Così Ursula rinnega Ursula: ecco la roadmap per la competitività Ue ispirata da Draghi che mette al centro l’industria e cancella il Green Deal – il documento

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Più semplice, più leggero, più veloce. È la formula magica che la nuova Commissione europea ha scelto come indirizzo per i prossimi cinque anni, nel nome di uno sviluppo che sia green ma senza mettere in difficoltà la grande industria, che segua le esigenze dei partiti europei che sostengono la presidente e rispetti le indicazioni fornite nel ‘rapporto Draghi’ sulla competitività. La vera bussola europea, come ha più volte sottolineato anche Ursula von der Leyen. Oggi i commissari approveranno a Bruxelles una comunicazione intitolata proprio “Bussola per la competitività“, di cui Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare l’ultima bozza, con la tabella di marcia dei provvedimenti da adottare di qui al 2026 per salvare l’Unione dalla “lenta agonia” pronosticata dall’ex numero della Bce. Una roadmap che archivia la visione della Commissione von der Leyen 1 e “salva” la transizione verde solo se “favorevole alla competitività e tecnologicamente neutrale”. Stretta tra il timore dei dazi Usa e la dipendenza da Paesi terzi per un’ampia gamma di materie prime chiave, la Ue conta di salvaguardare i settori maturi e recuperare terreno in quelli più avanzati, intelligenza artificiale compresa. Ma il documento ignora l’appello di Draghi a fare nuovo debito comune per finanziare quegli investimenti.

Ursula Vs Ursula – “Nonostante lo snellimento della regolamentazione Ue, per due aziende su tre l’onere normativo costituisce l’ostacolo principale agli investimenti a lungo termine”. Con questa premessa il documento introduce possibili riforme per velocizzare e snellire le procedure amministrative rendendo l’Ue più attrattiva per gli investimenti. Uno sforzo che deve essere compiuto sia a livello comunitario sia dai singoli Stati membri. Bruxelles aprirà le danze proponendo a febbraio una legge Omnibus. Al suo interno si troveranno iniziative per “una semplificazione di vasta portata nei settori della rendicontazione finanziaria sostenibile, della due diligence sulla sostenibilità e della tassonomia”. Due diligence e tassonomia sono due dei punti cardine sui quali si basava il Green Deal Eu presentato da von der Leyen nel 2019 – fu il suo primo atto formale – definendolo “il momento ‘Uomo sulla Luna’” della Ue. Per tassonomia si intende una classificazione comune a livello europeo delle attività economiche che possono essere considerate ecosostenibili. Va a braccetto con la direttiva sulle due diligence che impone di monitorare gli impatti sociali e ambientali dell’intera filiera. Paletti che, stando alla nuova bussola, devono però essere rivisti per “produrre norme più semplici e accelerare la velocità delle procedure amministrative”, oltre che “conseguire gli obiettivi politici concordati nel modo più semplice, mirato e meno oneroso possibile”.

Il Green deal diventa Clean industrial Act – L’ambiziosa rivoluzione verde di cui cinque anni fa la leader andava orgogliosa è tutt’altro che completata, ma guerre e crisi industriale hanno cambiato la gerarchia delle priorità. Gli obiettivi di decarbonizzazione (a partire dalla neutralità climatica entro il 2050) sulla carta sono confermati. Ma non è certo un caso se la parola “green” è stata cancellata dal nome del nuovo piano chiamato a coniugare le ambizioni di protezione del clima con lo sviluppo manifatturiero, come predicato nel rapporto Draghi. Atteso entro fine marzo, è stato battezzato Clean industrial deal. L’obiettivo? “Garantire che la Ue sia attrattiva per la manifattura, comprese le industrie ad alto consumo di energia, promuovere il clean tech e modelli di business circolari”. A corollario arriveranno interventi a monte e a valle per convincere le aziende che decarbonizzare è un buon affare: da un lato un Affordable energy action plan per assicurare energia a basso costo anche attraverso l’integrazione dei mercati e la promozione di contratti di approvvigionamento a lungo termine, dall’altro interventi per spingere la domanda di prodotti a bassa impronta di carbonio, una corsia preferenziale negli appalti pubblici, misure difensive contro l’import da Paesi non virtuosi. Il quadro si completa con le semplificazioni del pacchetto Omnibus che elimineranno “lacci e lacciuoli che legano l’impresa”, come da slogan di berlusconiana memoria.

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Un punto per la lobby degli inquinatoriA differenza del Clean industrial act, lo Steel and metal action plan che la “Bussola” prevede sia varato entro fine anno non era citato nel documento con gli orientamenti politici per la nuova Commissione scritto da von der Leyen a luglio. Ma per immaginarlo non c’è voluto un grande sforzo: è il piano che la federazione sindacale IndustriAll e la lobby delle acciaierie Eurofer, affiancata da EuroMetaux e European Aluminium, chiedono a gran voce dallo scorso novembre alle istituzioni comunitarie facendo leva sui posti di lavoro a rischio. Ora diventerà realtà, seguito a stretto giro da un Chemicals industry package. Per i contenuti di dettaglio bisogna attendere. La “bussola” dà qualche indizio quando spiega che quelle industrie sono le “più vulnerabili in questa fase della transizione” e garantisce che i piani saranno scritti a valle di uno “stretto dialogo e consultazione con i portatori di interessi“. Quali siano le loro richieste è ben noto: energia a costi convenienti e revisione del cosiddetto Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam), che prevede la tassazione delle importazioni da Paesi extra europei con regolamentazioni climatiche meno rigorose.

