Giustizia, occhiolino ai violenti – ItaliaOggi.it

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Giovedì 16 gennaio, giornale radio delle 13: «59 persone sono state identificate come partecipanti all’aggressione alle forze di polizia e ai danneggiamenti dei giorni scorsi a Roma e denunciate all’autorità giudiziaria».

Accetto scommesse sul numero dei procedimenti che saranno avviati nei loro confronti. Il numero su cui scommetto è «Zero» a voi tutti gli altri da 1 a 59. Telegiornale delle 20, Rai 1 dello stesso giorno. Identificato l’autore dell’attentato incendiario contro la caserma dei carabinieri di Borgo S. Lorenzo (Firenze): era ai domiciliari in quanto accusato di essere il responsabile di vari attentati alla linea ad alta velocità Firenze-Bologna e s’era liberato del braccialetto elettronico. È chiaro? Il sospettato di attentati all’alta velocità (tra il 28 agosto e il dicembre 2022) che per definizione avrebbero potuto causare realizzare varie stragi era ai domiciliari. Nel marzo 2024 il tipo era stato condannato per quei fatti a 2 anni di reclusione esclusa l’aggravante del terrorismo. Già, gli attentati avevano carattere ludico, giacché il soggetto voleva vedere che effetto ottico facevano le luminarie che ne sarebbero scaturite.

Non facciamo i nomi dei magistrati, hanno diritto alla privacy e al riserbo. Ma a chi il questore di Firenze potrebbe inoltrare un rapporto? Dall’altra parte, dalla parte delle donne e degli uomini che rispettano la legge, va ricordato che uno dei principi compresi in ogni ordinamento democratico dichiara che «gli ordini legittimi espressi dallo Stato e dai suoi ufficiali (nel senso di operatori)» vanno rispettati. Per esempio, la realizzazione della tratta italiana della linea ferroviaria Torino- Lione era espressione di un potere legittimo dello Stato che doveva (o non poteva non) essere rispettato da tutti coloro che erano e sono presenti nel territorio italiano.

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Il diritto a manifestare

Manifestare pacificamente è legittimo, nell’osservanza dei legittimi ordini a tutela del pubblico interesse emanati dalle autorità di polizia.

Invece le manifestazioni violente poste in essere da gruppi antagonisti non potevano e non possono essere considerate che azioni violente e illegali, i cui autori debbono essere sottoposti a procedimento penale e, se viene accertata la loro partecipazione, in ogni forma, agli eventi di cui sopra, condannati alle pene previste dal codice penale, aggravate nel caso (molto probabile nella fattispecie) di recidiva.

La tesi dello Stato mite

Su questo punto, peraltro, è stata ampiamente teorizzata e diffusa l’idea dello «Stato mite», uno Stato cioè non severo e portato piuttosto a perdonare che a condannare. Naturalmente, questa proposizione, magnificata in varie sedi, apparteneva e appartiene alla visione cattolico-romana dello Stato e non poteva che essere condizionata da due fattori, uno storico e uno attuale. Quello storico è costituito dall’antica e mai sopita inimicizia del mondo cattolico nei confronti dello Stato laico che, costruitasi l’unità della nazione, aveva conquistato Roma e abolito lo stato pontificio levando a Pio IX il dominio territoriale sulla città eterna e sul Lazio. Quello attuale atteneva alla pratica corruttiva particolarmente diffusa nella prima Repubblica (nella seconda, chissà!) ragione per la quale era psicologicamente naturale aspirare a uno Stato che esprimesse una sostanziale mitezza che lo portasse alla maggiore indulgenza nei confronti di simoniaci e corrotti.

La strada della sopportazione

Insomma, il sistema giudiziario e gli operatori della legge sono stati a lungo condotti sulle vie di una stoica sopportazione delle illegali prepotenze e violenze praticate da esponenti dell’antagonismo nazionale, in cerca di occasioni per creare disordini e per portarli alle loro estreme conseguenze. Ci dice la storia che le violenze civili e i violenti, difesi sistematicamente dagli schieramenti progressisti, quando perdono il senso dello Stato e del pubblico interesse giungendo a solidarizzare esplicitamente con i violenti (cfr. il sindaco di Bologna Matteo Lepore, capace di solidarizzare con i partecipanti ai cortei anti-Israele), portano acqua al mulino della destra in Italia come ovunque. Nel primo dopo-guerra, il massimalismo dominava il sindacato e parte della sinistra, quella che aveva abbandonato la visione riformista dello Stato.

