Nato nel 2001 come Jannik Sinner, Thomas Ceccon e Alessandro Michieletto, anche Giovanni Franzoni è uno di quegli atleti italiani per cui i giornali hanno talvolta abusato del termine «predestinato». Nel 2022, per esempio, un sito sportivo lo ha definito «forse il talento più cristallino dello sci azzurro, il polivalente che mancava a un intero settore». All’epoca effettivamente lampi di predestinazione si potevano intravedere nella vittoria della Coppa Europa, nelle cinque medaglie conquistate ai Mondiali giovanili (tra cui tre ori) o nel brillante esordio ai Mondiali senior di Cortina d’Ampezzo: neanche ventenne, nel N febbraio 2021, si era classificato 14° nello slalom gigante e 23° in combinata. Il 13 gennaio 2023 la sua ascesa si è però interrotta a causa di una caduta nel supergigante di Wengen, in Svizzera. «Una caduta davvero stupida», dice a Undici, ma con una diagnosi pesantissima: due flessori rotti della coscia destra e uno lacerato. In sostanza nessuna frattura, come di solito capita quando si cade con gli sci, ma i tendini strappati via come se due forze misteriose gli avessero tirato le gambe in direzioni opposte. Un dolore orribile, atroce. Oggi Giovanni Franzoni sta provando a recuperare il tempo perduto, per riappropriarsi di quell’ottimismo che lo circondava qualche anno fa.
Ⓤ: Partiamo dall’inizio. Perché proprio lo sci?
Perché ho un fratello gemello, quindi i nostri genitori hanno sempre dovuto cercare qualcosa per farci stancare, sennò combinavamo un po’ di pazzie. Ma in realtà questa è una domanda che gli ho posto anch’io: perché proprio lo sci? E, secondo loro, noi una volta abbiamo risposto che lo sci era il nostro sport preferito. Ma io non so quanto sia vero, perché comunque avevamo 6 o 7 anni… È successo tutto un po’ per gioco, dai, per divertimento.
Ⓤ: Lo sci è uno sport molto particolare da praticare da bambini, no? Non puoi farlo tutti i giorni come il calcio, ti devi svegliare all’alba nel fine settimana, e poi per sei mesi all’anno niente. Ci hai mai pensato?
Ecco, questo è il punto che mi è sempre piaciuto meno. A me piacerebbe praticare uno sport in cui magari puoi fare la differenza rispetto a qualcun altro allenandoti di più, ma è così. Però io ho sempre avuto voglia di andare a sciare, non l’ho mai visto come un peso. È proprio quella cosa per cui dici: non posso farla così spesso che mi godo il momento in cui la faccio.
Ⓤ: E il tuo rapporto con il freddo?
L’ho sempre amato, ho sempre preferito l’inverno all’estate. Adesso piano piano inizia a piacermi un po’ anche l’estate, perché comunque dopo mesi in cui sei sempre in giro a prendere temperature basse un po’ di caldo ci vuole, ma l’inverno l’ho sempre adorato a prescindere.
Ⓤ: Prima hai parlato di un fratello gemello…
Alessandro. Ha sciato fino a 17 anni, e fino ai 15 era più forte di me. Siamo gemelli, ma siamo totalmente diversi: io ero magrissimo, lui era più alto e più robusto. Siamo entrati insieme nel Comitato Veneto, poi ha iniziato a fare sempre più di fatica e quando io sono entrato in Nazionale lui ha smesso. È diventato maestro di sci e sta facendo l’università, Economia.
Ⓤ: Cosa ti ha fatto andare avanti, secondo te?
La testa. Nel senso che io sono sempre stato invasato di questo sport, fin da piccolo, avevo proprio voglia di “arrivare” e di crearmi una carriera, lui invece sciava, sì, ma probabilmente era interessato anche ad altro. A un certo livello si vede subito chi riesce a reggere la tensione e chi no. Sono tante piccole cose che messe insieme fanno la differenza.
Ⓤ: Mi fai qualche esempio?
Io è da quando sono piccolo che ho sul computer delle cartelle in cui salvo i video degli sciatori. Ma non solo le gare eh, anche i video promozionali! So tutte le frasi a memoria, li ho visti tante di quelle volte… Oppure mi ricordo un’altra scena: eravamo a una gara regionale, avremo avuto 15 o 16 anni. Dopo la prima manche io ero primo e lui secondo. Poco prima di scendere per la seconda, lo guardo: stava fischiettando, ma si vedeva lontano un chilometro che era teso come una corda di violino. Gli ho fatto un po’ di terrorismo psicologico, di mind games, e alla fine io ho vinto e lui è arrivato terzo. Ecco, le piccole cose sono queste: diciamo che ho sempre avuto più fame di arrivare rispetto a lui.
