Trump si scaglia contro la tassa minima per le multinazionali

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Non bastava la guerra commerciale, con la minaccia di dazi sui prodotti di Paesi di mezzo mondo, in gran parte alleati degli Stati Uniti. Né quella sulla salute globale, con la scelta di uscire dall’Organizzazione mondiale della sanità. Né le minacce di annettersi il Canale di Panama, il Canada e la Groenlandia. Né la guerra sul clima, con l’annunciata uscita anche dall’Accordo di Parigi. Appena entrato in carica, Donald Trump ha annunciato anche una guerra fiscale. In particolare, ha denunciato l’accordo raggiunto all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) su una tassa minima per le multinazionali.

Cos’è la tassa minima sulle multinazionali approvata in sede Ocse

Approvata nel 2021, la cosiddetta Global Minimum Tax prevede un’aliquota minima del 15% sui profitti realizzati dalle imprese multinazionali in ogni giurisdizione in cui operano, anche attraverso sussidiarie. Nelle stesse parole dell’Ocse, un modo per «ridurre l’incentivo a spostare i profitti e per mettere un limite alla competizione fiscale, per porre fine alla corsa verso il fondo sulle aliquote fiscali delle imprese». 

Uno degli effetti più deleteri dei paradisi fiscali è infatti un gara tra le giurisdizioni per approvare le condizioni più compiacenti per le imprese, pur di attrarre capitali e investimenti. Una gara che ha portato progressivamente ad abbattere le tasse sui profitti delle imprese, spostando il carico fiscale sul lavoro

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Un accordo sbilanciato a favore delle grandi potenze economiche

Questo accordo in sede Ocse è tutt’altro che perfetto, anzi. Le reti della società civile impegnate nel contrastare i paradisi fiscali hanno duramente criticato la proposta, entrata in vigore a inizio 2024. I motivi sono legati all’aliquota bassa, alle difficoltà tecniche, a possibili scappatoie. Più in generale, da tempo l’Ocse è considerato il “club dei ricchi“, avendo tra i propri membri unicamente le principali potenze economiche – in maggior parte Paesi occidentali. 

Anche per questo molte nazioni del Sud del mondo si sono battute duramente per spostare il dibattito e le proposte in materia di tassazione dall’Ocse all’Onu. A fine 2023, l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato una risoluzione per lavorare verso «la promozione di una cooperazione inclusiva ed efficace sulla tassazione a livello globale». Molti partecipanti l’hanno definita “storica” perché, per la prima volta, i Paesi del Sud del mondo ottenevano la possibilità di discutere di tassazione delle imprese ed evasione fiscale. Non a caso, i Paesi che controllano l’Ocse (Stati Uniti ed Europa in testa) hanno fatto di tutto per mantenere il dibattito sulle tasse in quella sede. Cercando di boicottare – inutilmente fino a oggi – il percorso avviato all’Onu.

Perché Trump non vuole la tassa globale minima sulle multinazionali

Ma evidentemente, persino il “club dei ricchi” e una proposta insufficiente come la Global minimum tax sono troppo per la nuova amministrazione statunitense. In un memorandum pubblicato lunedì 20 gennaio, il neo-presidente ha affermato di volere «ristabilire la sovranità e la competitività» degli Stati Uniti. Sostenendo che l’accordo in sede Ocse permetterebbe a Stati stranieri di tassare i profitti statunitensi. E limiterebbe la capacità degli Stati Uniti di «adottare politiche fiscali che servano gli interessi delle imprese e dei lavoratori statunitensi». 

Nell’analisi del Tax Justice Network, si tratta né più né meno della richiesta ai Paesi del resto del mondo di «cedere la loro sovranità fiscale alle multinazionali statunitensi che operano all’interno dei loro confini – o di affrontare serie contromisure». Leggi: ritorsioni commerciali per i Paesi che applicassero l’accordo dell’Ocse. «Trump non ha solo ucciso le deboli riforme fiscali dell’Ocse. Sta effettivamente minacciando di demolire tutto ciò che è stato costruito nel secolo scorso».

Anni di faticosi negoziati per arrivare a (deboli) passi in avanti. Un percorso appena avviato in sede Onu per un approccio finalmente multilaterale a una questione globale come la tassazione delle multinazionali e il contrasto ai paradisi fiscali. Tutto questo rischia di essere spazzato via nel nome di una competitività esasperata e del tutti contro tutti. Da poche righe di un memorandum pubblicato nel primo giorno di un mandato presidenziale che dovrebbe durare quattro – lunghissimi – anni.



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