Il caso Amaglobeli e la guerra alla stampa indipendente in Georgia

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Bruxelles – Continua lo sciopero della fame della giornalista georgiana Mzia Amaglobeli, detenuta dalla polizia da più di due settimane, mentre non si fermano le proteste antigovernative nel Paese caucasico, da mesi in preda ad una grave crisi politica che peggiora di settimana in settimana. Nella quale, tra le vittime, c’è anche la libertà di stampa.

Sta destando sempre più preoccupazione, sia in Georgia che all’estero, la vicenda che vede protagonista la nota giornalista, fondatrice e direttrice dei due quotidiani indipendenti Batumelebi e Netgazeti, sui quali racconta le violazioni dei diritti umani e la corruzione nel Paese. A seguito di una decisione del tribunale di Batumi, città sudoccidentale affacciata sul Mar Nero, dal 14 gennaio scorso Amaglobeli si trova in custodia cautelare in attesa dell’udienza di riesame, fissato dalle autorità giudiziarie per il prossimo 4 marzo. Secondo la legge georgiana, la detenzione preventiva può durare fino a un massimo di nove mesi.

Mzia Amaglobeli, classe 1975, aveva già subito un fermo amministrativo la sera dell’11 gennaio per aver affisso sul muro esterno di una stazione di polizia di Batumi un adesivo che promuoveva uno sciopero generale programmato per il successivo 15 gennaio. Qualche ora dopo è stata rilasciata su cauzione, ma all’uscita dalla centrale è nato un alterco con il comandante delle forze dell’ordine Irakli Dgebuadze – che stava arrestando alcuni collaboratori di Amaglobeli, riunitisi di fronte all’edificio – durante il quale la giornalista ha sferrato uno schiaffo all’ufficiale.

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A quel punto, la polizia ha tratto nuovamente in arresto Amaglobeli, contestandole l’aggressione a un pubblico ufficiale, punibile con il carcere da quattro a sette anni. Stando a quanto riportato dai media locali, la giornalista 50enne sarebbe stata minacciata e maltrattata durante la detenzione, vedendosi negato per diverse ore il permesso di utilizzare i servizi igienici e addirittura di bere dell’acqua, nonché la possibilità di incontrare degli avvocati.

Il Difensore pubblico georgiano Levan Ioseliani sostiene che le prove addotte dalla polizia per giustificare la detenzione preventiva sono “insufficienti e irrilevanti” in base agli standard stabiliti dal Codice penale georgiano, nonché dalla rilevante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il 20 gennaio, il Servizio speciale di investigazione (Sis), responsabile per le indagini sui reati commessi dai funzionari pubblici, ha confermato di aver aperto un fascicolo a partire dalle accuse mosse da Amaglobeli e dalle associazioni della società civile che si sono mobilitate immediatamente in suo sostegno.

Ma le condizioni di salute della giornalista sarebbero gravi e in peggioramento, poiché dall’11 gennaio ha iniziato uno sciopero della fame che continua ormai da 18 giorni per protestare contro quella che ritiene un arresto politicamente motivato e che i critici del governo di Sogno georgiano denunciano come l’ennesima prova della repressione violenta e indiscriminata del dissenso (che, in un Paese democratico candidato ad entrare in Ue, dovrebbe invece essere tutelato).

Per il momento, il processo di adesione è congelato proprio per l’arretramento democratico della nazione caucasica, dovuto principalmente alla deriva autoritaria dell’esecutivo filorusso. La delegazione dell’Ue in Georgia ha espresso solidarietà alla giornalista incarcerata, mentre per l’ambasciatore di Bruxelles a Tbilisi Paweł Herczyński il caso “è assolutamente scandaloso“.

Secondo quest’ultimo, le autorità georgiane non hanno dimostrato “alcuna volontà” di ascoltare i propri cittadini mentre non fa che peggiorare la “profonda crisi politica” in cui è precipitato il Paese da diversi mesi. Allo stesso modo, protestano contro la detenzione della giornalista un numero crescente di associazioni di categoria ma anche di organizzazioni per la difesa dei diritti umani.

Il caso Amaglobeli si inserisce del resto in un contesto ben più ampio di attacchi mirati e deliberati ai danni dei giornalisti indipendenti, portati avanti negli ultimi mesi dalle autorità georgiane e da forze di sicurezza paramilitari che agiscono mascherate aggredendo manifestanti, reporter e politici dell’opposizione.

Dei protestanti sulle barricate a Tbilisi, nella notte tra l’1 e il 2 dicembre 2024 (foto: Giorgi Arjevanidze/Afp)

Da quando, lo scorso 28 novembre, il governo ha annunciato lo stop ai negoziati di adesione fino al 2028, decine di migliaia di cittadini sono scesi in piazza e continuano a protestare ininterrottamente da allora. Solo nelle ultime settimane dell’anno scorso oltre 90 giornalisti e operatori sarebbero stati aggrediti fisicamente o verbalmente.

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