Il futuro secondo Simone Weil

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Figura originale del mondo sindacale francese della prima metà del Novecento, Simone Weil (1909-1943) è anche una delle voci filosofiche più riconoscibili nel panorama del pensiero contemporaneo. A fronte di un crescente interesse, attestato dalle numerose pubblicazioni recenti a lei dedicate, sembra ancora difficile articolare in una visione di sintesi la dimensione sociale e politica del pensiero di Weil con la sua ispirazione metafisica e religiosa.

Il volume Simone Weil. Dieci idee per domani (Futura editrice, pp. 207, euro 15) si muove esattamente in questa prospettiva, proponendo un percorso che si snoda tra ontologia ed epistemologia, estetica e riflessioni sulla tecnica, visione sociale, pensiero politico e meditazione spirituale. Il tutto senza la pretesa di ricostruire in maniera compiuta e definitiva il profilo dell’autrice – obiettivo cui mirano, con successo, altri lavori – ma ponendo le dieci idee richiamate nel titolo in un preciso ordine, capace di orientare uno sguardo al futuro.

Realismo, scienza, bellezza, tecnica, misticismo; e ancora: lavoro, decreazione, forza, schiavitù e, appunto, futuro. Voci di un ideale “dizionario weiliano” che cerca però di rispondere a una domanda: cosa ha da dirci Simone Weil sul futuro della nostra civiltà? Qui non c’entra l’attualità: Simone Weil era inattuale nel suo tempo come lo è nel nostro, appartiene a un altro tempo, che però non è situato nel passato, ma in un domani possibile. Tutta la sua riflessione fu rivolta a immaginare “una trasformazione che apra la via a un’altra civiltà” e in questo sforzo temi apparentemente distanti tra loro contribuiscono invece a tracciare un progetto per il mondo a venire.

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Idee che potrebbero apparire molto eterogenee (che cosa hanno a che vedere le condizioni degli operai alla catena di montaggio con l’incontro mistico tra Creatore e creatura?) convergono nel delineare una visione profetica volta a superare l’impasse in cui l’attuale condizione di crisi permanente sembra costringerci.

Senza aver paura di sfiorare il paradosso o la contraddizione, Weil ci indica la strada di un progresso materiale, sociale e spirituale che segna un’inversione di rotta rispetto ad alcuni dei miti più altisonanti e fallimentari della modernità: l’idea di una scienza capace di spiegare l’intera realtà in termini quantitativi e misurabili; la riduzione di ogni finalità alla massimizzazione del profitto; il primato della soggettività e, in ambito giuridico, dei diritti individuali; il carattere privato e personale della fede religiosa.

Contro questi luoghi comuni, le idee di Weil – quelle per cui spese la sua stessa vita – ci aiutano a pensare un diverso modo di conoscere e di aderire con passione alla bellezza struggente del logos inscritto nella natura; ci insegnano a recuperare la distinzione tra mezzi tecnici e fini umani, e a valorizzare la dimensione impersonale come ciò che di davvero sacro vi è in ogni persona; ci spingono a riconoscere il vincolo etico celato nella nozione di obbligo e a ribadire la necessità di fondare la politica su un senso religioso non riducibile a un’adesione istituzionale o confessionale.

È questa originalità di pensiero che spiega la continua riscoperta di Simone Weil. Una prima fase, quella che nel secondo dopoguerra vide le Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti proporre i primi testi di Weil, si concentrò sul suo pensiero politico e sindacale: fu subito chiaro che Simone Weil, nonostante una iniziale adesione al comunismo francese, apparteneva a un’altra dimensione (era noto il diverbio che ebbe con Trotsky), che non è nemmeno quella propriamente anarchica con cui più di recente si è provato a incasellarla; eppure, aveva moltissimo da dire sull’emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici dall’oppressione sociale del macchinismo, un pensiero che negli anni nelle lotte operaie risultò fondamentale.

In seguito, la comparsa degli scritti mistici e spirituali, che sorpresero anche chi la conosceva bene ma non aveva compreso la profondità della sua conversione, rappresentò una sfida per il dogmatismo cristiano e trovò tra i lettori più inaspettati persino pontefici, da Paolo VI a Benedetto XVI, che in quella pensatrice ebrea (che ebrea non si sentì mai ma nemmeno volle mai entrare nella Chiesa, restando “sulla soglia”) videro probabilmente una sfida al pensiero cristiano. I suoi ultimi anni, in cui la riflessione mistica si unì a una scelta di privazioni che la portò a morire giovanissima, ne hanno fatto una sorta di alter Christus che, come l’Angelus Novus di Walter Benjamin, osserva il nostro presente dal “mondo che verrà”.

In tempi più recenti, a queste due principali letture – quella politica e quella religiosa – se ne sono affiancate di nuove, che hanno restituito al pensiero weiliano tutta la sua freschezza, complessità e profeticità. La bellezza come inedita chiave di lettura estetica del mondo; la decreazione, un concetto proveniente dal pensiero ebraico che in Weil può diventare strumento per decentrare l’umano nell’epoca che chiamiamo Antropocene, allentando il peso con cui continuiamo a schiacciare la Terra; la critica della scienza “algebrica” orientata al fine, che sfocia nella tecnica disumanizzante e che anticipa i moderni discorsi sulla società algoritmica; la forza intesa come spinta a sottomettere l’universo ma che inesorabilmente provoca sottomissione e sconfitta, sia in chi la fa sua che in chi la subisce, un’idea che ci offre una nuova chiave interpretativa per la “terza guerra mondiale a pezzi”.

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Tra le pagine di Simone Weil. Dieci idee per il domani, i lettori e le lettrici non troveranno certo risposte. Simone Weil non ne offriva, ma avanzava domande provocatorie, come quella che rivolse ai suoi genitori poco prima di morire: “È vero ciò che dico?”. A ciascuno il compito di confrontarsi con questa domanda che Weil volle offrire alla posterità.



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