I capricci dell’Ires premiale – Lavoce.info

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L’Ires premiale è solo un bonus limitato, poco efficace per la patrimonializzazione delle imprese. L’opposto dell’Ace abolita dal 2024. In più, a parità di scelte di investimento, le aziende ne ricaveranno benefici fiscali molto differenziati.

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Un emendamento alla legge di bilancio (art. 1, cc. 436-444), presentato nel corso dell’esame parlamentare, ha introdotto una nuova misura di fiscalità premiale a favore delle società di capitali, la cosiddetta “Ires premiale”. Si tratta di un intervento che, oltre a essere temporaneo, determinerà benefici fiscali molto differenziati tra le imprese, pur a parità di scelte di investimento che si intendono promuovere.

L’Ires premiale riconosce una riduzione di 4 punti (dal 24 al 20 per cento) dell’aliquota dell’imposta sui redditi delle società (Ires) conseguiti nel 2025, purché le imprese rispettino contemporaneamente le seguenti condizioni:

  • accantonino in un’apposita riserva un ammontare pari ad almeno l’80 per cento degli utili 2024;
  • utilizzino un ammontare pari ad almeno il 30 per cento degli utili accantonati (oppure, se superiore, ad almeno il 24 per cento degli utili 2023) per investimenti nell’acquisto di beni strumentali ad elevato contenuto innovativo (Transizione 4.0 e Transizione 5.0) da realizzare entro ottobre 2026 e con un importo minimo di almeno 20 mila euro;
  •  preservino o rafforzino la forza lavoro: non riducendo nel corso del 2025 il numero delle unità lavorative impiegate; assumendo, sempre nel 2025, almeno l’1 per cento in più di lavoratori a tempo indeterminato (con un minimo di un lavoratore); non abbiano fatto o non facciano ricorso alla Cig nel 2024 o nel 2025.

L’agevolazione decade, con conseguente restituzione da parte della società della minore imposta riconosciuta, se l’utile accantonato viene distribuito prima del 2027 o i nuovi beni strumentali sono ceduti, dismessi o trasferiti all’estero nei cinque anni successivi all’acquisto. La riduzione dell’occupazione dopo il 2025 non è invece motivo di decadenza dall’agevolazione.

Secondo le stime riportate nella Relazione tecnica alla legge di bilancio, i soggetti Ires che rispetteranno tutte le condizioni per beneficiare dell’Ires premiale saranno soltanto 18mila (l’1,3 per cento circa del totale, 1.321.476 nel 2022) per un costo in termini di minori entrate di 350 milioni nel 2025 (acconti relativi al 2025) e 117 milioni nel 2026 (saldo relativo al 2025).

Incentivo agli investimenti e alla capitalizzazione?

L’Ires premiale, che nei dettagli dovrà essere definita da un apposito decreto ministeriale, suscita diverse perplessità. Oltre all’evidente complessità del meccanismo agevolativo, la criticità più rilevante concerne lo scollamento tra i parametri o le quantità prese a riferimento come condizioni per beneficiare dell’agevolazione e la base su cui viene calcolata l’agevolazione stessa, che è l’intero utile 2025. Lo scollamento indebolisce gravemente il funzionamento del meccanismo incentivante sugli investimenti, generando effetti erratici, capricciosi sulla misura del beneficio riconosciuto alle singole imprese, a parità di scelte che si vorrebbero sostenere.

Come esemplificato nella tabella, in cui per semplicità assumiamo che gli utili 2023 siano minori o uguali agli utili 2024, possiamo avere i seguenti scenari a seconda del livello degli utili 2025 rispetto al 2024:

  • se gli utili rimanessero costanti, l’agevolazione corrisponderebbe al 16,7 per cento dell’investimento effettuato (società A);
  • se gli utili diminuissero o si annullassero, l’agevolazione si ridurrebbe (società B), fino ad azzerarsi (società C);
  • se invece aumentassero, l’incentivo crescerebbe (società D) e potrebbe anche raggiungere e superare il 100 per cento dell’investimento, se l’utile del 2025 fosse di sei volte o più superiore a quello 2024 (società E ed F).

Confrontando gli effetti dell’Ires premiale tra imprese diverse, potrebbe di conseguenza succedere che società che realizzano investimenti di uguale ammontare abbiano agevolazioni diverse a seconda dei risultati conseguiti nel 2025 (nella tabella, le società A e B), così come società che effettuano investimenti più elevati abbiano benefici inferiori a quelli di società meno virtuose (nella tabella, le società B e G).

