Bori, l’Umbria deve puntare a diventare il cuore d’Europa – L’Assemblea informa

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“L’Umbria deve puntare a diventare
il cuore d’Europa”: lo ha detto Tommaso Bori (vicepresidente
della Giunta regionale e assessore al bilancio, patrimonio,
fondi europei, agenda digitale, cultura), intervenendo nel corso
del dibattito dell’Assemblea legislativa dell’Umbria sulle linee
programmatiche.

   
“Partiamo – ha affermato Bori, secondo quanto riferisce una
nota della Regione – da due questioni politiche centrali:
iniziamo il nostro mandato con un’affluenza alle urne del 52 per
cento, questo dato testimonia il fatto che il nostro lavoro
dovrà essere maggiore rispetto al passato. C’è una parte
consistente della popolazione che ritiene che né la politica, né
le istituzioni meritino quei pochi minuti necessari a mettere
una croce su una scheda elettorale. Questo accade perché non
trovano le risposte che cercano, non trovano né nella politica,
né nelle istituzioni la capacità di incidere e di cambiare la
loro vita e le loro condizioni materiali”.

   
“Con riferimento a quanto diceva Gramsci – ha continuato Bori
– noi possiamo intendere il nostro mandato o come il
perseguimento delle piccole ambizioni, oppure perseguire le
grandi ambizioni e cioè la volontà di governare, di fare
politica con spirito di servizio ed incidere nella nostra
società. Questa è la nostra grande ambizione. L’Umbria deve
puntare a diventare il cuore d’Europa. L’Umbria è una regione
piccola, ma non debole. L’Umbria dagli anni ’70, dal
regionalismo assume una sua identità culturale, un suo benessere
economico e sociale. Apprezzata in Italia e nel mondo come una
terra in cui si vive bene. L’Umbria con sacrifici si lega alla
locomotiva sociale ed economica delle regioni del nord. Questo
grazie ai sacrifici di gruppi dirigenti lungimiranti che hanno
promosso e sostenuto fasi di modernizzazione coraggiosa”.

   
“L’Umbria di oggi – ha osservato ancora – ha sia eccellenze
che fragilità e questo il processo nato subito dopo la guerra,
in quel regionalismo che rappresentò un laboratorio di grande
valore nazionale per la qualità del dibattito politico e per la
programmazione degli interventi destinati allo sviluppo
economico, sociale e culturale. Questo è avvenuto in uno scontro
politico aspro, ma la nascita della Regione ha contribuito a
condividere e radicare un processo identitario non scontato. I
92 campanili dell’Umbria hanno scelto di essere un’unione.

   
Accanto a tutto ciò ci furono grandi capacità di programmazione.

   
I primi piani sociali nacquero in Umbria, come nacquero qui
grandi sperimentazioni promosse dalla politica. Per primi
realizzata la rete a supporto delle donne e delle famiglie; i
consultori nacquero in Umbria prima che nel resto d’Italia, come
pure la sanità per tutti. I 50 anni di governo di questa regione
sono una storia da difendere. Noi siamo chiamati a riaccendere
una speranza per il futuro”.

   
“Dobbiamo riattualizzare il modello – ha detto ancora Bori –
che ha permesso sviluppo e benessere. Il riscatto dell’Umbria è
passato per deleghe trasversali quali la cultura, il diritto
allo studio, alla formazione. Il nostro territorio ospita una
delle università più antiche del mondo. Nonostante il livello di
formazione sia più alto di altre, giovani e donne sono costretti
ad emigrare per cercare il proprio futuro fuori regione o
all’estero. Grazie a quel regionalismo vantiamo una popolazione
studentesca tra le più istruite, un livello culturale per titoli
di studio superiore alla media, una coesione sociale conquista
di civiltà anche grazie ad un sistema sanitario, spina dorsale
dei servizi di questa regione e deve tornare ad esserlo.

   
L’Umbria ha un alto livello culturale, ma noi dobbiamo associare
a questo una prospettiva di futuro. Una donna su due è costretta
a non lavorare perché ha il carico di cura degli anziani, di una
disabilità, di una nuova nascita o di una malattia che si
diagnostica in famiglia, questo è sempre sulle spalle delle
donne. In questo caso sta a noi trovare un fattore non solo di
dignità sociale, ma anche economico. Un terzo di giovani in
Umbria rientra nelle categorie dei neet, cioè che non studiano,
non si formano, non lavorano, bisogna tenere conto anche di
questo. In questo il senso del salario minimo che non va
sottovalutato, di un piano casa”.

   
“È necessario tornare a credere nell’istituzione Regione – ha
concluso – in cui si torna ad essere gruppo dirigente, in cui si
vuole costruire il riscatto della nostra terra. I cittadini
umbri hanno dato un messaggio chiaro, in pochi mesi è stato
ribaltato un quadro politico istituzionale con una forte voglia
di cambiamento. Siamo dunque chiamati ad inseguire la ‘grande
ambizione’ e non perdersi nelle piccole ambizioni quotidiane”.

   

   

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