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WASHINGTON Un blitz di ventiquattro ore. Anche meno. È il giorno di Donald Trump. Presidente dalle 12.01 americane, le 15.01 italiane. E a pochi metri da lui, nella Rotunda del Congresso, ci sarà Giorgia Meloni ad ascoltarlo. Ha voluto esserci, la presidente del Consiglio, nonostante tutto. Nonostante i forfait dei leader europei: sarà l’unico capo di governo del Vecchio Continente a celebrare il quarantasettesimo presidente americano al Capitol. E con il dubbio che questa photo opportunity possa indispettire chi, dall’altra parte dell’Atlantico, non ha neanche ricevuto un invito e teme l’asse fra Trump e i leader delle destre Ue. Troppo alta la posta in gioco. La mannaia dei dazi che incombe anche sui prodotti italiani, tiene il fiato sospeso a Palazzo Chigi. Nelle ore in cui la presidente del Consiglio sarà nella capitale americana, oggi, il nuovo inquilino dello Studio Ovale potrebbe firmare un ordine esecutivo che istituisce l’agenzia per i Dazi, l’organo che dovrà raccogliere fondi dalle tariffe per riversarli sulle emergenze dei “taxpayers” statunitensi: immigrazione, sanità, sgravi fiscali. America first. Gli altri dopo.
Trump, Meloni all’Inauguration day. Sarà l’unica premier Ue
I DOSSIER
È un tema che sta molto a cuore a Meloni, sicché la premier si farà carico della mediazione in Europa e intende portare sul tavolo di Bruxelles il dossier al più presto, forse già al Consiglio europeo informale di inizio febbraio, nella convinzione che la bilancia commerciale dell’Ue con gli Usa debba essere ribilanciata in fretta.
E poi l’Ucraina, la minaccia sul tavolo che ora è ufficiale e costringe l’Europa a correre ai ripari: alzare le spese militari fino al 5 per cento del Pil, altrimenti l’America allenterà i fondi alla Nato. Ecco, è lastricato di incognite il tragitto che ha seguito ieri sera l’aereo della premier italiana fino a Washington. Alla ricerca di un vis-a-vis politico, come politico, anzi “personale” è stato l’invito che ha convinto Meloni a rompere gli indugi solo nella tarda serata di venerdì. È tutto pronto al Capitol. Un vento glaciale spazza la spianata davanti al Congresso dove inizialmente era stato allestito il palco per il giuramento. In lontananza le sirene spiegate dei cortei di dignitari stranieri che iniziano ad arrivare. Nevica fitto. «Ci bagniamo? Fa lo stesso, Trump è tornato. He’s back» sorridono Caleb e Stefan, due ventenni venuti dalla Georgia, mani in tasca e sguardo fisso sulla cupola del Parlamento, famiglie di purissima fede trumpiana. «Gli hanno rubato le elezioni nel 2020. Questa sarà una presidenza vendicativa», sogghignano.
Meloni stamattina siederà nella stessa fila di Javier Milei, il presidente argentino con la motosega, postazione d’onore concessa dal cerimoniale del team presidenziale che la distaccherà dalla schiera di capi partito delle destre europee che hanno preso un aereo dall’Ue. Dall’inglese Farage al francese Zemmour, una nutritissima delegazione che ha messo in allarme l’Ue. Uno schiaffo del Tycoon a Von der Leyen, Starmer, Scholz e gli altri governanti europei tutti lasciati al palo. Meloni è atterrata ieri sera a Washington con il suo staff. L’ha seguita a distanza una mini delegazione di Fratelli d’Italia, partita insieme a una rappresentanza dei Conservatori europei (Ecr).
Alla cerimonia di questa mattina c’è Carlo Fidanza, vicepresidente esecutivo dell’Ecr, eurodeputato e consigliere fidatissimo della premier. Con lui il segretario generale di Ecr Antonio Giordano, il deputato Andrea Di Giuseppe, da anni raccordo fra FdI e Trump, che conosce bene e frequenta nella sua pantagruelica residenza di Mar-a-Lago. Una delegazione che rende ancora più politica la missione di Meloni a Washington, serve a rinsaldare l’asse con i repubblicani che da novembre controllano Camera e Senato Usa. A proposito: a via della Scrofa già si lavora a una nuova trasferta a Washington. A febbraio, qui nella capitale, si terrà la nuova edizione della Cpac (Conservative political action conference), la trumpianissima, storica kermesse dei conservatori americani dove Meloni è una vecchia conoscenza.
È iniziata da quel palco la conversione atlantista della timoniera della destra italiana e per questo FdI non mancherà l’appuntamento con una delegazione di peso. Sul programma americano di Meloni, in queste ventiquattro ore, si è addensata fino all’ultimo una nebbia fitta. Non è da escludere un nuovo incontro con Elon Musk, il patron di Tesla entrato nell’amministrazione Usa che la premier ha mancato di un soffio nel blitz a Mar-a-Lago il 5 gennaio.
I NODI DA SCIOGLIERE
In una città animata da feste private di ogni genere in onore di Trump, almeno un invito dovrebbe essere stato recapitato alla presidente italiana. Che oggi cercherà di ritagliarsi qualche minuto con Trump nella rotonda del Capitol e potrebbe partecipare a un ricevimento con il nuovo presidente, prima di ripartire in serata. Ci sarà tempo, nelle prossime settimane, per entrare nei dettagli dei dossier. In cima alla lista, oltre ai dazi, c’è l’Ucraina con la visita imminente, forse già entro la fine di gennaio, dell’inviato speciale di Trump a Roma, il generale Keith Kellog. Sullo sfondo i guai in casa. Che rispondono a un nome e un cognome, in questi giorni: Daniela Santanché. La ministra in bilico dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio che per ora non farà passi indietro. E ieri ha rotto il silenzio con un tweet in salsa americana: «Trump vuole detassare le mance. Il governo Meloni l’ha già fatto». Tutte le strade portano qui.
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