riferimento del sistema dei tassi Bce – dal 3% al 2,75%. Alla base di questa decisione vi è la constatazione che il «processo disinflazionistico è ben avviato. L’inflazione ha
continuato a evolvere sostanzialmente in linea con le proiezioni dei nostri esperti e dovrebbe tornare all’obiettivo del Consiglio direttivo del 2% a medio termine nel corso dell’anno», ha commentato la presidente della Bce Christine Lagarde in conferenza stampa a Francoforte. La decisione di tagliare i tassi appare quantomeno opportuna perché «l’economia è in stagnazione nel quarto trimestre, e resterà debole nel breve termine», ha aggiunto Lagarde.
Con il nuovo calo del costo del denaro deciso dalla Bce (la Fed, invece, ha lasciato i tassi invariati) continua la discesa del costo dei mutui indicizzati. Anche in questa occasione il mercato ha anticipato le decisioni della Bce con la diminuzione rispetto a fine 2023 di circa 20 centesimi dell’Euribor, il parametro che serve per la definizione delle rata dei finanziamenti variabili.
Il taglio dei tassi
Il calo arriva in un momento in cui invece il costo del denaro a lungo termine fa fatica a scendere (ricordiamo che l’Euribor misura il costo da 1 giorno a un massimo di un anno) al punto che l’Eurirs, il tasso che funge da riferimento per il pricing dei mutui fissi e che è tarato su un orizzonte temporale ben più lungo (da 1 a 50 anni) è invece risalito.
La differenza tra Euribor ed Eurirs
La differenza tra i due tassi considerati benchmark per i mutui, l’Euribor trimestrale e l’Eurirs a 20 anni, ormai si è ridotta a circa 15 centesimi. A inizio 2024 si attestava a 130 centesimi. Si prevede che entro l’estate l’Euribor risulterà più basso dell’Eurirs e che i tassi di partenza dei variabili (sui quali le banche praticano spread leggermente più alti) si allineeranno a quelli dei fissi con conseguenze però ridotte sul mercato delle nuove erogazioni, perché a parità di costo è ovvio che la grande maggioranza degli acquirenti di casa che hanno bisogno del mutuo sceglierà la sicurezza del tasso fisso, mentre appare probabile, se le i tassi seguiranno le previsioni, un rallentamento delle richieste di surroga.
Il beneficio del variabile
Un sicuro beneficio dalla riduzione del costo del denaro lo ha chi il variabile lo sta già pagando da tempo. Facile.it ha effettuato qualche conto sullo scenario aperto dall’ennesima riduzione del costo del denaro. Secondo le analisi del portale la rata di un finanziamento indicizzato da 125 mila euro a 25 anni partito a gennaio 2022 e parametrato a Euribor +1,25% potrebbe scendere di circa 17 euro nei prossimi mesi, passando dagli attuali 666 euro a 649 euro e di altri 29 euro entro fine anno.
Lo scenario sulle rate
Comunque se si concretizzasse questo scenario per il debitore si tratterebbe di pagare comunque ben 193 euro in più rispetto alla rata iniziale. Bisogna però sottolineare che il mutuo in esame è un po’ bassino rispetto alla media Italia, che si attesta ormai sopra i 140 mila euro, e che si tratta comunque di un calcolo puramente indicativo perché le variazioni nel tempo delle rate indicizzate dipendono per buona parte dal tasso di partenza: più questo è basso maggiori sono le conseguenze sul costo per il debitore.
Cosa cambia per le azioni
La riduzione del costo dei tassi di interesse produce sempre effetti positivi sul mercato azionario perché rende meno costoso il finanziamento delle imprese e – almeno in linea teorica – favorire gli investimenti. Il quadro della congiuntura europea in questo momento non è brillante (ancora ieri la Germania ha ridotto le stime di crescita del Pil per il 2025 dall’1,1% allo 0,3%). I dati dell’ultimo trimestre per l’Italia confermano una crescita zero per l’ultima parte del 2024. Questo per dire che nemmeno il taglio dei tassi – e nel 2025 la Bce dovrebbe realizzarne altri 4, secondo le stime, portando il costo del denaro a fine anno all’1,75% – rappresenta una panacea (qui gli effetti sull’economia e sull’euro).
I comparti azionari favoriti
Le condizioni peraltro sono favorevoli all’investimento azionario tanto che l’indice Ftse Mib nel solo mese di gennaio ha già messo a segno un rialzo di oltre il 6%, dopo la crescita di circa 14% con si è concluso il 2024. Tra i settori maggiormente favoriti dal taglio dei tassi ci sono le utilities (elettriche e non solo) e, in parte, gli industriali il cui futuro è tuttavia condizionato soprattutto dalle prospettive di crescita dell’economia nel suo complesso. Le banche non sono avvantaggiate perché tende a ridursi il margine di intermediazione, vale a dire la differenza tra i tassi sui prestiti e quelli pagati sui depositi e sulla raccolta. Ma il settore continuerà a macinare utili tra i più alti dell’intero sistema economico ancora per tutto il 2025.
Cosa cambia sul mercato obbligazionario
Il taglio del costo del denaro da parte della Bce è già largamente incorporato dalle aspettive di mercato. Di conseguenza i rendimenti, sulle emissioni di breve periodo, le più sensibili nell’immediato alle decisioni di politica monetaria, hanno già cominciato a spingersi verso il basso. Nell’asta dei Bot semestrali del 29 gennaio (ieri), per esempio, il rendimento lordo è stato fissato al 2,536% (netto 2,009%). Nella precedente asta di Bot semestrali (a scadenza 30 maggio 2025) il rendimento lordo era stato del 2,724%. Come si vede il ribasso del rendimento di circa 22 punti base in un mese corrisponde grosso modo al taglio di 25 punti base che è stato annunciato oggi. Il ribasso dei rendimenti dunque c’è già stato, e proseguirà nei prossimi mesi, visto che le previsioni degli economisti stimano un tasso di riferimento Bce di arrivo all’1,75% entro la fine del 2025.
I Btp a 10 anni per adesso mantengono un rendimento i area 3,5%
Più complesso il discorso per quanto riguarda i rendimenti dei Btp a lunga scadenza, dai 10 anni in su, la cui cedola è in parte influenzata dal livello dei tassi e dalle decisioni della Bce e in parte dall’andamento dei tassi di mercato, che a sua volta dipende dalle aspettative economiche di lungo termine. Attualmente il rendimento del Btp a 10 anni oscilla tra il 3,5 e il 3,6%.
Nell’asta di oggi rendimenti in aumento sui Btp a 5 anni
Tuttavia, proprio oggi, per esempio, i rendimenti dei Btp offerti in asta dal Tesoro sono risultati in aumento. Nel dettaglio è stata collocata la nona tranche del Btp a 5 anni scadenza 01/10/2029 per un ammontare di 2,75 miliardi (a fronte di richieste per 4,504 miliardi) con un rendimento lordo, in aumento 16 centesimi sull’asta precedente, attestato al 2,95%. Emessa
anche la 11ma tranche del Btp decennale scadenza 01/02/2035. In questo caso il rendimento si è attestato al 3,57 per cento, sostanzialmente in linea con i valori di questi giorni.
Per concludere: se il taglio dei tassi da parte della Bce continuerà nei prossimi mesi ai ritmi ipotizzati dal mercato è molto probabile che anche il rendimento dei Btp possa scendere ulteriormente. Difficile, tuttavia ipotizzare un calo automatico dell’1% del rendimento sui 10 anni, nell’ipotesi di un taglio dei tassi di analoga entità da parte della Bce.
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