G. Vanacore | La scarcerazione del generale libico Elmasry | Sistema Penale

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1. Premessa. – Il 2 ottobre 2024, il Procuratore della Corte Penale Internazionale aveva chiesto alla Prima Camera Preliminare della medesima Corte l’adozione di un mandato di arresto, ai sensi dell’art. 58 dello Statuto[1], avverso il generale libico Osama Elmasry Njeem. Questi era (ed è) indagato di crimini contro l’umanità (in particolare illecita detenzione, tortura, stupro, violenza sessuale, omicidio e persecuzione, ai sensi dell’art. 7 comma 1 lett. a, e, f, g, h dello Statuto di Roma) e crimini di guerra (in particolare oltraggio alla dignità umana, stupro, violenza sessuale, omicidio, tortura, trattamento crudele ai sensi dell’art. 8 comma 2 lett. c nn. 1 e 2, nonché lett. e n. 6) consumati nella prigione di Mitiga, in Libia, a partire dal 15 febbraio 2015. Le vittime erano detenute per motivi di carattere religioso (in quanto cristiane o atee), ideologico (‘comportamento immorale’), perché omosessuali o comunque perché asseritamente responsabili di atteggiamenti d’opposizione ai membri delle Forze Speciali di Deterrenza, di cui faceva parte il generale Elmasry.

Sabato 18 gennaio 2025 la Prima Camera Preliminare della Corte Penale Internazionale aveva firmato il provvedimento che disponeva l’ordine di carcerazione preventiva dell’indagato.[2] Il mandato era stato trasmesso, tramite red notice dell’Interpol, a sei Paesi. In particolare, attese le informazioni che identificavano il sospettato in transito dalla Germania all’Italia, la Corte aveva fatto pervenire il mandato di arresto alle autorità italiane mediante l’ambasciata all’Aja, sede della Corte Penale Internazionale. Operanti della DIGOS di Torino, a seguito dell’allerta dell’Interpol, avevano proceduto all’arresto del generale all’interno di una stanza d’albergo del capoluogo piemontese nelle prime ore del mattino di domenica 19 gennaio 2025. I documenti relativi all’arresto dell’indagato libico erano quindi trasferiti dalle autorità torinesi alla Procura Generale presso la Corte di Appello di Roma, competente, sulla scorta della legge 237/2012 (in materia di cooperazione tra l’Italia e la Corte Penale Internazionale), circa la richiesta di custodia di soggetti raggiunti da ordine di fermo cautelare o da sentenza definitiva di condanna provenienti dai giudici penali dell’Aja.

La Corte di Appello di Roma disponeva la scarcerazione del sospettato martedì 21 gennaio 2025, ritenendo illegittimo l’arresto operato dalla Digos di Torino, in quanto la restrizione della libertà personale in via precautelare non sarebbe prevista dalla stessa legge 237/2012, tanto su parere conforme dell’autorità inquirente. La stessa Procura Generale non avanzava comunque richiesta di custodia cautelare del generale nordafricano, ritenendo preclusivo il silenzio sul punto serbato dal Ministro della Giustizia, debitamente e prontamente informato del fermo. Il Ministero dell’interno, nella stessa mattinata di martedì 21 gennaio 2025, ordinava l’immediato allontanamento dell’indagato dal suolo italiano, con rimpatrio in Libia garantito da un mezzo nella disponibilità dei servizi segreti.

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2. Una possibile lettura alternativa del ruolo del Ministro della Giustizia in materia di consegna di indagati (o di carcerazione di condannati) alla Corte Penale Internazionale. – In disparte ogni valutazione sull’operato governativo, che esula dallo scopo del presente scritto, occorre chiedersi se l’orientamento assunto dalla Corte di Appello di Roma e dalla Procura generale capitolina in ordine alla scarcerazione di Osama Elmasry Njeem fosse l’unico ammissibile alla stregua degli ordinari canoni ermenutici.

