D.C.
Le ragioni che don Spada individua sono da ricondurre alla necessità
di scongiurare il più grosso pericolo che ci sia anche per i cattolici, nella vita
pubblica, quello cioè dell’isolamento. Fu già la preoccupazione costante di De
Gasperi. Ora è chiaro che ci si può isolare lasciandosi spingere in un angolo
della scena politica, ma ci si può isolare anche al centro … Vae soli!, ciò vale
anche per la politica, vale soprattutto per chi non ama la dittatura e vuol
percorrere la strada di un metodo democratico. Soprattutto, diventa una
drammatica necessità quando, anche volendo, non si può far da soli, o si deve
ricorrere alla umiliazione di politiche pendolari, elemosinando sottobanco dei
voti e subendo di conseguenza ricatti continui.
Continua l’editoriale, considerando che per «collaborare con avversari occorre avere una
saldezza tanto più inequivocabile dei propri principi, restare fedeli a se stessi, avere forte
personalità propria, per non trasformare la collaborazione in complicità, in cedevolezza,
in rinuncia». Per i cattolici questo «dovrebbe essere naturale e fondamentale: ci viene
chiesto dal Vangelo di essere seme e fermento della Società, di sollevare noi tutta la pasta
come un lievito, non di essere noi soltanto un pugno di pasta …»
Don Spada conclude affermando che «oggi, più ancora che nel passato, noi siamo
fermamente persuasi che il monocolore sia la peggiore necessità che possa capitare ai
cattolici». 119
L’incarico di governo a Tambroni 143
Il 21 marzo 1960 Gronchi, «un’ora dopo la rinuncia di Segni» , conferì autonomamente
l’incarico a Fernando Tambroni, che nel Congresso di Firenze si era espresso
favorevolmente verso la sinistra. Un incarico dunque che andava verso l’apertura a
sinistra.
Gronchi riteneva «che un governo amministrativo, con un programma limitato, poteva
ottenere l’astensione socialista, nonostante la dichiarazione della direzione di quel partito,
144
se le poche cose promesse fossero state di gradimento del PSI» .
Non furono invece gradite al PSI le parole pronunciate da Tambroni nel discorso letto
davanti alle Camere. Ottenne infatti la fiducia con il voto determinante del MSI e la DC
fece in modo di farlo cadere. Gronchi lo costrinse alle dimissioni che furono presentate
l’11 aprile 1960.
143 Ivi, p. 48.
144 Ivi, p. 49. 120
L’incarico di governo a Fanfani
Il 14 aprile 1960 Gronchi affidò l’incarico di governo a Fanfani, scatenando una vivace
opposizione da parte della Chiesa che vedeva avanzare la minaccia del centro sinistra. Si
ripeterono nuovamente gli attacchi da parte del cardinale Siri, del cardinale Ottaviani,
degli organismi del laicato cattolico e la gerarchia ecclesiastica lasciò intendere che con
l’apertura a sinistra non avrebbe più potuto garantire l’unità politica dei cattolici.
Il leader aretino formò un governo tripartito (DC-PSDI-PRI) con l’astensione dei
socialisti, ma l’ostilità della maggioranza dei gruppi parlamentari democristiani (destra e
dorotei) e della Chiesa lo costrinsero il 22 aprile 1960 a declinare l’incarico.
Moro, in disaccordo con la corrente dorotea, cui peraltro apparteneva, era favorevole ad
una cauta apertura verso il PSI.
Si sarebbe trattato di «un appoggio gratuito alla linea “bene intesa” centrista del governo,
senza avere in cambio nessun controllo determinante sulla vita nazionale. […] I dorotei,
in contrapposizione alle “caute sperimentazioni” di Moro, propongono il “grande
dialogo”, una vera e propria alleanza con i socialisti, un’alleanza fondata sull’atlantismo
145
e sull’anticomunismo, che i socialisti non possono accettare».
Il segretario della DC avrebbe potuto schierarsi con la corrente di Fanfani e puntare ad
una nuova maggioranza in sede di Consiglio nazionale, ma «avrebbe avuto contro le
gerarchie, gli organismi cattolici, la classe economica dominante, la grande stampa di
informazione. I gruppi parlamentari sarebbero insorti contro il partito. Forse, sarebbe nato
146
un altro partito cattolico».
Il giornale, nell’editoriale di don Spada del 21 aprile 1960, In poche parole i cattolici e
la crisi, a proposito del probabile nuovo governo tripartitico (DC, PSDI, PRI) considera
i principi cui deve uniformarsi la politica dello scudo crociato. Innanzitutto afferma che
per il cattolico tale linea politica di riferimento è quella chiara ed onesta di De Gasperi.
Quindi a proposito del partito che riunisce i cattolici afferma che è in atto una
specie di progressiva separazione fra politica e principi superiori, quasi che la
politica avesse una separata tecnica, autonoma o addirittura avulsa dai principi
religiosi. Ora la politica è l’arte di governare l’uomo, e se nulla di ciò che è
145 Ivi, p.54.
146 Ivi, p. 55. 121
umano è alieno al politico, come potrebbero esserlo i principi religiosi che
sono il fondamento stesso della vita umana? Specie per uomini politici che
hanno una Fede che li impegna personalmente? […] I cattolici hanno il diritto
e il dovere di tener alti i principi religiosi anche sopra il terreno della politica,
di pretendere che la parola ‘cristiana’ che è sullo scudo sia un vero impegno
[…]
Alla luce di questa concezione della politica il giornale elenca quali sono questi principi
religiosi nella politica. In primis annovera l’opposizione contro il materialismo e
l’ateismo propri del marxismo, a partire dal socialismo attenuato di Saragat fino al
comunismo, e presente in abbondanza anche nel PLI. Don Spada rafforza la tesi del
materialismo ateo del PLI, citando gli attacchi violenti da parte del partito di Malagodi
contro le scuole cattoliche.
