In Italia in pensione si va troppo presto. Lo hanno ripetuto diverse volte alcuni studi tecnici, ed è ciò che più volte è stato confermato sia dai dati INPS sia dal parere di noti esperti previdenziali. Eppure, questa considerazione stride con ciò che si sente dire continuamente e con ciò che chiedono insistentemente i contribuenti italiani. Infatti, per i lavoratori – o almeno per molti di loro – si va in pensione troppo tardi in Italia. In sostanza, serve una riforma delle pensioni.
Anche perché le accuse si concentrano soprattutto sui requisiti, spesso stringenti. Per questo si richiede continuamente un ritocco del sistema, con una vera riforma delle pensioni che sia degna di questo nome.
Una riforma che possa finalmente mettere fine alla famigerata riforma Fornero, ossia a quella tremenda legge previdenziale che ha effettivamente spostato di molto in avanti i requisiti per l’accesso alle pensioni.
Nuova riforma delle pensioni: ecco i 6 punti cardine tra anticipi, bonus e posticipi
Una riforma delle pensioni è auspicata da molti, anche se – come dicevamo in premessa – dati statistici e studi tecnici dimostrano che, grazie alle varie misure di pensionamento anticipato presenti in Italia, si lascia il lavoro molto prima rispetto all’età pensionabile dei 67 anni. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo.
È vero che in Italia esistono tante misure di pensionamento anticipato, ma la maggior parte di queste riguarda solo piccole platee di contribuenti, spesso con requisiti molto severi. Ciò cozza con la percezione di chi sostiene che nel nostro Paese si vada in pensione troppo presto.
Ecco perché, come accennavamo, c’è chi chiede una vera riforma delle pensioni.
Magari partendo dalla quota 41, che la Lega promette da tempo ma che non si realizza mai, oppure da una maggiore flessibilità in uscita (a 62 o 63 anni di età, per esempio). Detto questo, vi sono diversi esperti previdenziali – come quelli del Centro Studi Itinerari Previdenziali, guidati da Alberto Brambilla – che propongono soluzioni per riformare il sistema, superando definitivamente la riforma Fornero.
La sostenibilità del sistema ma non solo, ecco cosa ha bloccato negli anni qualsiasi idea di riforma delle pensioni
La sostenibilità del sistema previdenziale italiano, le casse statali, la spesa previdenziale: ecco i tanti fattori che negli anni hanno frenato ogni governo (di qualunque colore politico) dal realizzare nuove riforme delle pensioni. Eppure, secondo i dati del dodicesimo Rapporto sul Sistema Pensioni italiano di Itinerari Previdenziali, il nostro sistema risulta sostenibile e lo sarà almeno per un altro decennio, se non oltre.
Tutto bene, dunque? A dire il vero, no, perché i problemi del sistema previdenziale sono ancora molti. E la “medicina” per risolverli, secondo il Centro Studi, è necessaria.
Assistenza e previdenza vanno divise
Uno dei punti sottolineati dagli esperti del Centro Studi è l’annoso problema di una previdenza spesso collegata all’assistenza. Significa che nella spesa pubblica dell’INPS rientrano anche misure che, in realtà, non dovrebbero far parte del totale della spesa previdenziale. Misure assistenziali, ammortizzatori sociali e sussidi, per esempio, dovrebbero restare fuori dal computo.
Invece, al momento, tutto finisce nello stesso calderone.
Certo, è anche vero che sul piano demografico la situazione è critica. L’età media della popolazione aumenta, i pensionati sono sempre più longevi e quindi più costosi per le casse INPS. Con l’aumento dei pensionati, anche gli occupati – che pur crescono – dovrebbero crescere molto di più per finanziare, con i loro contributi, le pensioni erogate dall’INPS.
Il programma del Centro Studi Itinerari Previdenziali
Nel suo Rapporto, il Centro Studi scrive che “occorrerà un’applicazione puntuale dei due stabilizzatori automatici già previsti dal nostro sistema, vale a dire l’adeguamento dei requisiti di età anagrafica e dei coefficienti di trasformazione all’aspettativa di vita”. In pratica, dato l’andamento demografico, è inevitabile che i requisiti per andare in pensione continuino a crescere.
L’obiettivo è pagare meno pensioni nel tempo, dal momento che i pensionati vivono più a lungo e, di conseguenza, percepiscono la pensione per un periodo più esteso. Bisogna quindi contenere la spesa con trattamenti pensionistici meno ricchi. Una soluzione pensata per evitare che, prima o poi, l’INPS – con i soli contributi versati dai lavoratori attivi – non riesca più a coprire i pagamenti.
I 6 punti cardine di una nuova riforma delle pensioni
Secondo il Rapporto, andrebbero eliminate le troppe forme di pensionamento anticipato. Al contempo, si dovrebbe favorire il pensionamento per chi ha carriere contributive più lunghe. In altre parole, ok all’aumento dell’età pensionabile da 67 a 67,3 anni nel 2027 e così via, fino ad arrivare ai 68,1 del 2040 (come emerge dagli scenari plausibili della Ragioneria di Stato).
Ma questi incrementi non dovrebbero valere per le pensioni anticipate, che – secondo il Centro Studi – dovrebbero rimanere alle soglie di oggi, ossia 42 anni e 10 mesi o 41 anni e 10 mesi di contributi. Se mai, si dovrebbe inserire un’agevolazione più pesante rispetto al “bonus Maroni” attuale, per premiare chi, invece di uscire a 67 anni, rimanda a 71.
In sostanza, una riforma delle pensioni che dovrebbe basarsi su 6 punti cardine:
- Adeguamento dei requisiti per le pensioni all’aspettativa di vita solo per chi ha pochi contributi
- Conferma dei requisiti di accesso alle pensioni anticipate ordinarie, per consentire a chi ha molti anni di contributi di uscire prima
- Favorire al massimo il pensionamento riducendo i requisiti contributivi per i precoci, i fragili e le donne
- Premiare chi rinvia la pensione con benefit economici e contributivi
- Riduzione dell’attuale sistema frastagliato, che prevede troppe misure di pensionamento anticipato
- Separazione della previdenza dall’assistenza all’interno dell’INPS
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