Ci si interroga, con maggiore impegno esplicativo, sulla censurabilità dell’interpretazione, che è stata data dai giudici italiani, dell’art. 11 della legge 237/2012 in materia di cooperazione dell’Italia con la Corte Penale Internazionale.[3]

La norma interna, a ben vedere, non prevede, nel tenore letterale della disposizione, alcun potere di impulso o di iniziativa in capo al Ministro della Giustizia in tema di esecuzione di un ordine di carcerazione (preventiva a seguito di mandato o definitiva a seguito di condanna). Il legislatore del 2012 pare invece aver voluto concepire una procedura completamente ‘giurisdizionalizzata’, senza un’autentica facoltà di veto paralizzante o di impulso inevitabile in capo all’autorità governativa. Il solo inciso che, in quella disposizione della legge, fa richiamo ad un ruolo del ministero, riguarda la ‘ricezione degli atti’ da parte della Procura Generale di Roma, unico organo competente a richiedere la custodia cautelare di un soggetto ricercato dall’autorità giudiziaria internazionale. E tuttavia non è prescritto che tale ricezione, in favore della Procura Generale, debba necessariamente provenire dal Ministero. Nel caso di specie, seppure la polizia di Stato che ha proceduto all’arresto di Elmasry non fosse stata in possesso del testo del mandato della Corte Penale Internazionale, lo stesso poteva esser trasmesso all’organo inquirente romano dall’Interpol, dall’Europol, da Eurojust, dall’ambasciata italiana all’Aja ovvero dalla stessa Corte.

In definitiva, la norma non impone letteralmente né un potere di impulso, né una possibilità di veto, e nemmeno una formale ed indispensabile previa interlocuzione tra la Procura italiana ed il Ministero della Giustizia, al fine di provvedere alla custodia dell’indagato internazionale.

Vero è che, come spiega la Corte di Appello nel provvedimento di scarcerazione, l’art. 2 comma 1 della stessa legge 237/2012[4] detta un generale diritto-dovere di costante dialogo e di cura esclusiva dei rapporti con la Corte da parte del Ministro della Giustizia. Egli è colui che tiene le fila delle relazioni con la Corte Penale Internazionale in caso, ad esempio, di rogatoria sia attiva che passiva, in tema di citazioni o di assunzione di prove, rappresentando così il centro di smistamento delle richieste che non possono esser formulate ovvero ricevute in via immediata e diretta dai giudici domestici. E tuttavia tale norma non appare incidere sul diverso meccanismo, d’altronde disciplinato da una norma ad hoc in un capo distinto della legge (il Capo II denominato proprio ‘Consegna’), che, in via appunto di previsione speciale, regola l’arresto di un ricercato o la carcerazione di un condannato. L’art. 11 non ripete la designazione, propria dell’art. 2 (disposizione nemmeno richiamata dall’art. 11), in capo al Ministro quale soggetto unico legittimato al dialogo con la Corte ed allo smistamento ai giudici interni delle relative richieste. Quando è in gioco il fermo dell’indiziato, destinatario di un mandato di arresto internazionale, ovvero del condannato in via definitiva dai giudici dell’Aja, la Procura Generale, secondo la proposta lettura alternativa della norma domestica, può chiedere, una volta acquisiti (da qualsiasi fonte) gli atti, la custodia del ricercato, in attesa di procedere alla materiale consegna in favore della Corte Penale Internazionale.

Solo nella fase successiva al perfezionamento della custodia, a seguito anche di eventuale impugnazione innanzi alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 11 comma 2, e in questo ultimo caso dopo il negativo esperimento del ricorso, riemerge un ruolo del Ministro, che deve adottare, ai sensi dell’art. 13 comma 7[5], il decreto di definitiva consegna dell’arrestato in favore dei giudici dell’Aja. Trattasti però di un segmento procedurale successivo al consolidamento della custodia e non paiono comunque residuare margini di discrezionalità politica nella scelta di adozione di detto decreto da parte dell’autorità governativa, che si atteggia dunque, secondo la complessiva impostazione legislativa del 2012, quale mero esecutore, in guisa ‘notarile’, di deliberazioni giurisdizionali.

Prima di questo stadio, evidentemente conclusivo ed inerente al trasferimento personale del fermato, l’art. 11, si ribadisce, scolpisce una procedura che coinvolge unicamente la Procura generale quale polo istante e la Corte di Appello quale terminale decisionale della custodia. Non pare corretto coinvolgere, nella disciplina ‘chiusa’ dell’art. 11, una norma, quella di cui all’art. 2, che, seppur si intenda definire ‘generale’, non può costituire l’oggetto di un anomalo rinvio recettizio nella disposizione speciale che regola la procedura in materia di custodia personale e consegna.

