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per le aziende

 


Paura delle sanzioni previste dal nuovo codice della strada? La soluzione potrebbe essere il vino “dealcolato”, che da quest’anno si troverà più facilmente al ristorante, online e al supermercato. Un decreto del ministero dell’Agricoltura di fine dicembre ha infatti rimosso gli ostacoli che rendevano complicata la produzione di vino con gradazione alcolica prossima allo zero. Se in un primo momento il ministro Francesco Lollobrigida si era schierato con i tradizionalisti, dicendosi contrario al vino senza alcol, le pressioni del settore e i dati incoraggianti del mercato lo hanno convinto a dare il suo via libera, colmando il divario che si era creato tra l’Italia e gli altri Paesi europei. “Sulle etichette del mio prossimo lotto potrò finalmente scrivere che si tratta di vino”, ha detto ad Huffpost Pietro Botto, che con il suo ‘Winot’ è stato tra i primi in Italia a intravedere le potenzialità dei prodotti dealcolati.

Prima del decreto ministeriale, le aziende italiane non erano libere di produrre vino senza alcol. Nonostante un regolamento europeo autorizzasse questo tipo di attività dal 2021, in Italia un’impresa vitivinicola poteva ricorrere soltanto a tecniche naturali per ridurre la gradazione alcolica. “La procedura era possibile solo attraverso metodi come le vendemmie precoci, e il vino doveva comunque mantenere un grado alcolico minimo”, ha spiegato ad Huffpost Chiara Soldati, presidente del Centro di studio e intervento per gli aspetti social del consumo delle bevande alcoliche (CASA) di Federvini.

Per ricorrere alle tecniche più moderne già sperimentate in altri Paesi, invece, era necessario rivolgersi a società esterne al settore vinicolo. Su questa strada si era mosso Pietro Botto, che a soli 21 anni ha proposto alla sua famiglia di viticoltori del Monferrato di lanciarsi nel mercato del senza alcol. “Per produrre vino dealcolato abbiamo creato una nuova società, che abbiamo chiamato Winot. Questa si occupa di acquistare il vino dall’azienda vinicola di mio padre e farlo processare da una società alimentare in Trentino”. Prima del decreto, però, il risultato non poteva comunque essere commercializzato come vino. “La sfida più difficile è stata proprio far capire che non si tratta di un succo, ma di un vino vero e proprio che subisce anzi un processo aggiuntivo. Sull’etichetta, però, non potevamo scriverlo: tuttalpiù potevamo definirla sul retro come ‘bevanda analcolica ottenuta dalla dealcolazione del vino’”, ha proseguito Botto.

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Il contesto normativo è finalmente cambiato con il provvedimento adottato lo scorso 20 dicembre. “Il decreto ha recepito le richieste delle associazioni di categoria, mettendo l’Italia nelle condizioni di competere con altre imprese europee”, ha detto Soldati. Da ora, infatti, le aziende vinicole possono produrre vini “dealcolati” (con gradazione non superiore allo 0,5%) e “parzialmente dealcolati” (tra 0,5% e il limite minimo per il vino classico della categoria) sfruttando le tecniche più moderne. Produzione e dealcolazione potranno avvenire all’interno della stessa azienda, seppur in strutture separate. “Il decreto esclude la dealcolazione per DOC e IGP, con lo scopo di preservare il nostro patrimonio vinicolo, ma dà questa possibilità a tutti i vini generici in un periodo difficile per il settore. Speriamo che al prossimo Vinitaly ci sia grande offerta per questo segmento, ma soprattutto che il riscontro sul mercato sia positivo”, ha proseguito la presidente di Casa-Federvini.

I primi dati disponibili appaiono incoraggianti in questo senso. Per il segmento dei prodotti dealcolati il mercato globale è visto in crescita di 8 miliardi di dollari entro il 2028. A trascinare il settore sono soprattutto le nuove generazioni, sempre meno interessate al consumo di alcolici. “L’industria del vino è a un bivio: dobbiamo ascoltare le voci del mercato, a partire dalla disaffezione dei giovani verso le bevande alcoliche. I dealcolati possono essere la risposta moderna e responsabile a queste esigenze”, ha sottolineato Soldati.

Allo stesso modo Botto ha visto una crescita dell’interesse nei confronti della sua attività, che si rivolge a ristoranti e hotel di lusso, ma anche al grande pubblico tramite il suo sito web. “La vendita è iniziata da tre mesi ed è andata meglio del previsto. All’inizio era un prodotto pensato per l’estero, perché dai nostri studi risultava che il mercato italiano non fosse ancora maturo. Al lancio, però, gli articoli usciti sul tema hanno aumentato la curiosità e siamo stati contattati da tanti locali che volevano differenziare l’offerta per i loro clienti”. Questa tendenza si è fatta ancora più evidente nelle ultime settimane, in concomitanza con l’approvazione del nuovo codice della strada. “Nelle prime settimane dell’anno abbiamo avuto un boom di richieste. Se già nei mesi passati i ristoranti avevano visto un calo nelle vendite dei vini, con l’aumento delle sanzioni i clienti sono andati in panico e hanno smesso di ordinarli, chiedendo invece prodotti senza alcol”, ha spiegato Botto. “Se prima era una scelta per differenziare l’offerta, ora avere un vino dealcolato in lista è diventato un must”.



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