Il silenzio stampa è ben diverso dal silenziare la stampa

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Silenziare la
stampa è cosa diversa dal silenzio stampa. Nel primo caso abbiamo il principale
motivo per cui organi d’osservazione internazionale quali Reporters sans frontières (Rsf) ci collocano nel 2024 al 46° posto
per la libertà di stampa, perdendo cinque posizioni. Da noi a mancare è il
giornalismo indipendente, tutti schierati o da una parte o dall’altra della
compagine governativa. La classifica mette in luce la situazione di 180 Paesi
in base alla capacità di lavorare in maniera libera e indipendente. Nell’ultimo
anno sempre più governi e autorità politiche “non hanno adempiuto al proprio
ruolo di garanti del miglior ambiente possibile per il giornalismo e del
diritto del pubblico a ricevere notizie e informazioni affidabili, indipendenti
e diversificate”. E in molti Paesi nell’ultimo anno è andata crescendo la
pressione dei governi sui media.

Rsf
chiarisce  che il rapporto è stato
stilato in base a “un’indagine quantitativa sugli abusi commessi contro i
giornalisti” da una parte e su “uno studio qualitativo” dall’altro. L’analisi
qualitativa è stata basata sulle percezioni di una serie di esperti
(giornalisti, professori universitari, ricercatori, esponenti di Ong eccetera)
che hanno risposto a un questionario. Il sito ufficiale di Rsf riporta: «La
libertà di stampa in Italia continua a essere minacciata dalle organizzazioni
mafiose, soprattutto nel sud del Paese, nonché da vari piccoli gruppi
estremisti violenti. I giornalisti denunciano anche i tentativi da parte dei
politici di ostacolare la loro libertà di coprire i casi giudiziari attraverso
una “legge bavaglio” oltre alle procedure
Slapp
(acronimo di Strategic Lawsuits
Against Public Participation
, azioni legali strategiche tese a bloccare la
partecipazione pubblica) che sono una pratica comune in Italia. Le Slapp sono quindi  azioni legali intentate non per vincere una
controversia legittima, ma per intimidire, imbavagliare o punire coloro che
cercano di partecipare e di esprimersi su questioni di interesse pubblico.

Queste cause prendono soprattutto di mira i media allo scopo di soffocare la critica e il dissenso. Non è cambiato poi molto
da un decennio addietro quando chiedevamo all’allora presidente della
Commissione di vigilanza Rai, Mario Landolfi, visto che insisteva nel ritenere
l’Italia un Paese in cui la stampa fosse libera, del perché i maggiori organismi
internazionali in materia di libertà di stampa Reporters sans frontières e World
Press Freedom Index
ci collocassero nella migliore delle ipotesi tra il 45°
e il 75° posto. Anni dopo la nemesi fece assurgere alle cronache il Nostro
quando schiaffeggiò l’inviato di Non è
L’Arena
.

Il
silenzio stampa invece è l’oscurare un fatto sui mezzi d’informazione,
riguardante anche la pubblicazione e divulgazione di documenti. C’è quello di
iniziativa giornalistica, proclamato dagli stessi operatori dell’informazione
per tutelare un diritto che è ritenuto più importante di quello
all’informazione (fu quello proclamato da un telegiornale sul fenomeno dei
sassi lanciati dai cavalcavia allo scopo di evitare fenomeni emulativi); c’è il
silenzio stampa che si verifica quando personaggi del mondo della politica,
della cultura, dello spettacolo, dell’economia e dello sport decidono di non
comunicare con i giornalisti (celebre il  caso dei mondiali di calcio del 1982 allorché la nazionale italiana si
rifiutò di comunicare con i giornalisti per protesta con le troppe polemiche
che avevano accompagnato la fase di qualificazione della competizione); c’è
infine quello diffusissimo che riguarda i sequestri di persona, come il recente
caso della giornalista Cecilia Sala, quando su richiesta della famiglia o
dell’autorità giudiziaria, viene praticato per non compromettere le indagini,
le trattative o la vita del sequestrato.

Il
silenzio stampa resta sempre un brutto binomio, per i giornalisti e per i
cittadini. Restando al caso della nostra collega Cecilia Sala, le autorità
hanno avuto il dovere di trattare al buio, la stampa di tenere i riflettori
accesi.

GIANCARLO
SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it     



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