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3. Il diverso tema della facoltà di arresto pre-cautelare da parte della polizia giudiziaria italiana. – Altro argomento, pure affrontato nel provvedimento di scarcerazione della Corte di Appello, attiene alla facoltà di arresto della polizia giudiziaria italiana a seguito della ricezione di un mandato di arresto proveniente dalla Corte Penale Internazionale.

La Corte di Appello, nel provvedimento di scarcerazione di Elmasry, ritiene che, a fronte del silenzio della legge sulla cooperazione, la polizia non avrebbe potuto (e dunque non potrebbe in futuro, in casi analoghi) provvedere al fermo del destinatario di un mandato internazionale (o anche di una sentenza di condanna definitiva proveniente dall’Aja e trasmessa, come nel caso di specie, da canali diplomatici ovvero da Europol o Interpol). In altri termini, qualora gli organi di polizia interna venissero, come accaduto nella vicenda Elmasry, informati sul passaggio, anche temporaneo (si pensi anche ad un mero scalo aeroportuale), di un ricercato per crimini internazionali dall’unico organo di giustizia penale esistente a livello mondiale, non avrebbero alcuna facoltà (o dovere) di arresto precautelare, dovendo sul punto attendere l’istanza di custodia della Procura Generale di Roma. Quest’ultima, come già illustrato nel paragrafo precedente, dovrebbe sempre esser preceduta, secondo l’impostazione resa dai giudici capitolini, da un qualche atto di iniziativa del Ministro della Giustizia, del quale però dovrebbero esser tracciati i termini di forma e contenuto minimi. Di conseguenza, non sarebbe possibile trattenere in via coattiva l’indagato o il condannato senza un provvedimento, proveniente dalla Corte di Appello di Roma, di accoglimento della domanda di custodia.

Ciò pare considerevolmente preoccupante sul fronte delle esigenze di necessaria speditezza della procedura, a fronte di un evidente rischio di fuga di soggetti che possono godere di importanti coperture a livello internazionale.[6] La procedura inerente la custodia, così concepita, si atteggia realmente ad un costrutto eccessivamente gravoso ed articolato, indubbiamente foriero di gravi inefficienze, in definitiva esponendo lo Stato italiano a sindacati di inerzia e di responsabilità per inadempimento dinanzi all’Assemblea degli Stati Parte del Trattato sulla istituzione della Corte Penale Internazionale.

La Corte di Appello non ritiene che tale vuoto di disciplina possa esser colmato dal generale rinvio che la l. 237/2012 compie in favore della normativa codicistica in punto di estradizione. In particolare non reputa possa applicarsi, in virtù del richiamo alle disposizioni del codice di procedura penale dettato dall’art. 3[7] per quanto non specificamente previsto dalla legge sulla cooperazione, l’art. 716 c.p.p.[8] in punto proprio di applicazione della misura precautelare anche ai ricercati della Corte dell’Aja.

Non pare invero condivisibile nemmeno questo ulteriore passaggio, in realtà centrale nell’economia del provvedimento di scarcerazione. In realtà non esiste un silenzio della legge sul punto (tanto da imporre l’applicazione, come ha inteso la Corte di Appello, del brocardo ubi lex voluit dixit). Proprio quella norma che rinvia alla generale disciplina in tema di estradizione, in caso di ipotesi e passaggi procedurali non esplicitamente regolati dalla legge speciale, avrebbe consentito (e consentirebbe anche per le ipotesi future) di guardare all’art. 716 c.p.p. in materia di facoltà di arresto precautelare da parte della polizia giudiziaria domestica.