Ⓤ: Secondo te lui ne ha sofferto?
Un po’ penso di sì. Siamo sempre stati molto competitivi. Ricordo che quando io vinsi la mia prima gara, lui mi disse che una cosa del genere non avrebbe mai più dovuto capitare. Poi naturalmente andando avanti lo ha accettato e adesso è il mio primo tifoso, ci mancherebbe. Ma penso che la vita dell’atleta non sia fatta per tutti. Io avevo più “carogna”, ecco. La parola giusta è questa. Io piuttosto di farcela mi sarei tagliato un braccio. Lui no.
Ⓤ: Ce l’hai ancora?
Sì. Sai, ogni tanto andando avanti con l’età qualche volta capita di pensare “basta, sono pieno”, invece è proprio la carogna che ti fa andare avanti. E poi dopo l’infortunio si è aggiunto anche altro: vedi gli altri che crescono, che fanno risultati, e dici “no, non va bene, ci devo essere anch’io!”.
Ⓤ: Ecco: l’infortunio.
È stato un momento difficilissimo, ho toccato il punto più basso non solo della mia carriera, ma anche della mia breve vita, diciamo così. Fino a quel giorno era stato tutto un crescere: il Comitato Veneto, la Nazionale, prima la squadra B e poi la squadra A, la Coppa Europa, i Mondiali giovanili, la Coppa del Mondo. Quando finalmente ero lì lì per provare a fare il grande passo, tutto è sfumato all’improvviso. Sono stato un mese e mezzo a letto, non potevo neanche stare seduto.
Ⓤ: Cos’hai imparato?
Ad avere più pazienza e a conoscere meglio il mio corpo e la mia mente. Ero arrivato anche al punto di pensare di voler smettere di gareggiare, perché quando dai tanto per una cosa e vedi distruggersi in un attimo tutto quello che hai costruito pazientemente mattone dopo mattone… un po’ sbarelli. Ma, anche se il tempismo è stato veramente pessimo, ora posso dire di aver recuperato.
Ⓤ: Ti ha aiutato qualcuno?
L’opposto! Io vivo ancora con i miei genitori, ma per il periodo della riabilitazione ho preso un appartamento in affitto e sono rimasto solo, perché non avevo bisogno di altre cose a cui pensare. Stavo in palestra sei ore, dalle due di pomeriggio alle otto di sera: così per quattro mesi, cinque giorni di fila a settimana. È stato tosto, monotono. Mi ricordo ancora le piastrelle della piscina mentre camminavo in acqua, ancora un po’ a ognuna davo un nome…
Ⓤ: Qual è il tuo rapporto con la velocità, l’adrenalina, il coraggio, la paura? Ti senti uno “no limits”, come nella filosofia di Sector?
La velocità la amo: dalle macchine alla pista, qualsiasi cosa sia velocità mi fa innamorare. Conta che quando ero più giovane non mi piacevano le discese libere perché si sciava su piste troppo facili e mi annoiavo. Quando arrivi in Coppa del Mondo invece capisci che è proprio un altro sport, è adrenalina pura, divertimento ai massimi livelli. Però poi quando fai una caduta pesante inizi a capire che, a un certo punto, la velocità fa male. Un po’ di paura bisogna sempre averla.
Ⓤ: A proposito di velocità e discesa libera, stai per gareggiare per la prima volta sulla Streif di Kitzbühel.
Sai, la vedo un po’ come un mito, una pista leggendaria. Spero di non farmi influenzare dalle voci perché ci sono tanti che dicono che è pericolosa, difficile, ma ho sciato anche sulla Stelvio di Bormio che comunque è un’altra pista molto tosta a livello fisico. Spero di affrontarla a modo mio, non nel modo in cui pensano gli altri.
Ⓤ: E se ti dico Milano Cortina 2026?
Ci penso spesso, ma a volte mi sento un po’ in ritardo. L’infortunio non ci voleva. Mi piacerebbe arrivarci sicuro di potermela giocare, non da outsider, soprattutto alle Olimpiadi di casa. E invece ho un po’ sempre questa voce nella mia testa che mi dice: “Sei in ritardo, devi accelerare il passo, hai solo due stagioni per prepararti”. Ecco: diciamo che questa è una cosa che mi dà ancora più stimoli per il prossimo anno.
Da Undici n° 60
Foto di Rachele Daminelli
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link