“Iscritti in calo e divisioni. Va azzerata la classe dirigente”

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Di Bisceglie

C’è un che di involontariamente solenne, nel modo che ha di scandire le frasi. Complice, probabilmente, l’intonazione baritonale della voce. Pietro Turri, ex consigliere comunale, prima di circoscrizione e tra le altre cose anche ex segretario del Pci di Lagosanto, è uno che ha confidenza con volti e numeri. Parla del passato, ma con lo sguardo al presente. Peraltro – e questa è un’aggiunta che ci permettiamo noi – con una capacità analitica molto più brillante di tanti giovani che si muovono dalla sua parte. E la sua parte, la sinistra, è sempre stata quella. Nel contesto generale della crisi dei partiti – qui non ci riferiamo alla rappresentanza, o per lo meno non solo, quanto piuttosto a bilanci, logistica e organizzazione – il Pd ferrarese non fa difetto. I debiti, dei quali ha recentemente parlato anche il segretario provinciale Nicola Minarelli in una delle ultime direzioni provinciali, “vengono da molto lontano”, spiega Turri. “Alcuni – racconta – ce li trasciniamo addirittura dai tempi delle campagne elettorali del Pci”. E, da allora, di cose ne sono cambiate tante. A partire dal nome del partito: prima Pds, poi Ds e infine – fu l’intuizione di Valter Veltroni al Lingotto – Pd. Arriviamo, con un carpiato di decenni, ai giorni nostri parlando dei dati sui tesseramenti dem nel comune capoluogo. “Nel 2023 – dice Turri, che è stato un elemento cardine della segreteria di Alessandro Talmelli – spalmati sui sette circoli, avevamo 747 iscritti. Oggi, ne abbiamo 642. Il che fotografa una flessione di oltre cento persone”. Il calo delle tessere è spiegabile in tanti modi. Su tutti, però, ce n’è uno che ha a che fare con la capacità di fare politica. “Il tesseramento – incalza – non è più seguito pedissequamente, come si faceva un tempo. Manca l’organizzazione, il metodo. Adesso molti militanti si limitano ad aprire i circoli, aspettando che le persone entrino a tesserarsi. Ma non funziona così: abbiamo perso il contatto con le persone”. Ai tempi del Pci (fino ai Ds) “avevamo oltre mille tessere”. Basti pensare che “nel mio circolo, a San Giorgio, eravamo oltre 350 iscritti”. Anche i circoli, in questi anni, si sono ridotti “passando da dieci a sette”. “È stato un colpo al cuore – riconosce Turri, con una lieve punta di nostalgia – quando ha chiuso i battenti il circolo di San Martino”. Visto che parliamo di numeri, torniamo ancora indietro. “La vecchia sede del Pci, in corso Porta Mare – ricorda – non era solo una fucina di idee, confronti e formazione di classe dirigente. Era un vero e proprio porto di mare: gente che entrava, usciva, decine e decine fra impiegati e funzionari. Poi, il baratro”. Di quegli anni in cui il segretario del partito contava – in termini di peso politico – molto più del sindaco, restano solo – nel caso di Turri – vividi ricordi.

“All’epoca – spiega – tra Ferrara e provincia il Pci contava qualcosa come 46mila iscritti”. Ora i numeri sono più contenuti. Sia i militanti che gli elettori – nonostante il Pd a Ferrara abbia dato prova, anche in occasione delle Regionali, di saper ancora ottenere buoni risultati – sono molti meno. Ancora una volta, la ragione è profonda. “Da troppo tempo – spiega Turri – il Pd locale è lacerato da fratture intestine che si potranno risolvere solamente con un azzeramento totale della classe dirigente e e delle segreterie. Va ricostruito tutto da zero”. La ferita mai sanata a cui fa riferimento l’ex segretario del Pci, ha la portata della grande storia politica del Paese. Se non altro quello con il cuore a sinistra. “Da quando ci siamo fusi con la Margherita – analizza – abbiamo perso una parte della nostra identità, ma soprattutto lo spirito di corpo che caratterizzava il Pci. Quell’operazione politica, aprì definitivamente la strada ai personalismi”. Poi, la parentesi della segreteria renziani, la cui ombra si allunga ancora nei ricordi di molti (comunque in provincia di Ferrara, molti degli attuali dirigenti dem, con Renzi, erano diventati renziani: chini al sacro piede. Le foto del nostro archivio sono eloquenti). “Quando arrivò Renzi – riprende Turri – non me ne andai dal Pd. Perché dentro di me ho sempre saputo che prima o poi la sua era sarebbe finita. Ma io ero nel Pd da prima di lui, per cui non vedevo la ragione per andarmene. Piuttosto, quelli di Articolo 1, che sono ora rientrati nel Pd, hanno fatto rientrare anche i – per quanto immaginiamo esigui – fondi che avevano raccolto?”. Forse, la risposta, la si può trovare nelle pieghe del bilancio. Resta, sullo sfondo, l’immane problema della formazione di classe dirigente. Anche su questo, Turri è molto chiaro. “L’ultimo che ha avuto leadership in seno al centrosinistra, si chiama Tiziano Tagliani”. Con l’angolo di prospettiva dell’oggi e rafforzati dalla testimonianza di uno storico militante come Turri, possiamo dire che la gloriosa macchina da guerra immaginata da Achille Occhetto, è rimasta poco più che un’enunciazione di principio. O un sogno. Mai realizzato. Contrordine, compagni.

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