D’altronde rileva anche un argomento di ordine sistematico: non esiste, in ambito processuale penale italiano, un meccanismo di custodia cautelare che non sia preceduto dalla possibile applicazione di un arresto precautelare, ricorrendone naturalmente i presupposti. Si tratterebbe, qualora venisse definitivamente accolta la lettura ‘escludente’ della Corte di Appello, di una gravissima anomalia, relativa proprio ai casi più eclatanti di violazioni penali, inerenti appunto crimini dall’elevatissimo profilo offensivo (in tema di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra). D’altronde detta conclusione viene imposta anche da una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della legge sulla cooperazione dell’Italia con la Corte Penale Internazionale. Di sicuro, risponde maggiormente ai canoni vincolanti di adempimento degli obblighi internazionali[9] imposti dalla Carta Fondamentale agli artt. 11 e 117. E non pare potersi rivendicare una violazione dell’art. 13 Cost. in punto di mancata disciplina positiva che imponga o facoltizzi l’arresto precautelare, atteso proprio il richiamo alla disciplina generale dell’estradizione (e dunque all’art. 716 c.p.p.) contenuto nell’art. 3 della L. 237/2012.

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Ciò naturalmente non esclude che, pur a fronte di un arresto di polizia ritenuto illegittimo, la custodia possa comunque esser richiesta e ammessa, così in sostanza assicurando il trattenimento in attesa della consegna alla Corte Penale Internazionale, così scongiurando il concreto pericolo di fuga dell’indiziato, e persino del condannato in via definitiva, di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra.

 

4. Conclusioni. – In definitiva, secondo i giudici della Corte di Appello, in tale interpretazione sostenuti anche dal parere della Procura Generale, sarebbe stato necessario un atto di impulso del Ministro in favore dell’organo inquirente di secondo grado, allo scopo, se male non si intende, di prestare una sorta di nulla osta, o addirittura di assenso, alla formulazione di una idonea istanza di custodia da parte dei pubblici ministeri romani.

A fronte però del silenzio sul punto del legislatore, ed anzi di una definizione normativa circolare, perimetrata e indipendente, quale quella dell’art. 11 L. 237/2012, non si comprende perché occorra attribuire, in via di interpretazione giurisprudenziale, un potere al Ministro della Giustizia, dai contorni senz’altro problematici e di difficile enucleazione concettuale (anzitutto in tema di possibile discrezionalità politica a fronte di una decisione eminentemente giurisdizionale, proveniente da organi sovranazionali di natura penale, quindi involgenti anche il necessario rispetto degli artt. 11 e 117 Cost.), inquadrato quale organo esecutivo che dovrebbe ‘accendere’ il motore della domanda inquirente di trattenimento e, per questa via, condizionando a tale iniziativa l’osservanza degli obblighi di cooperazione che vigono su ogni autorità domestica afferente agli Stati Parte dello Statuto di Roma.

 

[1] Articolo 58. Emissione da parte della Camera preliminare di un mandato d’arresto o di un ordine di comparizione

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1. In qualsiasi momento dopo l’apertura di un’indagine, la Camera preliminare, su richiesta del Procuratore, emette un mandato d’arresto contro una persona se, dopo aver esaminato la richiesta e gli elementi probatori, o altre informazioni fornite dal Procuratore, essa è convinta che:

a) sussistono fondati motivi di ritenere che tale persona ha commesso un crimine nella giurisdizione della Corte; e

b) che l’arresto di tale persona appare necessario per garantire:

i) la comparizione della persona al processo;

ii) che la persona non ostacoli o metta a repentaglio le indagini o il procedimento dinanzi alla Corte, oppure

iii) se del caso, impedire che la persona prosegua nella consumazione di quel crimine o di un crimine connesso che ricade sotto la giurisdizione della Corte o che avviene nelle stesse circostanze.

2. La domanda del Procuratore contiene i seguenti elementi:

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a) il nome della persona in questione ed ogni altro elemento d’identificazione utile;

b) un riferimento preciso al crimine rientrante nella giurisdizione della Corte che si presuppone la persona abbia commesso;

c) un breve esposto dei fatti che si afferma costituiscano il reato in oggetto;

d) un prospetto degli elementi di prova e di ogni altra informazione che fornisca fondati motivi che la persona abbia commesso tale reato; e

e) i motivi per i quali il Procuratore giudica necessario procedere all’arresto di tale persona.

3. Il mandato d’arresto contiene i seguenti elementi:

a) il nome della persona in oggetto ed ogni altro elemento utile d’identificazione;

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b) un preciso riferimento al reato nella giurisdizione della Corte che giustifica l’arresto; e

c) un breve esposto dei fatti che si presume costituiscano il reato in oggetto.

