Molestie sessuali alla candidata rettrice a Torino, Laura Scomparin: «All’Università ne ho subite più di una volta, anche da colleghi. Non ho denunciato e ho sbagliato»

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di
Paolo Coccorese

Scomparin, 56 anni, insegna Procedura penale ed è in corsa per diventare la prima rettrice in città: «Un collega mi mise le mani addosso e mi limitati a parlarne, oggi ho capito la gravità dell’episodio»

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«Ho subito più di una molestia sessuale nel corso della mia vita universitaria. Molestie anche da parte di colleghi, alcuni sono già andati in pensione. Io, però, non ho mai denunciato. E a distanza di anni, mi sono chiesta: rifaresti la stessa cosa? No, perché ho acquisito una consapevolezza diversa». Laura Scomparin, 56 anni, docente di Procedura penale e direttrice scientifica del Master di giornalismo, è una delle docenti più note dell’Università di Torino. È in corsa per diventare la prima rettrice di Unito, dove nell’inverno scorso le proteste delle studentesse hanno fatto emergere alcuni casi di molestie squarciando il velo su un fenomeno sommerso.

«Sono entrata in università 35 anni fa, come studentessa, e rispetto allora c’è stato un cambiamento culturale. Questa consapevolezza non c’è sempre stata, ma sono ancora tanti i passi in avanti che dobbiamo fare», spiega Scomparin che questi temi li conosce bene essendo consigliera di fiducia dell’amministrazione penitenziaria. Come ha dimostrato quest’estate, quando in un dibattito alla festa del Pd torinese, aveva raccontato: «Nell’ultima ricerca Istat sono 8.816.000 le donne in Italia, dai 14 ai 65 anni, che dichiarano di aver subito una forma di molestia sessuale. Questo significa che mancano all’appello molte denunce». 




















































Numerose analisi spiegano il disagio e la sofferenza che provano le donne nel segnalare comportamenti che, dal punto di vista giuridico, si possono qualificare senza dubbio come violenze. «Eppure, non denunciano per varie ragioni. La prima è la resilienza tipicamente femminile. Si ha l’idea di potercela fare da sole, Poi, la seconda, è che si sminuisce il fatto ritenendolo non abbastanza grave. Come ho fatto io stessa, sbagliando, quando un collega una sera mi ha messo le mani addosso. Oggi ho capito che è stato un episodio grave», ammette Scomparin.

La professoressa poi allarga ancora la riflessione: «Dobbiamo considerare la sfiducia nelle istituzioni. Se sui primi due temi citati abbiamo fatto dei passi avanti, sulla capacità di intervento delle forze dell’ordine o di un ateneo, dove in teoria dovrebbero già esistere degli strumenti di protezione, abbiamo ancora tanto lavoro da fare».

Si è discusso molto della scarsa efficacia del sistema disciplinare universitario basato sul testo unico del 1933. «Che non sia mai stato riformato, è veramente surreale. Ma non è solo un problema teorico. Non è normale che una vittima, che con fatica rinuncia al silenzio, non abbia il diritto di essere sentita da chi deve applicare la sanzione e non debba essere informata dell’esito del procedimento per via di una legge arcaica».

Negli ultimi mesi, l’Università ha cercato di reagire. Sono stati moltiplicati i centri di ascolto nei vari campus. Scomparin, come ex vicerettrice, si è impegnata in prima persona. «È solo l’inizio, bisognerebbe, per esempio, migliorare la comunicazione. Negli atenei stranieri forniscono un kit informativo che spiega cosa fare: un piccolo sforzo che permetterebbe di far emergere molti casi». Poi, c’è da ripensare la struttura all’interno dei dipartimenti. «La normativa prevede un’unica consigliera di fiducia. Una persona deve prendersi carico di un parterre di 81 mila studenti, 2.500 addetti del personale amministrativo, 2.500 docenti, più 1.500 precari. È troppo. Nei campus, bisogna aumentare il numero di persone formate che possano diventare punto di riferimento per le donne. Se io quella sera avessi avuto il nome e il numero di una di queste magari le avrei detto cosa mi era accaduto e probabilmente sarei stata aiutata. Quella volta mi limitati a parlarne con alcune persone più strette per cercare un soluzione. Nei miei interventi come consigliera di fiducia, ho più volte raccontato la mia esperienza perché so che è complicato ma bisogna avere più coraggio».


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