La storia del turismo spaziale, un viaggio lungo quasi 25 anni

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Il 28 aprile del 2001, il miliardario statunitense Dennis Tito, all’età di 60 anni e dopo aver pagato 20 milioni di dollari, sale su una Soyuz TM-32 con un biglietto per la Stazione Spaziale Internazionale. Tito non è un astronauta, non ha neanche un addestramento completo. È là per motivi suoi e punta solo a godersela il più possibile.
Appena quarant’anni prima di lui, Yuri Gagarin andava per la prima volta nello Spazio e da una capsula Vostok raccontava al mondo com’è il pianeta visto ‘da fuori’.
Già allora si pensava che il volo spaziale sarebbe stato un giorno alla portata di tutti, ma agli inizi era riservato solo a gente specializzata e sfacciatamente coraggiosa. Nel tempo però la tecnologia ha reso i lanci meno rischiosi e a metà anni ‘80 sui razzi iniziò a salire qualcun’altro.

L’era Space Shuttle

Durante l’era Space Shuttle c’erano posti in cabina riservati ad astronauti non professionisti, come tecnici o ingegneri. Lo Space Shuttle, soprattutto, era stato pensato anche per il turismo spaziale.

Nei progetti degli anni ‘70, la Rockwell International aveva concepito un modulo removibile in grado di ospitare 74 passeggeri.

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Anche nel 1983 la Space Habitation Design Associates propose moduli abitativi per 32 turisti sfruttando lo Spacelab, un laboratorio dell’ESA che si montava nella stiva. Lo Shuttle però finì per servire il mercato satellitare e le varianti vennero accantonate.

Nel 1985 la National Space Society aveva previsto trentamila turisti spaziali entro la fine del millennio ma l’unica cosa che accade è Dennis Tito, che nel 1998 bussa alla porta della Nasa.

L’agenzia spaziale americana di turismo non ne vuole sapere, mentre i russi stavano giusto pensando il contrario. Nel 1999 avevano offerto per 100 milioni di dollari un soggiorno sulla stazione spaziale Mir al miliardario Peter Llewellyn, che ritiene la cifra esagerata e rifiuta.

Quando arriva la richiesta di Dennis Tito, accettano per un quinto del prezzo e lo spediscono sulla ISS.

L’esperienza di Dennis Tito

Il turismo spaziale diventa realtà, per Tito l’esperienza è folgorante: ‘…Le penne hanno iniziato a fluttuare nell’aria, potevo vedere il buio dello Spazio e la curvatura della Terra. Ero euforico, voglio dire… è stato il momento più grande della mia vita’.
Nel 2002, l’imprenditore sudafricano Mark Shuttlework ripete l’impresa (a bordo con lui c’era anche il nostro Roberto Vittori).

La SpaceAdventures ha ormai la mail piena di richieste di ricchi privati, disposti a pagare profumatamente per un passaggio oltre la linea di Kármán. La tragedia dello Shuttle Columbia del 2003, però, impone uno stop.

Al di là del profondo impatto emotivo, c’è un problema: la Nasa non ha più un mezzo per i suoi astronauti e per garantire il regolare turnover sulla ISS dovranno usare le Soyuz, uniche navette in grado di sopportare il rientro atmosferico con astronauti a bordo.

Il viaggio di Gregory Olsen e il “clown spaziale” Guy Laliberté

Lo Space Shuttle torna operativo nel luglio 2005, a ottobre parte Gregory Olsen, ricco imprenditore e scienziato americano, poi è la volta dell’iraniano-americana Anousheh Ansari. Nel 2007 parte l’affarista e architetto americano Charles Simonyim, che tornerà in orbita anche nel 2009. A seguire Richard Garriott, figlio dell’astronauta Nasa Owen Garriott.

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Il prezzo da pagare intanto è salito da 20 a 35 milioni di dollari.

A settembre 2009, indossando un naso rosso da clown, Guy Laliberté è in una Soyuz TMA-16 in partenza. Il miliardario canadese è l’ideatore del ‘Cirque du Soleil’ e per questo vuole essere definito un ‘clown spaziale’.

Con Laliberté si chiude la prima fase della storia del turismo spaziale, il pensionamento dello Shuttle nel 2011 porta a un lungo stop, gli astronauti americani tornano a usare le Soyuz.

Gli operatori privati e il turismo suborbitale

Nascono i primi operatori privati, come Bezos, Braxton, Musk.
Quest’ultimo, in particolare, con SpaceX produce una navetta innovativa che può attraccare alla Stazione Spaziale e tornare, come le Soyuz. Grazie a ciò, nel 2019 la Nasa concede ai privati di attraccare alla Stazione Spaziale, turisti inclusi.

Nasce anche il turismo suborbitale, operatori come Axiom, Virgin Galactic o Blue Origin offrono voli di poche ore dove non si orbita, né si attracca alla Stazione Spaziale, ma costano un centesimo degli altri pur garantendo i 3 fattori più ricercati dall’utenza: salire oltre i 100 chilometri di altezza, vedere la curvatura della Terra e sperimentare l’assenza di peso.

Riprende anche il turismo in orbita: nel settembre 2021 parte Inspiration4 con un equipaggio formato solo da privati cittadini. Con la Crew Dragon di SpaceX, spingeranno l’apogeo fino a 585 km.

In Russia, pochi mesi dopo, volano insieme due imprenditori giapponesi, Yusaku Maezawa e Yozo Irano.

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È l’ultimo atto di quello che viene ormai comunemente chiamato ‘turismo spaziale’.
Qualcuno però afferma che in realtà non è ancora ancora iniziato.

Nello Spazio non è una vacanza

Il turista va in vacanza, quello spaziale no. Ha compiti da svolgere, protocolli da osservare, mansioni di vario genere. A bordo nessuno sta con le mani in mano, o passa il tempo incollato all’oblò a fare foto, sgranocchiando snack. E poi, quale ‘turista’ ha bisogno di mesi di addestramento e studio per poter affrontare il viaggio?

Il turismo spaziale, secondo i critici, nascerà veramente quando delle persone saliranno a bordo per non fare nient’altro che divertirsi, rilassarsi, farsi coccolare e ammirare senza freni la bellezza sconcertante della Terra vista dallo Spazio.
Un po’ come si era inizialmente pensato di fare con lo Space Shuttle: file di comodi sedili e oblò, magari qualcuno che ti porta da bere.

Ognuno lo veda come vuole, a prescindere dalle interpretazioni: il vero scarto epocale di questo quarto di secolo è che la porta delle stelle è ormai aperta a tutti, per sempre.



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