4. Il mandato d’arresto resta efficace fino a quando la Corte non abbia deciso diversamente.

5. Sulla base del mandato d’arresto, la Corte può chiedere il fermo o l’arresto e la consegna di una persona secondo il Capitolo IX.

6. Il procuratore può chiedere alla Camera preliminare di modificare il mandato d’arresto riqualificando i reati che vi sono menzionati o aggiungendo nuovi reati. La Camera preliminare modifica il mandato d’arresto quando ha motivi ragionevoli di ritenere che la persona abbia commesso i crimini riqualificati o quelli aggiunti.

7. Il Procuratore può chiedere alla Camera preliminare di emettere una citazione di comparizione in luogo di un mandato d’arresto.

Se la Camera preliminare è convinta che vi sono fondati motivi di ritenere che la persona ha commesso il reato di cui è imputata e che una citazione di comparizione è sufficiente a garantire che si presenterà dinanzi alla Corte, essa emette l’atto di citazione con o senza condizioni restrittive della libertà (diverse dalla detenzione) se la legislazione nazionale lo prevede. La citazione contiene i seguenti elementi:

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a) il nome della persona in oggetto ed ogni altro elemento utile d’identificazione;

b) la data di comparizione;

c) un preciso riferimento al reato su cui la Corte ha giurisdizione che si ipotizza la persona abbia commesso; e

d) un breve esposto dei fatti che si afferma costituiscano il crimine.

La citazione è notificata alla persona.

 

[3] Art. 11 Legge n. 237/2012 (Norme per l’adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale)

Applicazione della misura cautelare ai fini della consegna

1. Quando la richiesta della Corte penale internazionale ha per oggetto la consegna di una persona nei confronti della quale è stato emesso un mandato di arresto ai sensi dell’articolo 58 dello statuto ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva, il procuratore generale presso la corte d’appello di Roma, ricevuti gli atti, chiede alla medesima corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna.

2. La corte d’appello di Roma provvede con ordinanza, contro cui è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 719 del codice di procedura penale. Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione del provvedimento.

3. Qualora la persona nei cui confronti è stata eseguita la misura chieda la concessione della libertà provvisoria ai sensi dell’articolo 59, paragrafo 3, dello statuto, la Corte penale internazionale è informata di tale richiesta con le modalità di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 8 della presente legge ai fini di quanto previsto dal paragrafo 5 del medesimo articolo 59. Sulla richiesta di concessione della libertà provvisoria, nonché sull’eventuale richiesta di revoca della medesima, la corte d’appello di Roma provvede con ordinanza. Si applica l’articolo 719 del codice di procedura penale. Con il provvedimento con cui è concessa la libertà provvisoria la corte d’appello di Roma può imporre, tenuto conto dell’eventuale pericolo di fuga e ove lo ritenga necessario al fine di assicurare la consegna della persona, il rispetto delle prescrizioni previste dagli articoli 281, 282 e 283 del codice di procedura penale. La misura della custodia in carcere può essere in ogni caso sostituita quando ricorrono gravi motivi di salute.

4. Il presidente della corte d’appello di Roma, al più presto e comunque entro tre giorni dall’esecuzione della misura, provvede all’identificazione della persona e ne raccoglie l’eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale presso la medesima corte d’appello per l’ulteriore inoltro al Ministro della giustizia. Si applica l’articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.

 

[4] Art. 2

Attribuzioni del Ministro della giustizia

1. I rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito. Il Ministro della giustizia, ove ritenga che ne ricorra la necessità, concorda la propria azione con altri Ministri interessati, con altre istituzioni o con altri organi dello Stato. Al Ministro della giustizia compete altresì di presentare alla Corte, ove occorra, atti e richieste.

2. Nel caso di concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte penale internazionale e da uno o più Stati esteri, il Ministro della giustizia ne stabilisce l’ordine di precedenza, in applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 90 e 93, paragrafo 9, dello statuto.

