Washington DC. Cerimonia d’inaugurazione dell’insediamento da presidente degli Stati Uniti di Donald Trump. Decine di migliaia di sostenitori giunti da ogni parte d’America per assistere in diretta che invece si ritrovano pigiati in bar di fortuna a guardarla dagli schermi televisivi, perché a causa delle temperature troppo basse il rituale viene spostato in fretta e furia al coperto. Bivacchi sorgono dappertutto per le strade della città, compresi i primi cortei dei Proud boys e degli Oath Keepers, i gruppi di militanti facenti capo all’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021 ai quali è stata concessa la grazia. È questo uno dei primi atti firmati da Trump: l’assoluzione o una commutazione della pena a quasi milleseicento persone colpevoli di cospirazione sediziosa e crimine violento. Di cui a fare le spese erano state quella volta proprio le forze dell’ordine, agenti di polizia inseguiti, bastonati, travolti dallo spray urticante.
Tutto rimosso, perdonato in virtù di una narrazione che già sobbolliva all’interno dell’opinione pubblica e che oggi è stata definitivamente sdoganata, accettata, presa per buona: oggi non si parla più di tentato colpo di stato, ma di un gesto d’amore patriottico, e Dominic Pezzola, Enrique Tarrio, Stewart Rhodes, gli esponenti più di spicco delle organizzazioni eversive, sono considerati prigionieri politici. O meglio, ex prigionieri politici.
Negli Stati Uniti è in corso un processo di revisione democratica di portata quasi rivoluzionaria, nel senso che rappresenta un unicum all’interno della recente storia liberale, dove le ingiustizie, le brutalità, le insensatezze erano sempre compiute in un’ottica di cooperazione tra gli Stati, di compassato salvataggio delle apparenze. Adesso questo ordine è saltato e gli Stati Uniti si avvicinano di più al modello di caotica, fervente spettacolarizzazione dell’argentino Milei. Il punto è che Donald Trump non è solo.
I decreti esecutivi approvati a pochi giorni dall’inizio del suo mandato, la revoca degli uffici, dei programmi, delle iniziative per l’inclusione e la diversità in quanto “i generi sono due”, l’avvio di procedimenti di arresti di immigrati irregolari perseguendo i funzionari delle amministrazioni cittadine che rifiutano di collaborare, l’uscita dall’accordo sul clima di Parigi e dall’Organizzazione mondiale della sanità, i dazi ai Paesi europei sulle importazioni, l’aumento delle spese militari al 5% potrebbero sembrare le dimostrazioni a effetto di un leader scriteriato. Del resto, sono centinaia le direttive firmate in sole quarantotto ore. E i capi europei, colti alla sprovvista, incapaci di formulare un vero e proprio fronte strategico, seguitano a parlare della necessità di un dialogo mirato, proporzionato, prudente, utile agli apparati commerciali e all’andamento dei mercati di tutti.
In questo senso potrebbero interpretare anche le dichiarazioni sulla riconquista del canale di Panama, sull’annessione della Groenlandia e del Canada a cinquantunesimo Stato americano, sul Golfo del Messico ribattezzato Golfo d’America. La politica estera statunitense ha sempre assunto toni aggressivi – basta ricordare che l’invasione di Panama era stata ordita da George Bush senior per rovesciare Manuel Noriega, il dittatore accusato di collusione con il narcotraffico, considerato in realtà un espediente per imporre il proprio controllo nell’area.
Di nuovo però Donald Trump non si limita a fare capo a se stesso. È l’espressione di interessi ideologici che lo precedono, i cui esponenti erano tutti seduti in prima fila alla cerimonia inaugurale di domenica: Sam Altman di OpenAI, Tim Cook di Apple, Mark Zuckerberg di Meta, Jeff Bezos, Sundar Pichai di Google, e naturalmente Elon Musk. Il capitalismo non più regolato, corretto, diluito da alcuna autorità statale né dall’azione politica, tantomeno dalla ormai esangue, esautorata società civile si muove adesso etereo e potente, reso un nuovo archè, principio e conclusione di tutte le cose. Il capitalismo non più ascrivibile alla sola produzione, alla sola finanza, alla sola tecnologia, forza accentratrice di elementi multipli supera adesso la democrazia, la scalza, la considera un intralcio.
Le annessioni geografiche, gli affari, il protezionismo economico sono la punta, il culmine di un sistema di pensiero che va fagocitando qualunque aspetto dell’esistenza. Gli unici obiettivi sono quelli volti al guadagno: il resto, dall’estensione dei propri confini alle convulse torsioni securitarie si riduce a slanci velleitari.
Il Project Stargate che sancisce la costruzione di centri per l’intelligenza artificiale, la nascita e la compravendita di piattaforme digitali sempre più ambiziose, tra cui i social network – Oracle del magnate Larry Ellison è una compagnia di computing è stata indicata come possibile acquirente di TikTok – rappresentano la brutale svolta tecnocratica a cui i Paesi europei rischiano, loro malgrado, di accodarsi. La paura di restare indietro rispetto alla corsa alla competizione e all’efficienza, i dogmi su cui ora si assesta qualunque discorso di senso, potrebbe portare a distruggere definitivamente ciò che resta delle società cittadine, intese come gruppi di persone in carne e ossa che sperimentano desideri, tensioni, esperienze di sostanza, relazioni intrecciate alla propria storia.
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