di Giuseppe Gagliano –
La Serbia si trova al centro di un nuovo episodio di tensioni interne e internazionali, alimentate dalle dichiarazioni del presidente Aleksandar Vucic che accusa l’occidente di orchestrare una “rivoluzione colorata” attraverso le manifestazioni studentesche. Le proteste, culminate il 17 gennaio con una massiccia partecipazione davanti alla sede della televisione di Stato serba (RTS), sono solo l’ultima manifestazione di un malcontento diffuso contro il governo di Belgrado, accusato di autoritarismo e controllo dei media.
Le manifestazioni, guidate da studenti universitari, si sono intensificate dopo un incidente che ha visto uno studente gravemente ferito durante una protesta. L’evento ha catalizzato il malcontento verso RTS, percepita come filo-governativa. Vucic ha risposto alle critiche definendo le proteste come parte di un complotto orchestrato dai servizi segreti occidentali per destabilizzare la Serbia.
Secondo il presidente serbo dietro le manifestazioni si celano reti di agenti stranieri, provenienti sia dall’Occidente sia dall’Oriente, con il compito di promuovere un cambio di regime. Sebbene queste accuse non siano supportate da prove concrete, la retorica di Vucic riflette una narrativa sempre più diffusa nei Paesi balcanici, dove le tensioni tra Russia, Occidente e attori locali creano un clima di sospetto e instabilità.
Amnesty International ha recentemente denunciato pratiche di sorveglianza segreta da parte delle autorità serbe, che avrebbero utilizzato spyware avanzati per monitorare giornalisti e attivisti. Tra gli strumenti citati vi è NoviSpy, sviluppato con il supporto della tecnologia UFED della compagnia israeliana Cellebrite, capace di estrarre dati sensibili dai dispositivi mobili.
Le autorità serbe hanno respinto le accuse, definendole prive di fondamento. Tuttavia, il rapporto di Amnesty solleva preoccupazioni sull’uso crescente della tecnologia per reprimere il dissenso e limitare le libertà civili. Questo quadro contribuisce a rafforzare l’immagine di una Serbia sempre più autoritaria, nonostante le dichiarazioni ufficiali di rispetto per i diritti umani.
Parallelamente alle proteste interne la Serbia deve affrontare nuove tensioni con il Kosovo. Il 15 gennaio le autorità kosovare hanno preso il controllo di istituzioni serbe nella regione, un’azione definita da Belgrado come una provocazione mirata. Questo episodio si inserisce in una lunga serie di scontri politici e diplomatici che mantengono alta l’instabilità nei Balcani.
La Serbia, sostenuta dalla Russia, considera il Kosovo parte integrante del proprio territorio, nonostante la dichiarazione di indipendenza del 2008 riconosciuta da gran parte della comunità internazionale. Mosca, da parte sua, continua a offrire supporto diplomatico e, fino a poco tempo fa, militare a Belgrado, sebbene le sanzioni occidentali abbiano limitato la capacità russa di onorare i contratti di fornitura di armi.
Nonostante le accuse di Vucic verso l’occidente, la Serbia mantiene una politica di neutralità militare, collaborando sia con i Paesi occidentali sia con quelli orientali. Il generale Milan Mojsilovic, capo di Stato maggiore dell’esercito serbo, ha recentemente sottolineato l’importanza di questa strategia per preservare la stabilità regionale.
Tuttavia la neutralità serba è messa a dura prova dalle pressioni internazionali. Gli Stati Uniti, in particolare, hanno esortato Belgrado a ridurre i legami economici con Mosca, soprattutto nel settore petrolifero, mentre la Russia continua a vedere nella Serbia un alleato strategico nei Balcani.
La Serbia si trova in una posizione delicata, stretta tra le pressioni dell’occidente e il sostegno della Russia. Le proteste interne, alimentate da questioni sociali ed economiche, rischiano di trasformarsi in un campo di battaglia per le influenze geopolitiche.
Mentre Vucic accusa l’occidente di destabilizzare il Paese, le sue politiche di controllo dei media e sorveglianza avanzata sollevano interrogativi sulla direzione democratica della Serbia. Nel frattempo, la questione kosovara e le relazioni con Mosca aggiungono ulteriori elementi di complessità a uno scenario già frammentato.
Il futuro della Serbia dipenderà dalla capacità di bilanciare le influenze esterne e di rispondere alle legittime richieste di una società civile sempre più attiva e determinata a difendere i propri diritti. In un contesto così incerto, la stabilità dei Balcani resta una priorità per l’intera comunità internazionale.
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