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

La ratio di andamenti così differenziati dell’agevolazione in relazione alla spesa di investimento è, a dir poco, oscura, in quanto per disegnare correttamente un meccanismo di incentivo agli investimenti si dovrebbe correlare direttamente la misura del beneficio con l’ammontare degli investimenti realizzati.

Se poi si volesse anche perseguire l’obiettivo di incentivare il rafforzamento patrimoniale delle imprese, espressamente indicato nella legge delega per la riforma fiscale, si dovrebbero incentivare tutti gli investimenti finanziati con capitale proprio, mediante utili trattenuti o nuovi apporti di capitale. Invece, anche per quanto riguarda l’obiettivo della capitalizzazione delle società, l’Ires premiale è criticabile non solo perché pone condizioni soltanto sul trattenimento degli utili (trascurando la fonte esterna di capitale proprio), ma anche perché l’agevolazione sembra essere fruibile anche in caso di riduzione del patrimonio netto (ad esempio con la distribuzione di riserve diverse da quella accantonata sugli utili 2024). Inoltre, potrebbe accadere che gli investimenti siano elevati, ma la quota di autofinanziamento molto ridotta, perché il vincolo sull’accantonamento riguarda l’utile 2024, mentre quello sugli investimenti può riguardare l’utile 2023, se superiore a quello 2024.

Gli altri elementi problematici

L’Ires premiale, introdotta in attesa dell’attuazione della legge delega di riforma fiscale (legge 111/2013), diverge da quanto previsto da quella norma. È un bonus una tantum e non un primo passo nella direzione prevista dalla riforma.

Quest’ultima prevede infatti due possibili alternative: a) una aliquota ridotta sugli utili accantonati e destinati a nuovi investimenti e a nuova occupazione; b) un incentivo diretto agli investimenti o alla nuova occupazione tramite maggiorazione dei costi deducibili a titolo di ammortamento o costo del personale. Pur essendo discutibile sotto diversi aspetti, nella delega almeno il legame dell’agevolazione con l’ammontare degli investimenti c’era.

Ma ci sono ulteriori elementi problematici dell’Ires premiale. Innanzitutto, il numero molto contenuto di società che potrebbero essere interessate (18mila) e l’esigua dimensione finanziaria dell’intervento (meno di 500 milioni in due anni). Inoltre, le numerose condizioni e l’orizzonte soltanto annuale della misura, oltre a produrre discriminazioni poco giustificabili, potrebbero indurre comportamenti opportunistici (spostamento di costi e ricavi) per massimizzare l’utile 2025. Infine, va ricordato che la stessa legge di bilancio, con l’introduzione dell’Ires premiale, ha ridotto la portata del credito di imposta agli investimenti del piano Transizione 4.0 con un costo annuale per le imprese di 600 milioni di euro.

In conclusione, l’Ires premiale è solo un bonus una tantum, circoscritto, limitato e poco efficace per la patrimonializzazione delle imprese. L’opposto dell’Aiuto alla crescita economica (Ace) abolita dal 2024. Quest’ultima, infatti: a) riguardava l’universo delle imprese; b) era un elemento strutturale del sistema e garantiva un risparmio di imposta a regime di ben 2,7 miliardi di euro all’anno; c) stava contribuendo positivamente al rafforzamento patrimoniale delle società.

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Silvia Giannini

giannini Ha studiato economia nelle Università di Bologna e di Cambridge (UK). Nei suoi studi si è occupata prevalentemente degli effetti economici della tassazione dei redditi di impresa e di capitale, della valutazione di proposte di riforma fiscale e dei problemi di coordinamento in ambito comunitario. Ha collaborato con istituzioni e centri di ricerca nazionali e internazionali e ha partecipato a numerosi gruppi e commissioni di lavoro istituiti presso il Ministero delle Finanze. Attualmente è componente della Commissione ministeriale sulle spese fiscali. Professore ordinario di Scienza delle finanze presso l’Università di Bologna (dal 1993), è stata successivamente Vicesindaco del Comune di Bologna, con delega al bilancio, al patrimonio e alle società partecipate, nel mandato amministrativo maggio 2011-giugno 2016.

Alberto Zanardi

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Professore ordinario di Scienza delle finanze nell’Università di Bologna. Attualmente è componente del -Comitato scientifico per le attività inerenti alla revisione della spesa pubblica istituito presso il MEF. Durante il 2022 è stato presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard presso il MEF e tra il 2014 e il 2022 componente del Consiglio direttivo dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Nel passato ho fatto parte della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e della Commissione tecnica per la finanza pubblica presso il MEF.



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