Un ricordo storico

Mio padre, in viaggio -inizio del 1919- in una tradotta militare partita da Trieste e diretta sino in Calabria per raggiungere la sua città e i suoi genitori a Messina, durante una sosta nella stazione di Firenze, subì con i suoi commilitoni l’assalto di civili (i rossi) che protestavano per le conseguenze della guerra prendendosela con chi l’aveva fatta, rischiando la vita. Fu picchiato selvaggiamente e finì in un ospedale fiorentino dove rimase ricoverato una quindicina di giorni dopo i quali, raggiunto da suo padre, venne riaccompagnato a casa. Quali potevano essere le reazioni naturali delle vittime di questi pestaggi? C’era pronta in piazza un’altra forza dedita alla violenza e alla violazione delle leggi, i fascisti ed egli come tanti altri reduci vi si rivolse per essere tutelato e protetto.

Insomma, se il governo del re, Giolitti o Nitti che fosse primo ministro, avesse imposto l’imperio della legge nei confronti di tutti avrebbe impedito la continuazione dei disordini e delle violenze restituendo il Paese alla normale dialettica democratica.

La patologia

Tutto questo costituisce la premessa per puntare con decisione sulla patologia di cui soffre il sistema. Per motivi vari, la giustizia italiana tende a privilegiare i reati ad alta utilità giustizialista, abbandonando gli altri cioè quelli di impatto sociale e dalla scarsa utilità personale, come la congerie di piccoli reati contro le persone e le cose o quelli connessi alla violenza esercitata nei confronti degli operatori di polizia che, sino a prova contraria, hanno il dovere di impedire violazioni della legge e violenze nei confronti di persone e cose.

I disordini di Napoli

Nei disordini che ebbero luogo a Napoli (17 marzo 2001) preparatori dell’attacco al G8 di Genova (22 luglio 2001), accadde che la Polizia identificasse un magistrato della procura trovato vicino ad alcuni cassonetti in fiamme in Piazza Municipio. Indagini successive all’evento fecero emergere che volantini inneggianti ai protagonisti e alle Brigate rosse erano stati diramati dal pc d’ufficio del medesimo magistrato. Interrogato in merito, questi spiegò che era passato dal suo ufficio il figlio dodicenne (e quindi non imputabile) che s’era dilettato con il suo pc compilando i volantini e diffondendoli in rete. Il Consiglio superiore della magistratura che esaminò il caso o si astenne dall’esprimere la sua condanna o se la formulò, formulò una specie di buffetto sul viso dell’interessato. Questa è la giustizia mite che di fatto incoraggia violenze e violenti.

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Sarebbe il caso che qualche organizzazione sindacale analizzasse quanti procedimenti penali siano stati portati a conclusione nei confronti dei violenti, e a quanto i violenti siano stati condannati. Numeri desolanti che, indirettamente, ma anche direttamente, diffondono l’idea di una sorta di protezione giudiziaria dei violenti stessi, specie quando si rivolgono contro i lavoratori dell’ordine pubblico.

La morte di Ramy

Insomma, questa provocata dalla morte di Ramy, inseguito dai Carabinieri per non essersi fermato a un posto di blocco, è una di quelle occasioni colte al volo dall’antagonismo per portare un ennesimo attacco alla forza pubblica (di fronte alla fuga di Ramy dal posto di blocco, i carabinieri non avevano scelta: dovevano inseguirlo, identificarlo e fare rapporto all’autorità giudiziaria che l’avrebbe di certo perdonato: anche da questo punto di vista la fuga era inspiegabile e autoaccusatoria). A parte la ricerca di un dolo, difficilmente rintracciabile, resta il fatto che lo Stato deve ristabilire l’imperio della legge. Solo questo può rassicurare poliziotti e carabinieri: il fatto che chi li aggredisce venga catturato e punito secondo la legge. Nessuno può essere autorizzato a violarla, nemmeno se indossa la divisa.

Il vizio del Paese

Il vizio non tanto occulto del Paese torna alla ribalta e chiama sul banco degli imputati un sistema giudiziario incapace di svolgere sino in fondo il proprio dovere di applicare la legge nei confronti di tutti coloro che la violano e una politica disinteressata alla tutela dell’ordine democratico e, quindi, dei cittadini.

Non sono i poliziotti che debbono essere dotati di uno scudo penale. Sono i mascalzoni che debbono essere privati dello scudo penale ricavato dalle inefficienze e insensibilità dell’ordine giudiziario.

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