L’altro principio cui fa rifermento don Spada e che caratterizza lo scudo crociato è
l’avversione ad ogni dittatura che limiti le libertà e la dignità umana.
Si chiede poi l’editorialista se con questi principi il cattolico può governare e conclude
che idealmente la DC dovrebbe governare da sola. Cosa che avrebbe potuto fare, dopo il
18 aprile, ma che De Gasperi non fece, coinvolgendo invece gli altri schieramenti.
Posto che all’oggi, continua don Spada, non vi è la possibilità di un monocolore
governativo, rimane solo la collaborazione con altri partiti, che è cosa ben diversa dalla
complicità che in sé presuppone una rinuncia ai principi e tradimento del programma. Qui
don Spada distingue i partiti dagli uomini. Ovvero la collaborazione, al di là dello
schieramento di appartenenza, deve essere chiesta agli uomini «che diano garanzia anche
personale di sicurezza, non solo generale ma caso per caso, per la loro provata solidità
nei principi cristiani». E deve essere una collaborazione su programmi che siano chiari e
condivisi.
A proposito della rinuncia di Fanfani il giornale del 23 aprile 1960, nell’articolo di
apertura, riporta le dichiarazioni che ne sono seguite. In particolare Fanfani dichiarò di
aver ricevuto dai segretari del PSDI e PRI la disponibilità a costituire il governo tripartito,
idoneo a svolgere un concreto programma di sviluppo sociale e a concorrere
all’allargamento dell’area democratica, ma che, nel confronto con il segretario della DC
e con i presidenti dei gruppi parlamentari della DC, aveva potuto appurare che alcuni
parlamentari sollevavano problemi di coscienza.
122
Il 26 aprile 1960 il giornale in prima pagina pubblica un’intervista all’onorevole Scaglia,
vice segretario della DC, sulla crisi di governo. Al parlamentare bergamasco furono poste
cinque puntuali domande, cui risposte con semplice chiarezza.
In particolare alla domanda «Perché non si torna ad una coalizione di centro che è la
connotazione naturale alla DC», l’interpellato risponde che il quadripartito è irrealizzabile
in quanto il PSDI, che ha già perso cinque deputati passati al PSI, potrebbe risentire di
una perdita ancor più grave se la DC si coalizzasse con il PLI, che ha accentuato il suo
carattere di destra. Rimangono dunque percorribili la soluzione di centro-sinistra con il
PSDI e il PRI, soluzione che potrebbe stimolare l’autonomia del PSI dal PCI. Oppure un
governo di centro-destra con il PLI e integrato, per esigenze numeriche, dai monarchici.
Alla domanda «Perché non si è tentata almeno, anche una soluzione di centro-destra, che
avrebbe avuto il vantaggio di non rendere determinanti i voti missini», Scaglia risponde
che è contradditorio affidare le sorti del governo ai monarchici, in quanto ne contestano
la base istituzionale. E inoltre un governo di centro-destra alimenterebbe per reazione il
ricrearsi di un fronte popolare di sinistra. 123
Il governo Tambroni
Dopo la rinuncia di Fanfani il capo dello stato decise di non accogliere le dimissioni di
Tambroni, rinviandolo al Senato per la fiducia che ottenne il 29 aprile 1960 con l’apporto
del MSI (che però non risultò determinante, come invece era stato alla Camera l’8 aprile).
La mancanza di unità nella DC creava un problema politico che non consentiva
probabilmente altre soluzioni. La scelta di Gronchi fu in un certo senso provocatoria nei
confronti dei partiti ed in particolare nei confronti della DC. Era infatti necessario che
essa uscisse dall’ambiguità e trovasse una linea condivisa dalle diverse correnti, ma non
solo: provocatoria lo fu senz’altro anche nei confronti del PLI, come rileva giustamente
don Spada nell’editoriale del 12 giugno 1960, Il ritorno di Malagodi. I liberali, afferma
il direttore del giornale, dopo aver meditato sulla crisi da loro provocata, sollecitano ora
il ritorno al quadripartito, ma si chiede don Spada, se sia possibile un siffatto ritorno, che
sarebbe peraltro gradito al giornale: «Se c’è un giornale che se ne rallegrerebbe è proprio
questo. I lettori che ci seguono da anni, da tutto questo dopoguerra, conoscono le nostre
ostilità alle formule monocolori e la netta preferenza che abbiamo sempre sostenuto per
la collaborazione fra i partiti democratici».
Don Spada rimane poco possibilista sul ritorno della vecchia formula in quanto la
collaborazione presuppone nei partiti coinvolti un diverso atteggiamento, ovvero
nel mettere in comune soprattutto il miglior spirito, cercare gli interessi
superiori, collocarsi seriamente a metà del ponte. Soprattutto avere della
formula centrista un concetto dinamico, vivo, operante, e non qualunquista
come la intendono parecchi.
Il governo Tambroni, che aveva ricevuto l’appoggio della destra missina e il voto
contrario di PSI, P
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