«Nell’inferno della vita raccontare il bene che può cambiarlo»

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Il prefetto del dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini – Agenzia Romano Siciliani

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Prima la comunicazione. In tutti i sensi. Primo grande evento nel calendario dell’Anno Santo, il Giubileo del mondo della comunicazione, e primo punto di riferimento per dare alla speranza una dimensione concreta. Il prefetto del dicastero vaticano per la comunicazione, Paolo Ruffini, interpreta così la coincidenza con la festa di san Francesco di Sales (24 gennaio), che ha spinto a prevedere proprio in questo fine settimana il passaggio della Porta Santa per gli operatori di uno degli ambiti più importanti per la convivenza civile, per la pace e la democrazia.

Non solo una semplice coincidenza temporale, dunque.

Anche ma non solo. Il Giubileo stesso è un grande atto comunicativo. E in un tempo in cui la comunicazione è diventata parlare e non sentire, usare strategie di marketing per vendere e comprare, c’è sempre il rischio che anche la comunicazione della Chiesa venga capita attraverso questi paradigmi.

E invece?

Invece con questo Giubileo del mondo della comunicazione possiamo riscoprire il significato più profondo dell’Anno Santo, che – come ha detto il Papa – non è turismo grandi eventi spettacolari fini a se stessi, ma un momento di riflessione . Per noi comunicatori, in particolare, è l’occasione per domandarci se tutti gli strumenti che l’era digitale ci mette a disposizione sono usati affinché la comunicazione sia vera, le relazioni siano profonde e si possa comunicare così anche la speranza.

Come essere pellegrini di speranza anche attraverso il lavoro nei media?

Recuperando la dimensione della relazione e comprendendo che la comunicazione è anche un agente di cambiamento, nel bene, si spera, ma talvolta purtroppo anche nel male. Italo Calvino invitava a raccontare bene anche il male. Come dire che ci sono due modi per vivere nell’”inferno” del nostro tempo: abituarvicisi e finire con l’esserne parte, oppure cercare nell’inferno quello che inferno non è e dargli spazio. Per i giornalisti questo significa cercare, anche nell’inferno che dobbiamo raccontare le vie di bene che lo possono cambiare. Alla fine, il cristianesimo è questa storia qui: mettere in campo un modo di fare giornalismo che non sia disperato, che non si arrenda alla prima impressione, ma che cerchi di andare sempre in profondità. Oltre il titolo accattivante, che a volte può diventare un cattivo titolo e tradire la verità del racconto.

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Anche la struttura della tre giorni giubilare è ispirata a questa concezione, visto che si parla di molti temi: pace, democrazia, lotta alla povertà, conoscenza della Chiesa e naturalmente intelligenza artificiale e fake news?

Sì, è necessario comunicare speranza anche in questi ambiti, disarmando la comunicazione, come ha scritto il Papa nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.

Lei è più preoccupato per l’Intelligenza artificiale o per le fake news?

«Penso che non dobbiamo mai preoccuparci di quelle che l’Inter Mirifica chiamava grandi e meravigliosi mezzi. Il tema è piuttosto l’uso di ogni strumento. Un tema che ci riguarda tutti: i singoli, i professionisti, le big companies, i regolamenti statali e sovrastatali. Le fake news ci sono sempre state. L’IA può diffonderle ancora di più o può essere uno strumento di verifica dei fatti potente, perché ci aiuta a risalire alle fonti. Dobbiamo capire chi regola il sistema, come vengono scritti gli algoritmi, cosa presiede al business che c’è dietro la comunicazione. Queste sono le domande e ci riguardano tutti. Mediando altresì tra la spregiudicatezza di chi dice “io devo fare solo business” e il mito di stati etici che sacrificano la libertà sull’altare di controlli sempre più stringenti. Occorre invece che l’economia abbia una sua etica così come la comunicazione.

Qui si coglie anche la geometria reale di questo primo grande evento?

«Sì, è un evento per tutti, credenti e no. Perché, tanto per fare un esempio, l’uso distorto dell’IA o dei social per diffondere fake news o per bullizzare ci riguarda tutti. Così come è nell’interesse generale un giornalismo di pace o a supporto della vera democrazia.

A parte IA e fake news, si affaccia il pericolo di un giornalismo senza più giornalisti. Ci sarà qualche riflessione in tal senso?

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Tante volte il Papa ha parlato dell’importanza dei giornalisti. E lo ha scritto anche nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Perché il pericolo è che si cominci a fare a meno dei giornalisti e si arrivi man mano a fare a meno della verità. Ma sarebbe sbagliato anche pensare il giornalismo come una casta e la comunicazione come l’ambito di una oligarchia. Il discorso vale anche per altre professioni che rischiano di scomparire in una visione idolatrica e sbagliata dell’IA. “A che cosa mi servono gli artisti? A che cosa mi servono gli scrittori? O i fotografi? Fa tutto l’IA”. In realtà l’unicità della persona va sempre difesa perché nel dilemma sfruttare o condividere dobbiamo scegliere sempre questa seconda strada.

Quanto crede oggi la Chiesa nella comunicazione?

La Chiesa crede più di tutti in una comunicazione autentica, ispirata alla verità e a misura d’uomo. E offre se stessa come uno strumento di comunicazione basato sulla condivisione sincera e non sulla volontà di manipolare le coscienza. Laddove altri usano la comunicazione per il marketing o per creare bolle di odio, l’identità cattolica è costruita sull’amore per l’altro. Vogliamo testimoniarlo anche con questo evento giubilare.

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