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La premier salva la ministra dopo il rinvio a giudizio per l’inchiesta su VIsibilia e aspetta l’evoluzione del procedimento sulla presunta truffa all’Inps sui fondi Covid.  La prudenza è dettata anche dal rapporto di Santanchè con Ignazio La Russa

Daniela Santanchè resterà ministra del Turismo, a meno che non decida spontaneamente di dare le dimissioni. Opzione che la diretta interessata ha sempre spiegato di non voler prendere in considerazione. Giorgia Meloni non chiederà il passo indietro per il rinvio a giudizio per concorso in falso in bilancio della sua società, Visibilia. Il sostegno non sarà comunque incondizionato.

La posizione cambierà nel caso in cui dovesse arrivare il rinvio a giudizio più temuto, nell’ambito di un’altra inchiesta in cui è coinvolta Santanchè: quella per la truffa all’Inps sulla cassa Covid. A quel punto sarebbe complicato dare una giustificazione: si parla di soldi pubblici.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

A palazzo Chigi hanno bollinato la linea della fiducia alla ministra fin dalle prime ore della giornata. La notizia dell’avvio del processo non era inattesa. Meloni ha consultato i fedelissimi per definire i dettagli della strategia. Un aggiornamento sarà compiuto nelle prossime ore dopo aver valutato l’impatto sull’opinione pubblica. Difficile pensare a una retromarcia. L’obiettivo è di far decantare le polemiche e spostare l’attenzione mediatica su altro.

Di mezzo c’è anche un equilibrio interno al partito da valutare e da salvaguardare. Santanchè rappresenta Fratelli d’Italia in Lombardia, il feudo di potere del presidente del Senato, Ignazio La Russa, e del fratello Romano La Russa, che Meloni deve per forza considerare.

La ministra del Turismo è legata a doppio filo ai fratelli La Russa. Con loro vanta un dialogo costante. Ogni problema politico viene portato sul tavolo della seconda carica dello stato, che è tra i pochi a non temere la sfida faccia a faccia con Meloni. E questo consolida la posizione di Santanchè.

Compromesso meloniano

Il quadro è così delineato: per Meloni e il suo inner circle, il rinvio a giudizio per il falso in bilancio della ministra del Turismo è un evento ancora troppo leggero per aprire il fronte interno. La vicenda, peraltro, può creare lo sgradito precedente per cui dinanzi a un problema giudiziario, un ministro o un sottosegretario si debba dimettere.

La premier, in questa costante ricerca di un compromesso, è consapevole che c’è anche un suo fedelissimo sotto processo (per rivelazione di segreto d’ufficio), il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove.

I casi e le accuse sono diverse, certo. Ma un’imposizione di dimissioni a Santanchè potrebbe far irrigidire La Russa, pronto a scattare a difesa della ministra del Turismo. A quel punto sul tavolo metterebbe la domanda: Perché la ministra dovrebbe lasciare e il sottosegretario, no? Insomma, è destinata a prevalere, finché possibile, la linea morbida.

C’è poi un altro elemento che hanno fatto notare tutte le opposizioni in coro: Meloni nelle scorse legislature – quando era minoranza in parlamento – ha chiesto per molto meno le dimissioni di esponenti dei vari esecutivi. Oggi, nonostante sia la presidente del Consiglio, il suo pensiero non è cambiato. Fosse per lei davvero metterebbe alla porta la ministra. Ma sono mutate le necessità.

Ha in mente un obiettivo, quasi un’ossessione: evitare per quanto possibile di mettere mano alla compagine ministeriale, tenere lontana dalle proprie orecchie la parola rimpasto o, peggio, un governo Meloni II. La poltrona di Santanchè è salva anche per questo, per la volontà di non spostare pedine.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Così la linea della realpolitik è stata resa nota, fin dall’inizio, da Gianfranco Rotondi, vecchia volpe democristiana ora nel gruppo di Fratelli d’Italia alla Camera: «Un giudizio per vicende professionali non inficia la credibilità da ministro». A seguire sono arrivate le note di sostegno della Lega e di Forza Italia, all’insegna del garantismo.

Nuova mozione

Inevitabile, invece, è stata la reazione pugnace del Movimento 5 stelle, che ha annunciato una nuova mozione di sfiducia in parlamento per Santanchè: «Credo che nessun altro paese si terrebbe un ministro al suo posto di fronte a questi fatti e a tutti quelli che stanno emergendo», ha detto il presidente del M5s, Giuseppe Conte.

La leader del Pd, Elly Schlein non è stata da meno: «Appena una settimana fa Giorgia Meloni diceva di voler aspettare la decisione della magistratura: ora è arrivata. Non può più continuare a far finta di niente».

Dal leader e senatore di Azione, Carlo Calenda, è arrivato un ragionamento diverso: Santanchè dovrebbe dimettersi «perché ha portato al fallimento una società e i fatti e i suoi comportamenti non sono compatibili con una carica importante come quella del ministro del Turismo».

Solo Italia viva ha assunto una posizione diversa: «Non siamo mica come Meloni, noi siamo garantisti fino in fondo», ha detto la senatrice renziana Raffaella Paita.

Ma più che l’offensiva esterna degli avversari, Meloni è preoccupata da quello che accade dentro casa.

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