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La premier italiana Giorgia Meloni è indagata dalla Procura di Roma per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione al rimpatrio del generale libico Osama Almasri. Quest’ultimo, capo della polizia giudiziaria di Tripoli, è stato riportato in Libia con un aereo di Stato italiano lo scorso 21 gennaio nonostante un mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale per crimini gravissimi, tra cui omicidi e torture. La decisione è stata giustificata dal governo con ragioni di sicurezza, dopo che la Corte d’Appello di Roma aveva disposto la scarcerazione dell’uomo: una scelta che in molti, compresa l’Associazione nazionale magistrati, attribuiscono a un’inazione del ministero della Giustizia. Un avviso di garanzia è stato emesso anche nei confronti del ministro del Guardasigilli Carlo Nordio, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario a palazzo Chigi Alfredo Mantovano, Autorità delegata ai servizi segreti. A denunciare formalmente i membri del governo è stato Luigi Li Gotti, conosciuto per essere l’avvocato di alcuni tra i più importanti pentiti di mafia.
Almasri, soprannominato «il torturatore di Tripoli» dalle organizzazioni che investigano la situazione dei migranti in Libia, si trovava a Torino quando, su segnalazione dell’Interpol, è stato arrestato dalle forze dell’ordine italiane, precisamente lo scorso 19 gennaio. Su di lui pendeva un ordine di arresto segreto (ovvero della cui esistenza vengono informate solamente le autorità) della Corte Penale Internazionale (CPI). Il generale è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, principalmente per quanto accade all’interno delle prigioni libiche. Nonostante l’arresto, la Corte d’Appello di Roma ha giudicato «irrituale» l’operazione, ritenendo che la polizia italiana non avesse l’autorità per agire senza una preventiva autorizzazione del ministro della Giustizia, come previsto dalle norme sulla cooperazione con la Corte dell’Aia. A quel punto, il Guardasigilli Carlo Nordio avrebbe potuto sanare la situazione dando l’autorizzazione per convalidare l’arresto, ma non è intervenuto. Così, il generale è stato scarcerato. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha quindi firmato un decreto di espulsione, dichiarandolo «soggetto pericoloso» e vietandogli l’ingresso in Italia per 15 anni. Almasri è stato riportato in Libia su un aereo dei servizi segreti italiani, anziché con un volo commerciale. Il giorno successivo, il 22 gennaio, la CPI ha chiesto spiegazioni all’Italia, affermando che la decisione di rilasciarlo è stata presa «senza preavviso o consultazione con la Corte». Nella sua denuncia, l’avvocato Luigi Li Gotti ha chiesto che «vengano svolte indagini sulle decisioni adottate e favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia».
A rendere noto l’avviso di garanzia è stata la stessa Giorgia Meloni, che in un video pubblicato sui propri canali social ha evidenziato che a metterla sotto inchiesta sia stata la Procura retta da Francesco Lo Voi, lo stesso magistrato protagonista del «fallimentare processo a Matteo Salvini» per sequestro di persona. Il riferimento è, ovviamente, al caso Open Arms. La premier ne ha avute anche per Li Gotti, affermando che l’autore della denuncia è «un ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi conosciuto per avere difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi» (sollevando – questa almeno è l’impressione – un’illazione nemmeno troppo velata attraverso l’uso di quest’ultima parola). In verità, Li Gotti non è affatto un politico «di sinistra», avendo militato sin da giovanissimo nel MSI e poi in Alleanza Nazionale, gli stessi partiti in cui è cresciuta Meloni. L’avvocato abbandonò il partito di riferimento della destra sociale solo nel 2003, quando si rese conto che AN non riusciva ad «arginare» le derive berlusconiane sulla giustizia, affermando che «nella destra la questione morale ha fatto passi indietro». Per questo si candidò con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, diventando poi sottosegretario al Ministero della giustizia nel governo Prodi. Nel video, Meloni si scaglia direttamente contro la CPI, che, dice la premier con sarcasmo, «curiosamente ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del capo della polizia giudiziaria di Tripoli proprio quando questa persona stava per entrare sul territorio italiano, dopo che per 12 giorni aveva serenamente soggiornato in altri tre Stati europei». Suggerendo – in maniera assai poco implicita – una sorta di accanimento orchestrato contro di lei e il suo esecutivo.
[di Stefano Baudino]
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