3. Il Ministro della giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovute.

[5] Art. 13

Procedura per la consegna

1. Il procuratore generale presso la corte d’appello di Roma presenta senza ritardo le sue conclusioni in ordine alla consegna. La requisitoria è depositata nella cancelleria della stessa corte d’appello unitamente agli atti. Dell’avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l’avviso della data dell’udienza.

2. La corte d’appello di Roma decide con le forme dell’articolo 127 del codice di procedura penale, con la partecipazione necessaria del difensore, se del caso previa acquisizione delle informazioni e della documentazione di cui all’articolo 91, paragrafo 2, capoverso c), dello statuto.

3. La corte d’appello di Roma pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna solo se ricorre una delle seguenti ipotesi:

a) non è stato emesso dalla Corte penale internazionale un provvedimento restrittivo della libertà personale o una sentenza definitiva di condanna;

b) non vi è corrispondenza tra l’identità della persona richiesta e quella della persona oggetto della procedura di consegna;

c) la richiesta contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato;

d) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato italiano sentenza irrevocabile, fatto salvo quanto stabilito nell’articolo 89, paragrafo 2, dello statuto.

4. Qualora sia eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la corte d’appello di Roma, ove l’eccezione non sia manifestamente infondata, sospende con ordinanza il procedimento fino alla decisione della Corte penale internazionale e trasmette gli atti al Ministro della giustizia per l’ulteriore inoltro alla stessa. Il difetto di giurisdizione non può essere eccepito né ritenuto quando si tratta di sentenza definitiva di condanna.

5. Il ricorso per cassazione può essere proposto anche in riferimento alle condizioni precisate nel comma 3. Esso ha effetto sospensivo.

6. La Corte penale internazionale può assistere all’udienza per mezzo di un proprio rappresentante.

7. Il Ministro della giustizia provvede con decreto sulla richiesta di consegna entro venti giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso della persona la cui consegna è richiesta, ovvero dalla notizia della scadenza del termine per l’impugnazione di cui al comma 5, o dal deposito della sentenza della Corte di cassazione, e prende accordi con la Corte penale internazionale circa il tempo, il luogo e le modalità della consegna. Si applica l’articolo 709, comma 1, del codice di procedura penale.

 

[6] Basti pensare all’ipotesi in cui destinatario di un mandato d’arresto risulti essere un capo di Stato o di governo straniero, come pure è accaduto, ad esempio nel caso di Omar Al Bashir, ex presidente della Repubblica del Sudan. Sul punto è possibile consultare: https://www.icc-cpi.int/darfur/albashir.

[7] Art. 3

Norme applicabili

1. In materia di consegna, di cooperazione e di esecuzione di pene si osservano, se non diversamente disposto dalla presente legge e dallo statuto, le norme contenute nel libro undicesimo, titoli II, III e IV, del codice di procedura penale.

2. Per il compimento degli atti di cooperazione richiesti si applicano le norme del codice di procedura penale, fatta salva l’osservanza delle forme espressamente richieste dalla Corte penale internazionale che non siano contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.

[8] Art. 716 codice di procedura penale

Arresto da parte della polizia giudiziaria

1. Nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all’arresto della persona nei confronti della quale sia stata presentata domanda di arresto provvisorio se ricorrono le condizioni previste dall’articolo 715 comma 2. Essa provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.

2. L’autorità che ha proceduto all’arresto ne informa immediatamente il Ministro della giustizia e al più presto, e comunque non oltre quarantotto ore, pone l’arrestato a disposizione del presidente della corte di appello nel cui distretto l’arresto è avvenuto, mediante la trasmissione del relativo verbale.

3. Quando non deve disporre la liberazione dell’arrestato, il presidente della corte di appello, entro le successive quarantotto ore, convalida l’arresto con ordinanza disponendo, se ne ricorrono i presupposti l’applicazione di una misura coercitiva. Dei provvedimenti dati informa immediatamente il Ministro della giustizia.

4. La misura coercitiva è revocata se il Ministro della giustizia non ne chiede il mantenimento entro dieci giorni dalla convalida.

5. Si applicano le disposizioni dell’articolo 715 commi 5 e 6.

[9] Qui il trattato è evidentemente quello istitutivo della Corte Penale Internazionale, firmato proprio a Roma nel 1998 e reso esecutivo con legge n. 232 del 1999.



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