Arvedi-Ast, accordo ‘vuoto’ e ombre sull’area a caldo. Energia, è ancora rebus soluzioni

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«Arvedi deve firmare perché aveva chiesto risorse per gli investimenti e gli verranno riconosciute. Sono destinate esclusivamente a disinquinare. Per l’energia non possiamo fare niente». Parola del sindaco di Terni Stefano Bandecchi. «Da parte nostra l’interesse affinché si arrivi prima possibile alla firma dell’accordo. Sull’energia siamo impegnati a studiare le migliori soluzioni a favore dell’intero territorio, da oggi al 2029 quando scadranno le concessioni dell’idroelettrico. Nel frattempo attivabili strumenti che siamo pronti a valutare anche con il governo». Così parla l’assessore allo Sviluppo economico della regione Umbria, Francesco De Rebotti.

Il patto nascosto Tuttavia, pare che il testo dell’intesa nessuno ce l’abbia. Il sindaco dichiara di averlo visto e subito dopo dice lo starebbero scrivendo solo adesso. Dalla Fiom Cgil, dopo tre anni di tira e molla sulla questione, i metalmeccanici sbottano: «È ora di conoscere il contenuto dell’intesa. Il rilancio del sito di Ast non è un fatto ‘privato’ tra l’azienda e il Governo». Le possibili ricadute sono in effetti tante, ma se il patto è solo ‘ecologico’ come dice Bandecchi, occupazione, sviluppo, indotto, volumi e produzione sarebbero fuori discussione. Tant’è che già sulla parte del magnetico è in atto, da parte dell’azienda, un balletto di interesse-disinteresse, tempi brevi-tempi lunghi.

Accordo Arvedi-Ast Intanto superata la scadenza fissata dal ministro Urso per individuare possibili soluzioni per i costi energetici, non sono note novità in tal senso e all’ultimo confronto sul tema, quello a Palazzo Spada dello scorso venerdì, la Regione non ha saputo dire con certezza se la questione è vincolante per la firma. Ai sindacati, dopo la chiacchierata col cavaliere Arvedi nella città di Cremona, risulta di sì. Tuttavia al ministero l’azienda non ha prospettato la soluzione che diceva di avere, né è stata chiara sulle conseguenze che comporterebbe una mancata riduzione dei costi, quando già importa bramme (semilavorati) dall’Indonesia, mettendo pesantemente in discussione la funzionalità della parte fusoria dello stabilimento. Che sia la chiusura dell’area a caldo il vero ‘piano di disinquinamento’ per la città di Terni?

Energia elettrica Intanto una certa chiusura si registra sui cosiddetti aiuti di Stato. Tuttavia, ripercorrendo la storia della nazionalizzazione del settore elettrico (1962-63), Augusto Magliocchetti di Federmanager, citando il noto ingegnere Sechi, si sente di dire che «ha ragione Arvedi a pretendere costi ridotti. La compensazione ottenuta a suo tempo dalla ex Terni per non aver potuto mantenere l’autoproduzione per un interesse generale, non fu un importo in denaro ma il riconoscimento di una tariffa calcolata al costo medio sopportato dall’espropriato nella produzione di energia elettrica utilizzata poi nella produzione di acciaio,cemento e prodotti chimici». Misura che al netto di alcune proroghe poi è stata negata dalla Commissione europea.

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Federmanager «In definitiva – argomenta Magliocchetti – ha ragione il Cavalliere Arvedi quando sostiene che le proroghe sono l’obiettivo di non penalizzare l’unico soggetto autoproduttore che si vide negato il diritto a continuare quello che aveva fatto fino ad allora. È perciò inappropriato e fuorviante considerare la possibilità di proroga delle agevolazioni ( e meccanismi che raggiungano lo stesso risultato) come una alterazione dei criteri generali e come un aiuto ad un’unica azienda. Il vulnus da prendere in considerazione è quello del 1963 che assegnò alla sola realtà Ternana un impedimento invece riconosciuto a tutti gli altri soggetti economici in analoghe situazioni. Il compensarlo è puro risarcimento e non un benevolo e carbonaro aiuto a chi allora subì penalizzazioni ancorché per l’interesse di una intera nazione. Spiace -conclude – che qualche autorevole soggetto istituzionale non lo abbia ancora capito».

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