Anche il secondo auspicio sarà esaudito: il Cbam, che entrerà in vigore a regime nel 2026, sarà ripensato per “rinforzare la logica di prevenzione del carbon leakage (la delocalizzazione causata da normative troppo rigide che riducono la competitività ndr)”, spiega la Bussola, e “assicurare un maggiore impatto in termini di promozione di condizioni di parità a livello internazionale e carbon pricing globale”. Eurofer, che negli anni scorsi si è battuta per far rinviare la già graduale eliminazione dei “diritti a inquinare” gratuiti distribuiti alle industrie più inquinanti, propone sia un alleggerimento amministrativo sia interventi per ridurre la possibilità di aggirare la tassa con pratiche come la limitazione dell’export ai prodotti con minore intensità di emissioni di Co2.

In arrivo incentivi auto a livello Ue?La zoppicante industria dell’auto merita un paragrafo dedicato, considerato che il 30 gennaio parte il “dialogo strategico” che vedrà sindacati e imprese avanzare proposte per rilanciare il settore. A partire ovviamente dalla cancellazione o congelamento delle multe per il mancato rispetto dei limiti alle emissioni, soluzione caldeggiata anche dal Ppe. Gli input dei “portatori di interesse” dovrebbero poi essere tradotti in un piano industriale europeo per l’automotive, a cui l’esecutivo Ue promette di affiancare “misure addizionali” per ridurre il rischio dei notevoli investimenti nelle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici e nella produzione e distribuzione di carburanti rinnovabili e low carbon. Tradotto: all’orizzonte ci sono incentivi auto comunitari, come confermato a Davos dalla vicepresidente esecutiva Teresa Ribera.

In cerca di autonomia strategica – Il Covid lo aveva anticipato, la guerra in Ucraina ne ha dato la definitiva dimostrazione: se vuole crescere, l’Europa deve limitare il più possibile la dipendenza dai Paesi terzi. In fatto di beni di prima necessità, farmaci, tecnologie e approvvigionamento energetico. Soprattutto in “un ambiente internazionale sempre più teso”. “Quando il mercato europeo si basa solo su uno o pochi fornitori di beni e servizi, l’Ue deve disporre di politiche e investimenti volti a garantire la sicurezza economica, minimizzando il potenziale di strumentalizzazione delle dipendenze o di coercizione economica”, spiega la Bussola. Gli esempi abbondano: il documento cita ancora il rapporto Draghi che “delinea come l’Europa debba garantire la resilienza delle sue catene di fornitura, in particolare per le materie prime critiche (elementi chimici rari e fondamentali per l’industria, ndr) o le importazioni di tecnologie pulite o digitali avanzate essenziali, come i semiconduttori“. E ancora: “Un altro esempio sono le attuali dipendenze di approvvigionamento di principi attivi per i farmaci critici (mercato saldamente in mano a Cina e India, ndr), essenziali per la salute pubblica”. Un tema che potrebbe essere allargato anche al campo della Difesa, specialmente se si guarda al rapporto con gli Stati Uniti, non tanto dal punto di vista delle forniture bensì del supporto effettivo dell’esercito americano anche in ambito Nato.

La guerra dei dazi minacciata da Donald Trump rappresenta quindi un rischio concreto, così come la concorrenza dei Paesi con costi di produzione sensibilmente più bassi: “Laddove la concorrenza sleale minaccia il nostro mercato unico, dovremmo utilizzare gli strumenti di protezione a nostra disposizione, come lo screening degli investimenti diretti esteri, i controlli sulle esportazioni e applicare rigorosamente il regolamento sulle sovvenzioni estere”, avverte la Commissione. Pronta ad arrivare all’introduzione di una “preferenza europea negli appalti pubblici per settori critici e tecnologie” in nome della sicurezza e della protezione delle catene di fornitura domestiche.

L’eterna chimera dell’unione dei mercati dei capitali – Ma chi paga? Allo sforzo per consentire all’Europa di recuperare la competitività perduta devono contribuire pure i risparmiatori privati, è il messaggio del documento. Basta con i Bot-people e con i soldi sul conto corrente, occorre “stimolare un maggiore appetito per il rischio” e indirizzare i capitali verso i settori più promettenti. Del resto “l’agenda Draghi” individua in 750-800 miliardi annui gli investimenti necessari per rilanciare l’economia del Vecchio Continente e il rapporto Letta rispolvera la necessità della sempre agognata unione dei mercati dei capitali che secondo l’ex segretario Pd eviterebbe la “fuga” dei 300 miliardi di risparmi dirottati ogni anno verso altri mercati. La Commissione presenterà entro fine anno una Strategia ad hoc per raggiungere il risultato, di cui si parla da oltre un decennio. Seguiranno proposte per creare “prodotti di risparmio e investimento low cost” a livello Ue, far ripartire il mercato delle cartolarizzazioni, unificare la normativa fiscale per evitare che ostacoli gli investimenti transfrontalieri. Nemmeno un cenno all’opportunità di nuovi strumenti di debito comune, dopo quelli emessi per finanziare il Next generation Eu.



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