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“L’Europa si preoccupa del rallentamento della crescita dall’inizio di questo secolo. Si sono succedute varie strategie per aumentare i tassi di crescita, ma la tendenza è rimasta invariata”.

Sono le prime parole del Rapporto Draghi, il documento che è diventato l’obbligatorio passaggio per qualsiasi ragionamento sul “futuro della competitività europea” e sulle prospettive economiche dell’Unione nel prossimo futuro, sui nodi che dovranno essere sciolti da adeguate azioni di politica economica.

Il divario tecnologico con gli Stati Uniti si è creato a metà degli anni Novanta, la frammentazione politica ha impedito all’Europa di capitalizzare la prima rivoluzione digitale, le novità e le potenzialità di internet non si sono riversate nella creazione di nuove società o nella trasmissione della tecnologia digitale all’economia.

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Non c’è più tempo per l’inerzia, le stelle d’Europa non possono più stare a guardare mentre Donald Trump annuncia una sorta di mega-partnership tra pubblico e privato, un programma di investimenti nelle infrastrutture per l’intelligenza artificiale che arriverà fino a 500 miliardi di dollari, con il duplice obiettivo di creare posti di lavoro e consolidare la primazia americana nel settore.

Ma l’Europa può essere interessante agli occhi dell’investitore che nota come negli Stati Uniti con le prospettive positive aumentino anche i rischi. Le valutazioni americane sfidano le leggi della gravità sostenute dalle prospettive di crescita, dai massivi programmi di investimenti e dal pervasivo, umanissimo sentimento del FOMO, “Fear of Missing Out”, la paura di perdersi la festa. Per soprammercato, negli Stati Uniti si manifestano inediti rischi politici. La realizzazione del programma di Trump, o parti di esso, potrebbe rivelarsi meno favorevole all’economia rispetto a quanto prospettato: sono milioni i lavoratori privi di documenti regolari impiegati in mansioni che, negli Stati Uniti come negli altri paesi avanzati, in pochi vogliono svolgere. Il rimpatrio di un gran numero di queste persone metterebbe sotto pressione il mercato del lavoro e i costi salariali.

Per l’investitore, una possibile soluzione dal vago sapore doroteo è quella di tenere assieme un po’ tutto: conservare l’esposizione al listino americano e al settore tecnologico affiancando però l’esposizione anche ad altre aree geografiche, e il primo “altrove” è l’Europa.

Un’economia americana dinamica e in crescita è un vantaggio anche per il Vecchio Continente: il nuovo corso della politica americana accelera la reazione dell’Unione Europea. Lagarde a Davos ha presentato la sfida come “esistenziale”, nel linguaggio dei leader si avverte l’urgenza di accelerare verso un maggiore coordinamento delle politiche, da quella estera a quella energetica, quest’ultima magari affrontata qualche grano di buon senso in più, ovvero impostando l’obiettivo della decarbonizzazione con piani di transizione realistici, che tengano conto dei costi sopportabili dal sistema industriale e dai consumatori.

Perché parlare di innovazione tecnologica significa parlare di transizione energetica: la digitalizzazione, lo sviluppo delle applicazioni dell’AI, le stesse criptovalute (destinate a un futuro scintillante con un presidente che emette “in proprio” un suo “meme-coin” e lucra sulla sua popolarità) sono attività fortemente energivore.

In Europa si stima che la domanda dei data center cresca nei prossimi cinque anni dagli attuali dieci gigawatt a circa trentacinque, la stima degli investimenti necessari si aggira attorno ai 250-300 miliardi di dollari in infrastrutture. Una sfida imponente in cui il recupero del divario tecnologico con gli Stati Uniti comporta la rivoluzione dell’ecosistema energetico europeo, l’aumento della domanda di energia dovrà procedere di pari passo con gli impegni presi sulla sostenibilità e la minimizzazione delle emissioni CO2 nell’atmosfera.

Energia abbondante e a buon mercato è la precondizione per l’avanzamento nell’AI, l’altra condizione è la disponibilità di fonti di finanziamento e l’accesso al credito. Le prospettive verosimili del prossimo futuro sono l’allentamento del costo del denaro da parte delle maggiori banche centrali, da qualche mese gli spread del credito si sono ristretti e, attualmente, sono a valori storicamente bassi.

Una condizione che limita il possibile “upside” in termini di rendimenti obbligazionari ma restano intatte le condizioni generali che confermano le buone ragioni dell’investimento azionario nel settore bancario.

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I gruppi di private equity hanno notato e approfittato delle valutazioni a sconto: per l’Europa il 2024 è stato un anno effervescente, sono andate in porto operazioni per un importo globale superiore ai 130 miliardi di dollari.

Oltre ai listini dei paesi dell’Unione Europea merita attenzione anche la borsa di Zurigo. I tassi di interesse svizzeri sono di nuovo vicini allo zero, la Banca Nazionale Svizzera è stata più aggressiva rispetto a Fed e BCE. Storicamente, la crescita americana è stata di supporto al settore manifatturiero svizzero, soprattutto del segmento delle società a piccola e media capitalizzazione, nel 2025 potrebbe verificarsi l’accelerazione nel settore che a sua volta favorirebbe un cambiamento nel mercato, aiutato anche dalla possibile ripresa dei consumi favoriti da più alti salari reali.

In definitiva, diversificare dagli Stati Uniti verso l’Europa significa puntare sui settori favoriti dalla transizione digitale ed energetica, sulle società con prospettive di alta crescita di utili e di quote di mercato.

Importanti avvertenze legali: I dati esposti in questo documento hanno unicamente scopo informativo e non costituiscono una consulenza in materia di investimenti. Le opinioni e valutazioni contenute in questo documento possono cambiare e riflettono il punto di vista di GAM nell’attuale situazione congiunturale. Non si assume alcuna responsabilità in quanto all’esattezza e alla completezza dei dati. La performance passata non è un indicatore dell’andamento attuale o futuro. Copyright © 2021 GAM (Italia)

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