«Non sono sorpresa…». I veleni del caso Gaetano Caputi

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Amareggiata. Infuriata per un colpo di scena «che non può essere casuale». Non se l’aspettava. Quando i Carabinieri varcano il portone di Palazzo Chigi, alle 14, Giorgia Meloni è nella sua stanza al primo piano. Alfredo Mantovano, sottosegretario con delega ai Servizi, è anche lui nel suo ufficio. Lavorano entrambi. Rimangono spiazzati dalla notizia consegnata de visu dai militari. Meloni indagata, come Berlusconi a Napoli. Con annessa richiesta di identificarsi: nome, cognome, data di nascita. Carlo Nordio riceve la comunicazione a via Arenula, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi all’uscita da una riunione, nel primo pomeriggio. Meloni è delusa, sinceramente stupita. Ma di minuto in minuto la delusione diventa rabbia, ira. «Non sono davvero sorpresa», confiderà più tardi ai suoi collaboratori, prima di girare il video con il suo staff in cui sfida la magistratura e ripete quella frase scandita a suo tempo in direzione del Cavaliere: «Non sono ricattabile».

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LE CARTE BOLLATE

Ecco, «un ricatto», così il governo bolla la mossa del procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, destinata «a finire in un nulla di fatto», spiegano i consiglieri più vicini alla premier, «perché anche se il Tribunale dei ministri chiedesse l’autorizzazione a procedere alla Camera e al Senato, nessuno la voterebbe». Insomma non «un atto dovuto» ma «un caso senza precedenti», originato «dalla denuncia di un ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti di mafia del calibro di Buscetta e Brusca».

Man mano che passano le ore a Palazzo Chigi provano a unire i puntini. Da almeno tre giorni, in verità, le tensioni tra governo e la procura di Roma sono alle stelle. C’entra anche il giallo intorno a Gaetano Caputi, il capo di gabinetto della premier su cui i Servizi segreti nel 2023 avrebbero effettuato almeno tre ricerche nella banca dati dell’Agenzia delle entrate, stando a quanto ha rivelato Il Domani proprio sulla base di carte ricevute dai pm romani. Una fuga di notizie «illegale» che ha mandato su tutte le furie Mantovano, perché il documento fornito alla procura dall’Aisi, l’agenzia dell’intelligence che ha fatto accertamenti all’epoca su Caputi, doveva restare top secret, stando alla legge 124 del 2007.

A quanto risulta al Messaggero, il governo potrebbe presentare formale denuncia contro la procura di Lo Voi per chiedere conto di quel documento finito tra le carte consegnate al Domani nel processo nato da una querela di Caputi per alcuni articoli sul suo conto. Il governo pronto a  denunciare i pm. Questo è il livello dello scontro. Mantovano, che da ex toga è spesso il tramite di Palazzo Chigi con i magistrati, ha reputato «gravissimo» il leak della procura. Nei mesi sarebbe partito l’ordine di sospendere per Lo Voi la possibilità di usare i voli del Cai (Compagnia aerea italiana), la linea aerea dei Servizi italiani spesso utilizzata dal procuratore per spostarsi tra Roma e Palermo. Lo Voi avrebbe fatto ricorso al Consiglio di Stato, senza riuscire a ribaltare la decisione. Precedenti che concorrono a spiegare un clima non proprio disteso.

Torniamo a Meloni e a una giornata di passione per il governo. Quando il video di sfida ai magistrati irrompe sui canali social il telefono della premier inizia a squillare. Tra i primi c’è Matteo Salvini, il leader della Lega finito a processo per sequestro di persona nel caso Open Arms e assolto a dicembre. Con lui il vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani. E poi uno ad uno i ministri, i messaggini di deputati e deputate di Fratelli d’Italia.

Meloni e Mantovano si riuniscono subito in una stanza con gli staff, studiano quell’avviso di garanzia e la denuncia di Li Gotti, si consultano con i legali. E il primo bilancio è questo: l’iscrizione ordinata da Lo Voi sarà anche «un atto dovuto», come filtra dalla procura, ma solo sulla carta. «Perché Lo Voi poteva decidere contestualmente di procedere all’archiviazione», spiega un ministro. I tempi (sette giorni), le modalità, tutto sembra alimentare i sospetti della premier e i suoi su una macchinazione a danno del governo. Figlia delle tensioni sul caso Caputi delle ore precedenti ma soprattutto dello scontro campale tra centrodestra e magistratura sulla riforma della giustizia, con la protesta plateale delle toghe sabato scorso.

LA REAZIONE

Riforma che ora – è la linea impartita dal sottosegretario e coordinatore della comunicazione del governo Giovanbattista Fazzolari – «ora non è più rinviabile». Oggi sarà incardinata al Senato, solo nella Commissione affari costituzionali, senza passare per la commissione Giustizia, per chiudere il più in fretta possibile. Priorità numero uno, spiega la premier ai suoi. È questa adesso, più ancora del premierato, la «madre di tutte le riforme».

In serata Meloni ha un vortice di riunioni. Incrocia Giovanni Donzelli, a capo dell’organizzazione di FdI. Presiede un Cdm lampo – assenti molti ministri per impegni istituzionali – dove incassa la solidarietà dei presenti, poi subito si chiude a conclave con gli altri esponenti del governo indagati: Piantedosi, Nordio, Mantovano. Una riunione per abbozzare la strategia difensiva, le memorie da presentare ai pm. D’intesa con i legali, si conviene di far saltare l’informativa di Nordio e Piantedosi prevista per questo pomeriggio in Parlamento. Parlare da indagati sui temi al centro dell’indagine non è prudente. Un silenzio temporaneo – anche Mantovano, atteso al Copasir per il caso Caputi, dovrà glissare se interrogato sulla vicenda Almasri – mentre si prepara la controffensiva.

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Una denuncia contro la procura. Insieme, la “vendetta” contro la Corte penale dell’Aja. Ieri, per iniziare, il centrodestra ha bocciato la mozione del centrosinistra che chiedeva l’arresto di Netanyahu qualora il premier israeliano, ricercato dalla Corte, venisse in Italia. E il ministero della Giustizia sta per spedire ai giudici belgi una richiesta di spiegazioni sul tempismo “sospetto” di quel mandato di arresto all’origine di tutto.

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