quando la Sicilia diventò (quasi) americana

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Una storia dimenticata, tra ambizioni e rivalità globali, che ripercorre il mancato tentativo di annessione della Sicilia agli USA durante la Seconda guerra mondiale

Con la seconda proclamazione a Presidente degli Stati Uniti di Donald Trump, fissata per l’inizio della settimana, sono molte le questioni internazionali che subiranno una svolta nei prossimi mesi, come la guerra in Ucraina o la vendita di gas all’Europa, sebbene ancora non sia possibile stabilire se tali svolte saranno positive o contribuiranno a dividere ulteriormente l’opinione pubblica mondiale.

Tra le questioni più urgenti che ha sollevato Trump c’è sicuramente il caso della Groenlandia, che il presidente pregiudicato desidera annettere (insieme al Canada) al suo Paese, per ottenere così un maggior controllo sull’Artico e ingenti quantità di risorse energetiche.

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Una proposta folle, in grado di allarmare persino i più moderati fra i trumpiani, che se venisse realizzata porterebbe al conflitto, nel peggiore dei casi non solo economico, diversi Stati finora alleati.

Tra questi i già citati USA, il Canada e la Danimarca (facente parte dell’UE), a cui appartiene l’immensa Isola.

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Questa non è tuttavia la prima volta che gli USA minacciano o tentano di assoggettare un territorio distante dal proprio confine.

In passato è successo infatti anche alla Sicilia, sebbene all’epoca i siciliani risposero in tutt’altro modo, rispetto ai moderni canadesi e groenlandesi, che sembrano disprezzare anche solo l’idea.

Ciò avvenne sul finire della Seconda guerra mondiale, quando gli americani sbarcarono per la prima volta in Sicilia, durante l’operazione Husky, per tentare di scacciare i fascisti dall’Isola e successivamente del resto della penisola.

Come è indicato sui libri di storia, oggi sappiamo che l’operazione Husky fu un successo. Gli americani riuscirono infatti a preparare lo sbarco, avvenuto il 10 agosto del 1943, dopo mesi di preparazione in cui coinvolsero numerosi siciliani nelle operazioni di propaganda e di sabotaggio delle linee di difesa costiere.

Una volta sbarcati e ottenuto il controllo della situazione, gli alleati cominciarono quindi a compiere una vera e propria azione di “americanizzazione”, che aveva lo scopo di rendere piacevole la convivenza fra americani e le varie comunità dell’Isola.

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Fu così che, durante gli ultimi due anni del conflitto mondiale, i siciliani cominciarono presto ad abituarsi all’occupazione statunitense, fantasticando su una possibile annessione dell’Isola agli USA, che avrebbe reso la Sicilia il 49esimo Stato del paese stelle e strisce.

A spingere verso questa soluzione furono anche diversi gangster e politici italo-americani, che vedevano di buon occhio la secessione dell’Isola dall’Italia, per istituire nuovi traffici che avrebbero legato maggiormente gli USA al Mediterraneo centrale.

Per un paio di anni, mentre gli statunitensi stavano affrontando varie difficoltà per risalire la penisola, la discussione continuò a emergere più volte all’interno dell’opinione pubblica, finché una serie di incidenti dimostrarono che l’annessione della Sicilia non era ben vista dall’altro lato dell’oceano.

Per quanto infatti gli italo-americani e ciò che rimaneva dell’élite politica siciliana lottassero insieme per convincere il presidente Truman ad assorbire l’Isola, la maggioranza dei cittadini americani disprezzava i siciliani (e la Sicilia in generale).

Il sentimento era talmente forte che, da alcune lettere giunte sino a noi dai soldati al fronte, è possibile ancora oggi notare come le truppe USA descrivessero gli allora siciliani sotto la lente del razzismo.

I siciliani venivano infatti descritti nelle lettere indirizzate alle famiglie come “poveri nullafacenti, sporchi ladri e subdoli mafiosi”.

A porre però definitivamente la parola “fine” al dibattito pubblico negli Stati Uniti fu un articolo pubblicato dal “New York Times” nel 1943, che venne più volte ripreso negli anni successivi.

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Il titolo era “Sicily vying with Hawaii to Become the 49th U.S. State“. L’autore criticò pesantemente l’atteggiamento di diversi siciliani, che credevano di poter meritare la cittadinanza statunitense dopo essere stati conquistati.

Prendendo palesemente in giro un popolo che fino a poco prima aveva sofferto per colpa dei soprusi dei gerarchi fascisti, il giornalista descrisse i siciliani in maniera caricaturale, descrivendoli come degli “stupidi straccioni”.

Per riallacciare i rapporti con l’amministrazione statunitense, diversi siciliani decisero quindi di votarsi alla causa “indipendentista”, scrivendo al presidente americano di accettare le richieste di cittadinanza provenienti dalla nostra Regione.

Fra questi siciliani impegnati a convincere Truman che era possibile discutere dell’eventuale annessione c’era anche Salvatore Giuliano, noto criminale che collaborò per anni insieme agli Alleati e ad altri criminali, per scacciare i fascisti e i comunisti presenti sull’Isola.

Alla fine il disprezzo degli americani nei confronti delle richieste siciliane fu plateale, quando l’amministrazione pubblica s’interessò a considerare le Hawaii, un altro territorio posto fuori dai confini naturali nazionali degli USA, come 49esimo Stato.

Ciò spezzò i cuori di molti siciliani dell’epoca, che non si rimarginarono del tutto, neppure quando l’Italia, al termine del conflitto, offrì alla Sicilia la possibilità di rientrare nel Paese, come Regione a statuto speciale, dotato di maggiore autonomia.

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