Il mio tormento di giovane violata

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CREMA – Un medico stupratore, un altro che gli copre le spalle. Una vittima giovanissima che prova a raccontare in casa e agli amici il dramma vissuto ricavando solo scarsa attenzione. Uno psicologo che sbaglia clamorosamente approccio quando lei, ormai adulta, cerca di lasciarsi alle spalle inquietudine e solitudine che le devastano l’esistenza. L’amore del marito e l’affetto di un’amica che riescono ad accompagnarla sulla strada della consapevolezza e della pacificazione con se stessa, grazie anche a una psicoterapeuta finalmente all’altezza della situazione. È ispirato a una storia vera il romanzo d’esordio della scrittrice cremasca Veronica Delcarro ‘Un’onda lunga trent’anni’. Un libro che affronta il tema della violenza di genere, mostrando che, nonostante il dolore, c’è sempre una possibilità di riscoprirsi e ricominciare.

UNA RABBIA INCONTENIBILE

«Mi sono fatta coinvolgere tantissimo dalla storia di Sveva, nome ovviamente fittizio. L’ho ritenuta interessante per un tema di grande attualità: la violenza contro le donne. Mi sono sentita chiamata in causa, spesso mi sono chiesta in che modo posso contribuire a questa causa e ho ritenuto che la scelta migliore fosse scrivere un romanzo per parlarne a un pubblico vasto e contribuire così a favorire il dialogo e la comprensione».

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Delcarro lo ha fatto con delicatezza (la violenza si intuisce, non è raccontata nella sua crudeltà), dando prevalenza ai sentimenti che agitano la vittima. «La malvagità dei traumi provocati alle vittime come Sveva può essere solo immaginata, molto difficilmente si riesce a capire quanti risvolti possano avere nella vita di una donna».
Sveva in età adulta si rende conto di avere comportamenti che non riesce a capire, che le provocano difficoltà nelle relazioni, anche in quella con il marito e le figlie. Una rabbia incontenibile. Comincia a farsi domande, a chiedersi da dove arrivano quelle rabbie improvvise che la allontano dal mondo. Decide così di affrontare il passato.

LA PIENA CONSAPEVOLEZZA

Inizia così un percorso con il marito e grazie alla terapia, prima di coppia e poi individuale, riemerge il ricordo dell’abuso subito, o meglio della piena consapevolezza di quanto realmente accaduto. Il faro della storia a questo punto illumina una zona d’ombra: la questione della vittimizzazione secondaria. Sveva aveva provato a raccontare quanto accaduto, senza però riuscire a trovare ascolto, pertanto in qualche modo si è convinta di essere lei la colpevole. «Al di là della violenza medesima – spiega Delcarro -, è importantissimo avere la consapevolezza che spesso le persone vicine alla donna abusata in qualche modo sminuiscono i fatti, quando addirittura non fanno una colpa a lei stessa. La vittimizzazione secondaria può risultare addirittura più traumatica della primaria. All’epoca la giovanissima Sveva non aveva percepito la violenza come tale. Si è trovata nel tempo a chiedere aiuto e vederselo negato e questo ha provocato in lei una sfiducia fortissima nei confronti delle altre persone. Troppo spesso accade proprio questo alle vittime di violenza».

Amore e amicizia sono le parole magiche della storia. Sveva nel suo percorso interiore trova nella vicinanza del marito e di una carissima amica la forza per affrontare i traumi, di guardarli in faccia e con l’aiuto anche della psicoterapia riesce a destrutturare la propria personalità per rimuovere questi episodi e ricostruirli in maniera positiva. Un percorso non facile, dominato dalla paura, da inciampi. «Fortunatamente ci sono anche risvolti positivi perché, come ci insegna la vita, dopo il buio arriva la luce. Anche per lei è così. Incontra persone che l’aiutano a vincere queste paure. Il motore principale di Sveva è l’assillo di riportare la serenità nella sua vita e in quella della sua famiglia. È una parte bellissima della storia: non lo dico tanto per il romanzo, quanto per la vita vera di una persona coraggiosissima».

LA FORZA DI METTERSI IN GIOCO

Un altro passaggio verso la redenzione è stato trovare la forza di raccontarsi alla scrittrice. «La successiva lettura del libro è stata per lei motivo di grande conforto, nelle recensioni che ne sono seguite tantissime persone hanno mostrato solidarietà al personaggio». Una ‘presenza’ virtuale lenitiva per lei, che si è sentita finalmente coccolata, capita, appoggiata.
Il percorso letterario di Delcarro è appena gli inizi: «Grazie a questo libro ho avuto l’opportunità di conoscere altre donne che hanno voglia di denunciare pubblicamente gli abusi subiti perché magari in altre situazioni non lo possono più fare e vogliono raccontarli come monito anche per i giovani e per le altre persone. Mi sono data il compito di raccontarne le storie».

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