Rapina per cancellare le prove degli abusi dei frati: arrestate altre tre persone

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Questa mattina i carabinieri di Afragola hanno tratto in arresto tre persone, tutte poste agli arresti domiciliari. I tre soggetti sono accusati di rapina aggravata in concorso. Il provvedimento è stato emesso in riferimento alla maxi inchiesta che ad inizio agosto che ha portato all’arresto di cinque persone, a seguito della denuncia sporta da due uomini residenti ad Afragola, vittime di una rapina commissionata da Nicola Gildi, frate del Santuario Santa Maria Occorrevole di Piedimonte Matese.

Il frate, secondo gli inquirenti, era intenzionato a recuperare le immagini e le chat memorizzate nei telefoni delle vittime, attinenti ad abusi sessuali relativi al periodo in cui svolgeva le sue funzioni presso la Basilica di Sant’Antonio da Padova in Afragola. Le indagini hanno consentito di identificare ulteriori soggetti coinvolti nella vicenda, accertando che gli stessi avrebbero provato a corrompere con del denaro i parenti di alcuni dei soggetti già tratti in arresto per evitare l’identificazione.

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Abusi in basilica: il racconto delle vittime

Gli investigatori, però, tramite anche le conversazioni intercettate in carcere durante i colloqui dei rapinatori con i familiari, sono riusciti a ricostruire il contesto in cui era maturata la rapina e acquisito ulteriori riscontri sul movente che aveva indotto l’elevato numero di persone coinvolte a sottrarre i telefoni cellulari delle due vittime.

La rapina per cancellare le prove

La rapina, come già ipozzato nell’operazione dell’estate scorsa, era stata commissionata per far sparire le prove di abusi sessuali ad opera dfi alcuni frati. Tra le persone coinvolte anche il parroco. Le indagini erano partite nell’aprile 2024 dopo una denuncia sporta da due uomini residenti ad Afragola, ex lavoratori in luoghi di culto della zona, vittime di una rapina commessa ai loro danni. Due uomini, a volto coperto e armati di mazze e coltello, erano entrati a casa loro sfondando la porta di ingresso. Singolare il bottino: uno smartphone. Avevano peraltro provato ad impossessarsi di un secondo telefono, ma inutilmente perché costretti a darsi alla fuga.

Gli autori materiali della rapina sono stati identificati rapidamente dagli inquirenti e riconosciuti dalle vittime. Queste ultime hanno ricondotto la vicenda alle violenze e agli abusi sessuali che sostengono di aver subito ad opera di alcuni frati, violenze – le quali sarebbero avvenute all’interno di alcuni monasteri trai quali la Basilica di Sant’Antonio di Afragola – su cui la procura fa sapere di avere trovato “granitici riscontri”.

Diverse intercettazioni agli atti dell’inchiesta farebbero emergere che la rapina era stata commessa con l’obiettivo di far sparire gli smartphone sui quali erano memorizzate immagini e chat che avrebbero potuto creare problemi a dei frati dei monasteri in cui avevano lavorato le vittime. La procura ha anche reso noto che, sempre da intercettazioni telefoniche, emerge come mandate della rapina il parroco di Afragola, il quale avrebbe chiesto ad altri di assoldare gli esecutori materiali poi effettivamente identificati dagli inquirenti.

Le intercettazioni, la lettera e una testimonianza

Nel corso delle indagini, inoltre, è stata acquisita una lettera redatta dagli avvocati delle vittime della rapina e diretta ai frati superiori. In essa si sollecitava il pagamento di prestazioni lavorative eseguite nei monasteri fino a quel momento non corrisposte, e si faceva riferimento a rapporti sessuali subiti dalle vittime in cambio di assistenza di carattere sociale (abiti, alimenti) e lavorativa.

Un frate, a conoscenza delle violenze e del movente della rapina, avrebbe confermato la versione delle vittime: padre Domenico Silvestro, parroco della basilica di Sant’Antonio di Afragola, poi sospeso dall’arcivescovo Domenico Battaglia, spinto dal timore di affrontare le conseguenze di una denuncia suffragata dal materiale salvato sugli smartphone, si era rivolto a suoi conoscenti per sottrarre i telefoni alle vittime e scongiurare il pericolo. Insieme a lui è finito in carcere padre Nicola Gildi, all’epoca dei fatti di stanza nella stessa parrocchia e poi rintracciato dai carabinieri nel convento Santa Maria Occorrevole di Piedimonte Matese.



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