Per gli inquirenti alcuni degli indagati sarebbero vicini alle cosche calabresi: sequestri per 3 milioni di euro per la bancarotta fraudolenta della società
Tramite una società svizzera avrebbero acquisito un’azienda bresciana del settore zootecnico, per svuotarla del capitale e farla fallire. Per questo cinque persone sono indagate per bancarotta fraudolenta dalla Dda di Brescia. Nei loro confronti carabinieri e guardia di finanza hanno eseguito nelle province di Milano, Sondrio, Monza e Brianza e Taranto, un’ordinanza cautelare emessa dal gip del tribunale di Brescia: due degli indagati sono finiti in carcere, due ai domiciliari e uno è stato sottoposto al divieto di esercitare imprese e di assumere uffici direttivi in aziende. È stato inoltre disposto il sequestro il sequestro preventivo di oltre 650mila euro. L’indagine è iniziata nel 2021 dal monitoraggio di alcune persone di origine calabrese, ritenuti dagli inquirenti vicini alla ‘Ndrangheta. Sarebbero loro, insieme a imprenditori che operano nel Nord Italia e a un commercialista della provincia di Monza e Brianza, ad aver acquisito e poi svuotato i conti dell’azienda bresciana, acquistando immobili destinati a loro parenti, utilizzando auto di lusso e trasferendo denaro su carte di credito prepagate svizzere. Gli indagati avrebbero incassato anche finanziamenti garantiti dallo Stato per oltre 1,7 milioni di euro e ottenuto, grazie a fatture per operazioni inesistenti, un anticipo di crediti commerciali dalle banche per circa 400mila euro. Per questo la procura di Brescia ha emesso un sequestro preventivo d’urgenza su somme di denaro e disponibilità finanziarie pari complessivamente a oltre 2,5 milioni di euro sulle quote di una società coinvolta.
La bancarotta sarebbe stata realizzata attraverso una complessa attività di schermatura del dominio reale della società bresciana Ucl spa e della Cadel srl di Monza che la controllava.
Gli indagati sono Claudio Angelo Mancini, 60enne di Campobasso, finito in carcere insieme ad Antonio Bruzzaniti, calabrese di 69. Ai domiciliari Gabriele Abbiati, 51 anni, commercialista di Monza, e il «factotum» Fabio Maria Bonasegale, milanese di 55 anni. Per Domenico Caragnano, 51enne di Taranto, infine, è stato disposto il divieto di esercitare imprese e di assumere uffici direttivi nelle aziende.
Paolo Lamberti scomparso nel nulla
Il primo dei due filoni d’indagine parte dalla scomparsa di un imprenditore, Paolo Lamberti, che deteneva la maggioranza delle quote di Ucl e Cadel. Lamberti è svanito nel nulla nel luglio 2021 da Besate, Milano, dopo aver lasciato un appunto sinistro. «La mia vita è in pericolo», è il testo citato da Il Giorno. Da quel momento i carabinieri di Brescia tengono d’occhio alcuni personaggi ritenuti in odore di ’ndrangheta che avrebbero avuto un ruolo proprio nell’acquisizione di Ucl (poi fallita) tramite una società svizzera.
Ucl fatturava 7 milioni di euro. Nel settembre 2020 su idea di Mancini il 100% delle quote viene acquistato per circa tre milioni dalla società (di comodo) svizzera Bfp Bau Service Ag, riconducibile agli stessi indagati. Come lo sarà la seconda società svizzera con cui cercheranno di «rilanciare», all’apparenza, la società bresciana ormai prossima al collasso: stando agli accertamenti sarebbero stati distratti oltre 2.474 milioni dal capitale sociale. Gli imprenditori elvetici sarebbero in realtà legali rappresentanti solo sulla carta. A comandare sarebbe Mancini assieme a Bruzzaniti. Cognome pesante: il Gruppo Bruzzaniti investe in Lombardia dagli anni Novanta.
Nell’inchiesta, tuttavia, non vengono contestati né reati associativi né l’aggravante di stampo mafioso. Emergerebbe, però, la sudditanza di Mancini nei confronti dei Bruzzaniti: una reverenza che il gip mette lega ai presunti legami dei due calabresi con la cosca. I nuovi padroni di Ucl si sarebbero indebitati con le banche per oltre un milione di euro, aggravando il dissesto della società bresciana (e del gruppo).
E poi, secondo l’accusa in maniera illegittima, avrebbero ottenuto da Banca Progetto spa e da Monte dei Paschi di Siena spa finanziamenti agevolati garantiti dallo Stato per circa 1,8 milioni tra il 2021 e il 2022. Ancora, contestati il falso in bilancio e compensazioni indebite per crediti di imposta inesistenti (teoricamente generati per attività di ricerca e sviluppo nel Programma Industria 4.0) con mancato versamento all’Erario di circa 1,5 milioni.
Poi ci sono gli sconti sulle fatture (false), con le banche, al fine di anticipare e incassare il credito, per quasi 1,2 milioni e i bonifici — o prelievi ingiustificati — per trasferire il denaro, da centinaia di migliaia di euro: per la casa della figlia, le auto, le ristrutturazioni, gli amici e i parenti. Il Tribunale ha disposto un sequestro da 650 mila euro, a cui si sommano i 2,5 milioni preventivi stabiliti d’urgenza dalla Procura.
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