lo schiaffo del nucleare alle rinnovabili

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Che succede a Bruxelles? C’è ancora qualche irriducibile nostalgico di Frans Timmermans (l’ex commissario europeo, il “pasdaran” per il clima e il Green Deal) nell’ufficio della presidente Ursula von der Leyen?

Sembrerebbe proprio così, nonostante guerre e crisi di varia natura – geopolitiche, industriali ed economiche – che ormai avrebbero dovuto farci capire parecchio del tema energia.


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Il fatto, rilevante e rivelante: il 9 dicembre scorso, gli uffici della presidente della Commissione pubblicano una nuova versione della lettera di incarico (mission letter) a Dan Jorgensen, il socialdemocratico danese neo-commissario per l’energia e le politiche abitative.

Perché inviare una nuova missiva? Procedura alquanto inusuale: c’era un errore? Forse l’indirizzo era sbagliato? No, semplicemente una “manina” aveva “allungato” una frase.



Nella lista degli impegni affidati al neo-commissario, l’originale recitava, tra gli altri: “You should propose an initiative to boost the roll out of energy storage and renewable energy”, ossia la presidente lo invitava a proporre un’iniziativa per potenziare la diffusione degli accumuli energetici e delle rinnovabili. Punto. Nella nuova versione, però, la lettera continuava con una virgola, inserendo una richiesta: “including by proposing a renewables target for 2040”, aggiungendo cioè un impegno specifico a proporre un obiettivo al 2040 per le sole energie rinnovabili.

Tutto qui?, potrebbe obiettare qualcuno. Come ha osservato Nucleareurope, l’associazione di categoria del comparto nucleare energetico continentale, cambiare una mission letter dopo l’approvazione del team della Commissione, per favorire una particolare tecnologia a discapito di altre, è grave dal punto di vista formale e inaccettabile sotto il profilo della sostanza. Oltre che dal punto di vista squisitamente politico, perché la lettera originale era stata redatta dopo l’audizione per la conferma di Dan Jorgensen presso le commissioni competenti del Parlamento europeo, avvenuta il 5 novembre scorso, quindi rifletteva il difficile bilanciamento di posizioni tra Popolari e Socialdemocratici, necessario per far passare la nomina del commissario.



Inoltre, quell’aggiunta stride e confligge ortogonalmente con vari passaggi della lettera, nella quale si garantisce l’applicazione del principio di neutralità tecnologica (menzionata addirittura poche righe prima del malandrino inciso).

Sarebbe più opportuno che la Commissione europea mettesse nel mirino obiettivi e perseguisse soluzioni per tutte le sfide più impegnative che riguardano l’energia, vale a dire la decarbonizzazione, la sicurezza di approvvigionamento e i costi, invece che impelagarsi nella scelta delle tecnologie.

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Si potrebbe quasi dire che a Bruxelles, sul tema energia, qualche lupo perde il pelo ma non il vizio…

Meglio allora iniziare il nuovo anno con una buona notizia, arrivata dalla Francia poco prima del Natale scorso. Sperando, però, che la lezione che l’accompagna venga imparata in fretta.

“Sabato 21 dicembre 2024 alle 11:48, l’EPR di Flamanville si è collegato alla rete elettrica francese e ha iniziato a produrre i suoi primi elettroni. Si tratta di un evento storico per l’intera industria nucleare francese. L’ultima messa in funzione di un reattore in Francia risale a quello di Civaux 2, 25 anni fa”, ha dichiarato Luc Remont, Ceo di EdF.

L’EPR (European Pressurized Reactor) in questione è la tecnologia del reattore nucleare più grande al mondo, da 1600 MWe di taglia, già in funzione da metà 2023 in Finlandia e oggi in costruzione (2 unità) nel Regno Unito, realizzato la prima volta in Cina (2 unità) dal 2009 ed operativo dal 2018.

Ma qual è la lezione da imparare? Semplice: mentre i cinesi hanno impiegato 9 anni a costruire il reattore progettato dai francesi, spendendo qualcosa in più del previsto, agli stessi transalpini ne sono serviti ben 17, essendo la costruzione in Francia iniziata 2 anni prima di quella in Cina. Non solo: il costo della singola unità di Flamanville è quadruplicato negli anni, raggiungendo circa i 13-14 miliardi di euro totali.

Che altre lezioni lascia, a noi così come alla Commissione europea, il 2024? Possiamo riassumerle in tre fotografie.

La prima: la produzione di energia elettrica.

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Nonostante tutto, l’energia nucleare si conferma la prima fonte di elettricità in Europa, con il 25%, distanziando l’eolico (19%) e il gas (13%). Un trend che continua da almeno tre anni. Complessivamente, le rinnovabili sono ormai al 45%, mentre le fossili mantengono un 25%.

La seconda: i flussi di energia elettrica tra Paesi EU.

La Francia, nella quale l’elettricità viene prodotta al 70% col nucleare, ha “alimentato” sia l’Italia, sia la Germania: ha avuto una esportazione netta di ben 89 TWh, dei quali la maggioranza sono andati a coprire i fabbisogni dell’Italia, che ha importato complessivamente 52 TWh (sui 312 di consumi totali nel 2024), e in buona parte hanno risolto i problemi di approvvigionamento dei tedeschi, che hanno importato 28 TWh. A dicembre dell’anno scorso, poi, Berlino ha assorbito elettricità anche dalla Svezia, a causa del perdurare (per molte settimane) del “Dunkelflaute”, una situazione meteorologica sfavorevole nella quale il basso vento e la poca insolazione hanno pressoché azzerato la produzione delle rinnovabili tedesche. Questo import “forzato” ha però creato un aumento di 200 volte dei prezzi dell’elettricità sul mercato svedese, tanto che la vicepremier e ministro dell’Energia Ebba Busch il 12 dicembre si rivolgeva ai tedeschi in modo “furioso”, accusandoli di essere responsabili per l’impennata dei prezzi e per la riduzione della competitività dell’intera Europa, a causa della malsana decisione di chiudere le loro 14 centrali nucleari. Anche se i primi ad essersi inalberati probabilmente saranno stati gli stessi cittadini e le imprese tedesche, visto che in alcuni momenti il prezzo dell’elettricità in Germania ha toccato i 900 euro/MWh, in dicembre.

Aumento dei prezzi energetici (in particolare il gas) che in questo periodo tocca molti Paesi, incluso il nostro, preoccupando assai le nostre imprese, come dichiarato anche dall’assessore lombardo Guidesi su queste pagine.

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La terza e ultima: le emissioni di CO2.

A dicembre 2024, la Francia ha emesso 40 grammi di CO2 equivalente per ogni kWh elettrico prodotto, contro i 400 della Germania e i 375 dell’Italia. Non è andato troppo meglio per noi e i tedeschi a luglio, con la massima produzione di fotovoltaico: 320 grammi per la Germania e 300 per l’Italia, a fronte di solo 20 grammi per la Francia.

Mi pare inutile infierire, commentando oltre circa le strategie energetiche tedesche.

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